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The Sadness (2021): mi sa che qualcuno qui legge Garth Ennis

Sono reduce da una bella settimana di film all’ultimo ToHorror film festival, quindi sappiate che sbarcheranno su questa Bara alcuni horror notevoli che ho visto in concorso al festival. Un paio in particolare hanno saputo utilizzare l’horror per raccontare alla perfezione questa stramba manciata di anni che abbiamo vissuto tutti quanti.

Ho visto “The Sadness” a ruota, subito dopo “Lux Æterna” di Gaspar Noé, un film che mi ha rotto le pal… pebre con quel suo uso lisergico del colore, la prova che il vecchio Gaspare ci odia tutti, magari potrei farci su un post, anche se mi preme più di parlarvi del film scritto e diretto dal canadese Rob Jabbaz, ma girato a Taiwan con soldi e cast interamente cinesi, anche perché fare un film così altrove, vuol dire finire probabilmente ospite delle patrie galere.

La storia la conoscete tutti, perché l’avete vista in mille film da 28 giorni dopo a “Incubo sulla città contaminata” (1980) di Umberto Lenzi, ma più in generale se mi state leggendo è perché siete sopravvissuti al 2020 quindi questo film non lo avete visto, lo avete vissuto come avrebbe detto Er Piotta.

Un canadese a Taiwan, Rob Jabbaz e la sua smania di sangue.

Jim (Berant Zhu) è un canottierato con i saldali innamorato quanto volete della sua Kat (Regina Lei), ma abbastanza pirla, uno di quei fidanzati che accetta un lavoro proprio durante l’unica settimana di ferie della sua ragazza, insomma è un normalissimo portatore sano di cromosoma Y con tutti i difetti del caso. La coppia vive la propria normale routine anche se i notiziari di tutto il Paese parlano di questo nuovo virus chiamato Covid-19 Alvin (punti stima a Rob Jabbaz, evidentemente cresciuto anche lui con i Chipmunks), che avete già capito che cosa fa quando infetta le persone no? Inizia come una normale influenza e finisce con gli infetti trasformato in dei sadici depravati assetati di sesso e sangue, insomma l’adattamento con attori di Crossed e qui mi dispiace per voi, in arrivo sul binario uno il paragrafo nerd.

Le fonti (non dichiarate) di questo film.

Per chi non lo conoscesse, “Crossed” è una serie di genere Survival/Horror Zombie, creato da Garth Ennis (il papà di Preacher) e Jacen Burrows, la cui storia racconta di un’epidemia scoppiata sulla Terra il 27 luglio del 2008 (profetico Garth) dove un virus misterioso trasforma le persone in “Scrociati”, nome che deriva dallo sfogo sulla viso a forma di croce, segno distintivo dell’avvenuto contagio. La differenza con le solite dinamiche da storia con gli zombie (o le persone infette) sta nel fatto che gli “Scrociati”, essendo umani infettati da un virus, non hanno il problema della lentezza nei movimenti, ma la marcia in più di una cattiveria senza confini. Una volta infettati gli “Scrociati” si trasformano in degenerati senza controllo che uccidono e stuprano, dando libero sfogo alle più basse forme possibili di perversione umana, insomma finire divorati vivi è la cosa più piacevole che possa capitare alle vittime. Per dirvi della forza della storia scritta da Garth Ennis, aggiungo solo che dopo aver letto la scena del sale del primo volume, ho dovuto mettere giù il fumetto per qualche minuto per farlo “raffreddare” e digerire la mazzata (storia vera).

Non ho mai nascosto il mio essere particolarmente sensibile alle scene di stupro al cinema, quindi evidentemente storie come “Crossed” o “The Sadness”, sanno dove colpirmi, l’idea di qualcuno che un secondo prima è “praticamente innocuo” (cit.) e un attimo dopo è pronto ad aprirti nuovi buchi nel corpo solo per farne utilizzi licenziosi mi fa particolare effetto. Quindi se da una parte ho affrontato il film con l’esperienza del fumetto di Ennis a farmi da scudo emotivo, dall’altra è impossibile non notare che se mai il vecchio Garth dovesse scoprire dell’esistenza di “The Sadness”, armato di un decente avvocato, potrebbe portare via al regista Rob Jabbaz pure le mutande, perché il suo film è in tutto e per tutto “Crossed”, però ambientato a Taiwan.

Vespe truccate anni ’60 / Girano in centro evitando la mattanza (quasi-cit.)

Questo mi fa riflettere sul fatto che in un fumetto pubblicato dalla Avatar Press, uno come Ennis possa permettersi di tutto, mentre il cinema per portare in scena lo stesso livello di violenza grafica, debba giocarsi un horror indipendente, girato con soldi e maestranze cinesi, giusto per ribadire quanto i tanti bistrattati fumetti a volte, siano comunque più avanti.

“The Sadness” segue i suoi due protagonisti durante una loro normalissima giornata, destinata a degenerale nel modo peggiore possibile, Jim si ferma a fare colazione in un locale e assiste alla prima violentissima aggressione, in cui il “paziente zero” è un’adorabile (si fa per dire) anziana vecchina, pronta a sputazzare in faccia a chiunque o ad affondare i denti nel collo dei passanti. Da qui inizia un lungo inseguimento in cui il nostro Jim è la lepre e gli infetti sono i cani da caccia, con gli occhi completamente neri (la versione Jabbaz della “croce” pensata da Ennis) e la bava alla bocca, pronti a macellare e violentare chiunque non sia ancora stato infettato da “Alvin”. Qui ci starebbe una battutaccia sul vaccino ma sarebbe troppo facile, ve la risparmio.

Ogni film dovrebbe avere una scena in metropolitana (punti extra per gli occhiali alla Cassidy del tizio)

“The Sadness” è un film maleducato, grezzo, marcio e tosto, che non ha nessuna paura di lanciare addosso al pubblico immagini forti, in netto contrasto con quelle controllate e avvolte nel pluriball a cui siamo abituati, non vorrei aumentare troppo le vostre aspettative attorno a questo film ma, beh fatelo pure, perché difficilmente in giro troverete qualcosa di altrettanto violento oggi come oggi.

Se Jim non se la passa bene, non possiamo certo dire che Kat stia passando una buona giornata, fedele alla regola per cui ogni film si merita una bella scena in metropolitana (io e questo Jabbaz abbiamo molto in comune, oltre alla passione per Garth Ennis), il regista ci mostra il ritorno a casa in metro della ragazza, che viene avvicinata, ma forse dovrei dire importunata da quello che io ho ribattezzato il signor “You can stand under my umbrella” (Tzu-Chiang Wang), personaggio dove Jabbaz inizia a mostrare qualcuno dei suoi limiti e con lui anche il suo film.

Il Signor Ombrello è pronto ad accettare tutti per quelli che sono (ah-ah)

Il grigio omino è l’equivalente dei miei colleghi di lavoro che hanno un piede e mezzo nel qualunquismo più becero, infatti è uno di quelli che finisce per pensare (ad alta voce): «Ma tu guarda se uno non può nemmeno dire ad una sconosciuta in metro che è gnocca, senza che quella lo minacci di accusarlo di molestie sessuali, signora mia dove andrà a finire questo Paese?». Mentre Jabbaz introduce in maniera ben poco sottile il personaggio, a bordo del vagone sale un infetto e la metro si trasforma in un mattatoio su rotaie: secchiate di sangue, violenza, tendini d’Achille recisi a morsi, insomma la macelleria il regista canadese sa davvero come dirigerla.

Da qui in poi “The Sadness” diventa un lungo inseguimento tra i due protagonisti che devono sopravvivere, ritrovarsi in un Paese sprofondato nel caos, ma anche in una storia che aumenta il livello di violenza di una tacca al passare di ogni minuto del film. Ci sono i ragazzini con la mazza da baseball che torturano gente per strada nemmeno fossero la versione sadica delle Baseball Furies di The Warriors, per arrivare all’assedio finale nell’ospedale, dove il livello di perversione e violenza degli infetti raggiungerà livelli notevoli, deboli di stomaco astenersi.

«Bello di nonna fatti dare un bacino!»

Difetti? Di sicuro non nella regia o nella capacità di mostrare la violenza, grazie a litrate di sangue finto ed effetti speciali orgogliosamente vecchia scuola, quando più che altro nella gestione un po’ forzata di alcuni personaggi e dialoghi, come ad esempio il “Dottor Spiegoni” che spiega cose e non è scritto abbastanza bene da non farci sospettare di lui fin da subito, anche quando interviene per aiutare. In questo senso Rob Jabbaz ha davvero ancora tantissimo margine di miglioramento, perché se dal punto di vista della violenza il suo “The Sadness” colpisce, a livello di gestione della trama mostra più di una volta il fianco.

«Sono il Dottor Spiegoni lasciatemi spiegare!», «Lasciatelo spiegare è pazzo da spiegare!»

Ad esempio il registro grottesco non è quello che viene meglio al regista e sceneggiatore canadese, capisco gli intenti della scena con il discorso alla nazione del presidente cinese, sinistramente simile per abbigliamento e logo alle sue spalle a quello americano, ma penso sia una soluzione visiva voluta. Guardando quella scena non ho potuto fare a meno di pensare ai vari discorsi alla nazione di Giuseppe Conte, anche se nessuno di quelli è mai finito con il premier costretto ad ingoiare una granata a frammentazione, ma più che altro questo mi serve ad introdurre il vero significato di un film come “The Sadness”.

«Andrà tutto bene dicevano! Cantavano dai balconi loro!»

Ci abbiamo pensato tutti nel corso del 2020 e per buona parte del 2021 no? Sembra di stare in un horror, oppure di uno di quei B-Movie. Per certi versi “The Sadness” è quello che avrebbe potuto accaderci se il Covid-19 fosse stato (ancora) più aggressivo, quindi da un certo punto di vista potrebbe essere un film quasi catartico (malgrado alcune facilonerie della trama), dall’altra è anche il titolo che riassume al meglio gli strambi anni che stiamo vivendo, in un film che alza di una tacca l’asticella della violenza mostrabile sul grande schermo.

Insomma, tanto di cappello a Rob Jabbaz, la sua follia si è portata a casa due premi al ToHorror, ora mi auguro che abbia il tempo di migliorare il suo modo di scrivere dialoghi e personaggi, ma soprattutto ragazzo mio, spera che un certo scrittore nord irlandese non veda mai il tuo film, altrimenti potrebbe avventarsi su di te con più cattiveria di uno dei tuoi infetti, quello non scherza mica!

Sepolto in precedenza mercoledì 3 novembre 2021

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