Poteva sembrare un pesce d’aprile, per fortuna non lo è stato, ho avuto l’occasione di partecipare il primo di aprile all’anteprima dell’ultimo film del mio secondo canadese preferito, collegato da remoto da casa sua, apparso in video come il prof. O’Blivion, collegato con trenta cinema sparsi lungo uno strambo Paese a forma di scarpa per presentare il suo “The Shrouds” e no, il sottotitolo italiano ho deciso di ignorarlo.
Cronenberg è difficile da consigliare, mi trovo nella condizione di apprezzare i suoi film ma mi rendo conto che nel dire a qualcuno: «Ehi devi troppo vedere l’ultimo di Cronenberg che ha scritto dopo la perdita della moglie! », si rischi di passare per sociopatici, cosa che per fortuna io sono, quindi posso godermi anche il modo in cui i cinefili – o presunti tali – si stiano chiudendo a riccio davanti all’occasione di capire un film che si muove su traiettorie tutte sue, quando altrove molti amano non capire nulla della trama o peggio, cercando proprio questo da certi registi, quando va detto che Davide Birra non è mai stato un narratore criptico, al massimo estremamente legato alla sua poetica e alle sue tematiche, in modo anche soffocante.
In quanto sociopatico, ho una certa predilezione per il modo di narrare del mio secondo canadese preferito, io mi ero limitato a dedicare un post alla perdita di Carolyn Zeifman, la moglie di David Cronenberg venuta a mancare nel mezzo della mia rubrica dedicata al regista, ovviamente suo marito ha fatto molto di più e anche questo è un segno di continuità nella sua filmografia, d’altra parte il risultato del suo elaborare il suo primo divorzio si è tradotto in Brood, questa volta per metabolizzare la perdita, Cronenberg ha scritto “The Shrouds” circa quattro anni fa, pensando ad una tecnologia che nello stesso periodo è passata dall’essere materia per un film di fantascienza a realtà.
A differenza di altri che si fregiano dell’etichetta di “Regista visionario” Cronenberg non ha mai avuto la pretesa di essere profetico, al massimo di raccontare la condizione dell’essere umani nei tempi moderni, tuttalpiù con uno sguardo rivolto al futuro prossimo, ecco perché Hunny, l’intelligenza artificiale sul telefono del protagonista di “The Shrouds”, basata sull’aspetto, la voce il modo di rispondere alle domande della moglie defunta di Karsh (Vincent Cassel al terzo film con Cronenberg) è qualcosa nel oggi, nel 2025, risulta più possibile perché la poetica del regista canadese è ormai da tempo così definita, da avere bisogno solo di un periodico aggiornamento, come il mantenimento di un software, il cui percorso di vita segue l’andamento della mutazione del virus, noto come cinema di David Cronenberg.
Lo sapete perché ne ho parlato lungo tutto il corso della rubrica dedicata al mio secondo canadese preferito, la mutazione è cambiata, passata dai primi Horror, esterna e più visiva nelle forme, per poi evolversi, diventata una mutazione interna, il corpo che si adatta alle flessioni della mente, per questo Crimes of the future è stato un film quasi antologico nel riassumere i temi cari a Cronenberg, perché aveva l’esigenza di far fare al virus del suo cinema il passo successivo dell’evoluzione. Proprio in “Crimes of the future” Cronenberg ribadiva – anche in alcune linee di dialogo – come il corpo fosse il tutto, senza rovinare a nessuno la visione di quel film, il finale poteva essere il passo in avanti dell’evoluzione umana o un trascendere verso l’altrove, che per Cronenberg, ateo (ateo non praticante si definisce il suo alter ego Karsh qui), non può che essere legato al corpo.
In quanto essere viventi, pensare alla non vita ci è impossibile o meglio, resta un pensiero costante, su cui abbiamo creato tanta narrativa (anche solo in termini di numero di film), qualcuno ha fatto di più, la religione non esisterebbe senza la morte, perché nata come modo per cercare di accettarla, andrà tutto bene, dopo, dall’altra parte ritroverai tutti i tuoi cari in un bellissimo paradiso, per Cronenberg invece, teorico del corpo e ateo convinto, quando il corpo muore, finisce tutto. Il vero barometro di “The Shrouds” sono due eventi, una reale, il lutto per la morte di sua moglie, l’altro, creativo, un minuto di cortometraggio intitolato The Death of David Cronenberg che andrebbe visto come prologo di “The Shrouds”, anche se mi accontento di aver visto il regista in diretta da casa sua, la miglior videoconferenza da mesi a questa parte (storia vera).
Scegliere un cast non è facile, mi mordo le nocche per l’assenza di Léa Seydoux, in ogni caso magnificamente sostituita da una generosissima Diane Kruger che per anagrafe, ho trovato anche più adatta ma soprattutto per capacità di calamitare lo sguardo, immagino poi che scegliersi un alter-ego deve essere stato ancora più complicato. Cronenberg ha scherzato sulla sua scarsa somiglianza con Vincent Cassel che si è presentato sul set con quei capelli canuti che non possono non far pensare a Davide Birra, anche se la sua unica indicazione come regista è stata di chiedere al francese di rallentare la parlata rispetto alle sue abitudini, in modo da risultare più simile al tipico abitante di Toronto e soprattutto, al suo regista (storia vera).
Karsh è un imprenditore con trascorsi nella realizzazione di video industriali (quindi a suo modo un cineasta), dopo la perdita di sua moglie Becca (Diane Kruger) per via di una lunga malattia, ha fondato la GraveTech, in maniera molto ballardiana, società con ristorante su vista cimitero, che vende una tecnologia futuristica che permettere di connettere i vivi in tempo reale con i propri cari o meglio, con i resti dei propri cari intenti a decomporsi all’interno delle loro bare, non volanti, lo preciso ma comunque sottolineo il legale.
La GraveTech tramite un app, una tecnologia a 8K e ai sudari del titolo, delle sindoni tecnologiche che avvolgono i corpi e che permettono di restare connessi ai nostri cari, in teoria per rendere meno netto il distacco, in pratica per tenere aperte le ferite di Karsh che è nel pieno del suo “lungo addio” e lo sta elaborando grazie ad inquadrature, a schermi, a panoramiche e zoomate sulla moglie defunta, fino al giorno in cui sul suo corpo, non vedrà spuntare sulle ossa defunte delle nuove escrescenze, una sorta di “Nuova carne” (occhiolino-occhiolino) sospetta, da cui solo un atto vandalico ad uno dei principali cimiteri della GraveTech lo distrarrà, oddio, anche se il nostro è distratto anche da altro, va detto.
In particolare dalla sorella gemella della sua Becca, ovvero Terry (sempre Diane Kruger in modalità Kim Novak, tenetemi l’icona aperta che più avanti ci torneremo) che rappresenta quel corpo, identico a quello della defunta moglie, che per Karsh rappresentava il mondo, la vita, infatti non a caso continua a ricordarlo in flashback che sembrano sogni, in cui Kruger compare appunto, solo con il suo corpo sempre più martoriato dai segni della malattia e dalla cure del dottore per cui Karsh sviluppa una sempre meno nascosta forma di gelosia.
Se la religione, tutte le religioni, sono state create dalla morte e dalla paura della Nera Signora, “The Shrouds” ci parla di come la tecnologia sia la nuova religione, usiamo filtri di bellezza, chirurgia estetica e ogni tipo di diavoleria moderna per cercare di frenare l’inevitabile e i sudari, le sindoni tecnologiche di Karsh non sono altro che un modo per fare metafora di come oggi, si possa guardare le foto sul proprio telefono, riascoltare i vocali (o le interviste in rete e i video sui social) di una persona che ci ha lasciati. La tecnologia cerca di compensare l’assenza del corpo, per Cronenberg il vero sinonimo della vita, quindi inevitabilmente se il corpo rappresenta la vita e non puoi più sentire il respiro della persona con cui hai diviso il letto per anni perché è andata via per sempre, non puoi nemmeno più ricordarti quanto era doloroso per lei cambiare posizione in quel letto negli ultimi mesi della sua vita (la scena dell’anca l’ho trovata dolente e affettuosa in parti uguali, diavolo di un Cronenberg!) ecco perché Karsh si attacca così ai corpi, quelli vivi mentre osserva quello defunto della moglie su uno schermo e si fa del male parlando ogni giorno con Hunny (Diane Kruger, terzo estratto) nella sua versione di assistente digitale.
Il tema della disconnessione mi è sempre più caro, che sia essa una scelta oppure forzata, a Karsh da sua moglie tocca la seconda, la sotto trametta da Techno-Thriller che per Cronenberg non è quella principale, ma solo lo spunto che gli permette di parlare d’altro, ovvero l’attacco vandalico-hacker al cimitero della GraveTech lo costringe a fare i conti con la sua dipendenza, non è un caso che disconnesso brutalmente dalla moglie, il nostro venga attratto da Soo-min (Sandrine Holt) metà coreana, metà francese, una donna con un corpo che funziona diversamente, proprio come quello della sua Becca negli ultimi mesi vissuti insieme, visto che il personaggio impersonato da Sandrine Holt “vede” attraverso, pensate un po’, il tocco delle mani, in quanto non vedente cerca un contatto che può avvenire solo tra corpi vivi, signore, signori, stiamo parlando del grande catalizzatore del cinema di Cronenberg, il sesso.
Non appena Karsh torna ad avere un contatto, tipico dei corpi viventi, con una donna, la sua ossessione per la moglie muta, evolve, ancora una volta il corpo si adatta alle flessioni della mente e in questo caso, il lutto passa per forza attraverso il desiderio per Terry, una che di mestiere fa cose molto tattili e legati ai corpi, trascorsi medici, di veterinaria ed ora, si occupa di toelettare i cani, anche questa, tutta roba che puoi fare solo su corpi ancora vivi e non a caso, proprio il corpo di Terry diventa il nuovo modo di Karsh per spostare la sua ossessione, e qui mi tocca chiudere con gran piacere l’icona aperta lassù: “The Shrouds” si rifà ad un archetipo cinematografico classico, diventando La donna che visse due volte di Cronenberg, perché va ricordato, il film di zio Hitch parlava di un’ossessione di tipo necrofilo, quello del mio secondo canadese preferito, con il suo solito sguardo da anatomo-patologo sull’umanità (anche grazie alla fotografia di Douglas Koch) di un’ossessione sviluppata dopo un lutto.
In Videodrome la televisione creava una rete che portava alla paranoia, aggiornando il sistema operativo del suo virus tecno-organico, Cronenberg ci mostra come la tecnologia, la nuova-religione creata dall’uomo per negare e affrontare l’idea definitiva della morte, continui a creare una rete (in questo caso basata sui cimiteri) e di conseguenza, della paranoia, quella ben rappresentata da Maury, il personaggio impersonato da Guy Pearce, non vi sfugga il dettaglio per cui, il massimo momento di paranoia del personaggio, ci viene mostrato da Cronenberg attraverso il filtro dello schermo di uno smartphone, i massimi veicoli di complotti e paranoia virali moderni.
La trama Thriller è quasi un gioco, se non una presa in giro, mentre Maury sta in fissa con i russi (segni di continuità) Karsh capisce che ci sono altre vie possibili in altri luoghi, con una donna però metà coreana e per metà francese, ma si porta dietro la sua ossessione per il grande amore perduto. So che quel finale avrà stordito molti, ma siccome sono le stesso che ha trovato quasi tenera e protettiva la scena dell’anca, in quel finale, che non a caso è una sorta di cavalcata verso il tramonto, io ci ho visto il legame, forse eterno del personaggio alter-ego di Cronenberg, con la donna che ha amato, perso, ma in realtà mai dimenticato, solo che bisogna essere sociopatici (o cronenberghiani) per farlo.
Anche perché “The Shrouds” che nel suo parlare di lutto e morte, inizia con una battuta, di umorismo ovviamente nerissimo, ma nelle fotografie dei denti della defunta moglie da conservare come un tempo si faceva con le diapositive delle vacanze, c’è già tutto il tono di un film che ha spiazzato tanti, perché ha una premessa vistosa, come costruire una società iper tecnologica sul proprio lutto, ma volutamente non prosegue allo stesso livello. Forse molti si sarebbero sentiti più a loro agio con una conclusione eclatante, uno sguardo in camera e un BANG come quello di James Woods ai tempi, ma per un film che parla di lutto, non può esserci un finale così potente, l’atto di morire è lo strappo più doloroso e rumoroso, il silenzio di chi resta e il modo in cui lo si affronta non può fare lo stesso rumore della notizia e del dramma di una dipartita.
Ecco perché Cronenberg elabora e ancora sta elaborando la morte, in corti di meno di un minuto o in film come “The Shrouds”, se Crimes of the future raccontava di come l’umanità era ormai trascesa mettendo il corpo al centro di tutto, dopo la trascendenza, quando il corpo resta avvolto in un sudario cosa può esserci se non la morte? Il virus del cinema di Cronenberg prosegue la sua evoluzione in quello che è un lungo addio, che per chi resta non è, e non sarà mai, uno stacco netto come l’inizio dei titoli di coda, Cronenberg canta ancora il corpo, questa volta decomposto, la gloria e la vita della vecchia carne, il cui tocco un tempo vivo non si può più dimenticare.
Bellissimo avere un’altra occasione per gustarsi del cinema che non segue traiettorie prestabilite ma solo le proprie, sarà anche difficile consigliare il cinema di Cronenberg da anni ormai, ma ho una certa predilezione nei confronti di tutto questo, tra umorismo nero (su gli occhi al nome del sito) e sociopatia, sono ben felice di aver aggiunto un altro ottimo tassello alla ricca e nutrita collezione di frammenti della natura umana che risponde al nome di filmografia di David Cronenberg.
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