Home » Recensioni » The Sixth Sense – Il sesto senso (1999): vedo la gente Bruno

The Sixth Sense – Il sesto senso (1999): vedo la gente Bruno

Nel corso degli anni questa sgangherata Bara svolazzante ha reso omaggio ad uno dei suoi miti in ogni modo possibile, ma ho comunque preso a cuore il ritiro dalle scena di Bruce Willis quindi come sulle pagine del Zinefilo, ormai il giovedì è il giorno di Bruno e per questo, mi sembrava doveroso scrivere anche di uno dei suoi titoli più famosi, uno di quelli che mancavano da queste pagine.

Lo sapete come la penso su M. Night Shyamalan, per anni ho creduto che il buon vecchio Michael Knight avrebbe fatto il botto, per certi versi lo ha fatto ma non nel modo sperato. Ancora oggi non mi perdo nessuno dei suoi titoli perché tra alti e dolorosi bassi, i suoi film sono tutti da vedere, ma per certi versi M. Night Shyma… Shya… Michael Knight è stato marchiato a fuoco dal successo del suo film d’esordio, che poi d’esordio non è, ma il suo “Praying with Anger” (1992) lo vedeva impegnato in tutti i ruoli regista, produttore, sceneggiatore e soprattutto attore, solo in scena, quindi penso anche (unico) spettatore, mentre “Ad occhi aperti” (1998) era una commedia drammatica, con un bimbo alla ricerca di Dio come protagonista, una roba passata inosservata malgrado gli occhi aperti, che solo con il senno di poi è stato possibile valutare, per certi versi le prove generali per il film che lo ha messo sulla mappa geografica per davvero.

Colpo di scena! Il primo film di Michael Knight che ricordate, non è il suo primo film!

Lo dico fuori dai denti, ma in realtà mi ripeto, perché lo sapete che il mio film di Michael Knight preferito sarà sempre Unbreakable, eppure andai a vedere “Il sesto senso” nel mio cinemino di provincia ai tempi, quello doveva avevo visto anche Die Hard – Duri a morire, perché tanto bastava Bruno per portarmi in sala. Ci andai con due amici uno dei due, con la propensione naturale a farsela sotto davanti ad un horror, ma Bruno e la martellante campagna pubblicitaria bastava a rendere il titolo gustoso per chiunque, infatti “The Sixth Sense” è stato una svolta, non solo ha messo sotto i riflettori il nostro Shy-Guy, ai tempi lanciato come una sorta di Spielberg 2.0 ma con tanto Alfred Hitchock nel cuore (poi chiediamoci perché è andato in pezzi sotto il peso delle aspettative), ma è stato anche l’horror di maggior successo al botteghino per decenni, almeno fino al 2017, quando il suo record è stato battuto da IT (storia vera).

Colpo di scena! Michael Knight aveva previsto questo sorpasso al botteghino!

Scrivere qualcosa di innovativo su questo film oggi, a vent’anni abbondanti dalla sua uscita non ha davvero senso, sul serio si può ancora dire o scrivere qualcosa di originale su “The Sixth Sense”? Ci proverà tenendo il segreto di Pulcinella per un paragrafo a parte (tranquilli, vi farò “il segnale” quando arriverà, come al solito), perché quello che ci tengo a sottolineare dell’esordio-che-non-è-un-esordio di Shyamalan è quella sensazione di novità che avevamo quando lo abbiamo visto laggiù, nell’anno 1-9-9-9 (cit.)

Sicuramente non è stato il primo horror di successo, non è stato nemmeno il primo horror della storia del cinema con una svolta finale, ma forse in quel periodo il pubblico era ben disposto verso questa tipologia di film, tutti da rivalutare alla luce del loro “Twist in end”, diciamo che andavano forte. Eppure con un Bruno inedito come protagonista e quella svolta, Michael Knight sembrava davvero il nuovo che avanzava, ecco perché malgrado sia diventato il film con il finale più bruciato (no, non ve lo scrivo “spoilerato”, anzi mi sa che l’ho appena fatto), uno di quelli che tutti già conoscono anche senza averlo visto per davvero, “Il sesto senso”, questo esordio-che-non-è-un-esordio si è ritagliato il suo posto nella cultura popolare, quindi mi sembra doveroso accoglierlo, non a caso con il logo rosso (più avanti ci torneremo) nel club del Classidy!

Tra le mille interviste rilasciare da Shyam… Shya… Michael Knight ai tempi (e vi assicuro che sono state davvero tante!), una delle più significative che ricordo è stata quella in cui il regista ha provato a riassumere il suo film indicandolo come un incrocio tra L’esorcista e “Gente comune” (1980), anche se a mio avviso l’affermazione più azzeccata l’ha fatta Toni Collette, una che proprio con questo film ha iniziato le sue frequentazioni con il genere horror ma senza saperlo, l’attrice ha infatti dichiarato di aver capito che si trattava di un film del terrore solo dopo averlo visto, stando alle sue parti avrebbe potuto tranquillamente essere un film drammatico, anche piuttosto canonico per certi aspetti e trovo sia difficile dare torto all’australiana.

Ho sempre pensato che tutti i primi film di Shy-Guy, più o meno fino al titoli con cui la sua carriera ha fatto il botto ovvero ovvero “Lady in the Water” (2006), fossero quasi tutti film sulla fede, per certi versi lo era anche “Ad occhi aperti”, se ci fate caso la volontà dei personaggi di Shyam… Shya… Michael Knight di continuare a credere in qualcosa di superiore, è un filo rosso che lega quasi tutti i suoi primi lavori, ma in generale “The Sixth Sense” è un film in grado di raccontare, pescando a piene mani dalla cassetta degli attrezzi del cinema horror, dell’incapacità di comunicare delle persone, un tema sulla quale Shy-Guy come suo solito, batte il dito ripetuta, ripetuta, ripetutamente.

Mi sembra quasi superfluo raccontare la storia, perché tanto lo sapete che parla dello psicologo infantile Malcolm Crowe (Bruno nostro) alle prese con il caso di Cole Sear (Haley Joel Osment), un bambino che vive con la mamma Toni Collette e che riceve numerose visite da fantasmi che solo lui vede e riesce a sentire. Due personaggi spezzati perché Cole dal suo “dono” riceve in cambio solo terrore, apparizioni spaventose e in qualche caso un sacco di botte, mentre il dottore si sta allontanando sempre più dalla moglie Anna (Olivia Williams), i sensi di colpa per un ragazzo che non è riuscito ad aiutare, lo spingono a concentrarsi su Cole come per espiare i suoi errori. Visto che bravo? Nemmeno una parola sul segreto di Shyamanella che tutti conoscono.

Colpo di scena! Haley Joel Osment è più alto di Bruce Willis!

Le storie di fantasmi sono tutte storie spezzate, perché parlano di personaggi a cui è stato negato un finale, non per forza lieto, uno qualunque, lo sono sempre state e nella storia del genere horror forse sempre lo saranno, l’intuizione azzeccata di Shy-Guy è quella di pescare dalla borsa dei trucchi del genere horror, per raccontare personaggi incompleti come di norma si farebbe in un film drammatico, rendendo sottile se non invisibile l’ideale parete che divide questi generi, considerati agli antipodi solo dagli spettatori distratti.

Infatti il prologo, i famigerati cinque minuti di un film che ne determinano tutto l’andamento, non solo introducono tutti i temi (e quella recitazione flemmatica, tipica di tutti gli attori nei film di Shy-Guy), ma funzionano alla perfezione anche come inizio di un horror. Il regista ci porta in casa dei coniugi Cole e poi introduce la minaccia dell’ex paziente, con quei dialoghi sempre al limite del posticcio andante seppure efficaci («Compassionevole, insolitamente compassionevole», «Hai dimenticato maledetto»), introduce brillantemente non solo un certo grado di minaccia costante nelle vite dei protagonisti, ma anche il tema della loro impossibilità di comunicare.

Colpo di scena! Non sembra ma questo è un indizio lasciato dal regista!

Se Malcolm Crowe avesse trovato il modo di parlare con il suo paziente, tutto il film avrebbe preso un’altra direzione (anche se ne abbiamo la certezza solo alla luce della svolta finale), allo stesso modo poi, l’incomunicabilità tra persone è ovunque: tra Bruno e sua moglie che non spiccica una parola durante la loro cena di anniversario, oppure tra Cole e sua madre che ci mettono un intero film per trovare il momento giusto per sedersi e parlare. 

La stessa incomunicabilità è ben rappresentata dalle apparizioni nella vita di Cole, quei fantasmi che non sono altro che un mucchio di deambulanti storie spezzate, all’inizio tutte orribili e minacciose, almeno fino al momento in cui non le si comprende, non si comincia a conoscerle e appunto, a parlarci, quindi si passa dal pazzo urlante con cui Cole viene chiuso dai simpaticissimi compagni in soffitta, fino al ragazzino con il buco in testa che ha trovato le armi del padre, oppure gli impiccati o la ragazzina vomitante sotto la tenda (non a caso rossa, si dopo ci torniamo portate pazienza), mostri, orrori, minacce che diventano sempre meno spaventose lungo il percorso di Cole, che con il passare dei minuti impara a comunicare sempre di più. 

Colpo di scena! Toni Collette non è la sua vera madre, ne interpreta solo la parte!

Di fatto “Il sesto senso” è il romanzo di formazione di un ragazzino che sembra uscito da Shining e del suo medico che curandolo, cura se stesso, Shy-Guy ci racconta questa storia con tutta la pedanteria di cui è capace, quindi al secondo incontro Crowe e Cole fanno il giochino del se indovino qualcosa di te fai un passo verso la sedia, ma il castello di carte messo su dal regista incredibilmente funziona, funziona molto bene anche se gli indizi sono sparsi ovunque nel corso del film, molti in bella mostra.

A mio avviso “The Sixth Sense” è stato così ben accolto dal pubblico perché utilizza temi e volti provenienti dal cinema drammatico (Toni Collette e Olivia Williams), ma soprattutto perché ha azzeccato i due protagonisti, entrambi improbabili ammettiamolo: Haley Joel Osment è stato scelto dal regista perché oltre a risultare il migliore durante il provino, era anche l’unico ad essersi presentato con la cravatta dopo aver letto la parte tre volte la sera precedente. Caro bambino, hai letto le tue battute tre volte ieri? No signor regista, ho letto tutta la sceneggiatura tre volte ieri (storia vera). 

Ma per assurdo il più azzeccato di tutti è proprio quello più fuori luogo, affidare il ruolo di uno psicologo infantile a Bruce Willis, suona più o meno come far interpretare Madre Teresa di Calcutta a Valeria Marini. Bruno aveva interpretato dei piccolio ruoli drammatici, ma era decisamente uno più a suo agio con la commedia o i film d’azione, qui il suo personaggio al massimo reagisce (il contrario di un eroe dell’azione), eppure la sua prova misurata, in linea con la recitazione flemmatica imposta al regista a tutti nei suoi film, ha permesso a Bruno di rilanciare la sua carriera. Per un lungo periodo Bruce Willis sembrava pronto a comparire in filmoni fracassoni oppure a cavalcare questo suo filone più intimista, poi sappiamo com’è andata, ma per un po’ per tutti è stato chiaro che Bruno era un attore più versatile di quello che chiunque aveva creduto. Ed ora, a grande richiesta, vi faccio “il segnale”, mi sembra un po’ ridicolo sottolinearlo ma da qui in poi… SPOILER! 

Colpo di scena! In realtà Shyamalan è un medico!

Parliamoci chiaro, i film in cui alla fine Bruce Willis muore non sono certo pochi, questo mette le mani avanti, quando lo vidi al prima volta nel 1999, l’altro mio amico, con la sua sinistra tendenza a snocciolare ogni genere di teoria sui film, si vantò per una settimana di aver capito il finale da subito (ci credo, aveva teorizzato di tutto, bella forza!) ma quello che funziona ancora di “The Sixth Sense” è il modo in cui Michael Knight ci conduce per mano dentro il suo gioco, vi ho già parlato della sua pedanteria vero? 

Nel cinema del regista di Philadelphia (dove spesso sono ambientati i suoi film), l’uso dei colori è sempre significativo, in questo caso il rosso anticipa le apparizioni dei fantasmi, non è un caso che sia rossa la coperta sotto cui dorme la moglie di Bruce Willis quando si rivolge a lui parlando nel sonno, così come è rossa la maniglia della porta che il nostro Bruno prova ripetutamente ad aprire senza successo. Gli esempi sono tanti, perché di colore rosso è anche il palloncino che conduce Cole alla soffitta dove sta chiuso l’iracondo fantasma e a ben guardare, anche la tenda sotto cui si nasconde la ragazzina vomitante è dello stesso colore, una scena che per altro fece scagazzare sotto dalla paura il mio amico poco avvezzo al genere, che ovviamente è stato perculato per anni, ma anche questo fa parte del gioco (storia vera). 

Colpo di scena! Questo film non può essere visto dai daltonici!

“Il sesto senso” non è stato il primo e di certo non è stato l’ultimo (anche solo nella filmografia di Shy-Guy), film con una svolta nel finale, anche se sono certo che per molta parte di pubblico sia stato il primo film che ancora oggi indicherebbero se chiamati a citarne un titolo di questa tipologia, ecco perché anche dopo ventitré anni dalla sua uscita e anche conoscendo già il segreto di Shyamanella, il film resta godibilissimo, ancora oggi possiamo goderci gli indizi nascosti in bella vista dal regista e l’incastro con cui ha saputo tenere il pubblico sul filo per 107 minuti, tutti conditi da apparizioni horror efficacissime, quasi dei “Jump scare” placidi se vogliamo, ma non per questo meno spaventosi. 

Il tutto, in armonia con il discorso sulla importanza di comunicare tra persone (in questo caso vive o morte), infatti “Il sesto senso” si conclude solo dopo che Cole è finalmente giunto alla fine del suo romanzo di formazione, un ragazzino che ha trovato la serenità con sua madre e il suo dono (la scena in auto con Toni Collette è un trionfo di efficacissima staticità applicata alle emozioni dei personaggi), ma il film non potrebbe terminare senza che la storia spezzata di Malcolm Crowe finalmente si completi, infatti Michael Knight tiene alta la tensione emotiva generata dalla svolta, la rivelazione sul nostro Bruno, fino al vero finale del film, il saluto di Malcolm a sua moglie Anna, qui sulle note di James Newton Howard (che passano dall’ansiogeno al rassicurante all’interno della stessa colonna sonora), questo strambo film drammatico così bravo a travestirsi da horror può finalmente terminare. 

Colpo di scena! Ho scritto un intero post senza citare questa scena!

Penso che nel corso della sua filmografia, M. Night Shyamalan (l’ho scritto giusto!) sia anche migliorato, almeno prima di fare il botto, Unbreakable resta un film decisamente migliore anche nell’incanalare l’emozione del pubblico, ma penso che pochi titoli siano stati più iconici di “Il sesto senso”, che ha almeno una frase uscita dai dialoghi di questo film, per diventare un’espressione di uso comune, di solito questo succede ai classici, quindi segnate un’altra tacca sulla cintura del nostro Bruno, in carriera ha fatto anche questo.

Sepolto in precedenza giovedì 5 maggio 2022

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Mirtillo – Numerus IX (2025): Pampepato Fantasy

Non me ne vogliano i senesi o i ferraresi, ma per quanto mi riguarda, esiste una sola ricetta di Pampepato, quello giusto, quello ternano. Il Pampepato è un dolce della [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing