Se siete della mia leva, sicuramente ricorderete L’incantevole Creamy, da bambino lo guardavo come abbiamo fatto tutti, ma non era certo tra i miei cartoni preferiti, anche se aver sposato la Wing-woman, leggermente in fissa per quell’anime con sigla di Cristina D’avena, mi ha reso negli anni un esperto.
La storia in breve: Yū è una bambina che grazie al potere di un oggetto MacGuffin si trasforma nella bellissima Idol di nome Creamy, che sfornava più pezzi pop di Dua Lipa e Taylor Swift messe insieme, anche se di fatto poi era sempre la stessa canzone a rotazione. E se vi sembra un riassunto troppo stringato, sappiate che nella versione della Wing-woman, la trama è ancora più breve e termina con «… e alla fine diventa una tettona» insomma, storia vera ma anche principi di trasformazione fisica. Per questo era normale che prima o poi qualcuno ci arrivasse a fare la versione Body Horror de “L’incantevole Creamy”, quel qualcuno per nostra fortuna è la bravissima Coralie Fargeat.
Dopo Titane, un altro Body Horror al femminile si prende il festival del cinema di Cannes, si tratta del primo lungometraggio in lingua inglese di Coralie Fargeat, che torna a sviluppare il tema della bellezza permanente dopo il suo cortometraggio Reality+ che ruotava attorno ad un chip impiantato nel cervello che permetteva di vedersi bellissimi, dal suo esordio Revenge invece, ripesca la riflessione sul corpo femminile sfruttato, in questo caso non solo da uomini (anche se il produttore televisivo di nome Harvey è un indizio bello chiaro) ma dalla società, che costringe le donne a non poter sfiorire mai, costrette ad essere eternamente giovani e sexy. Fargeat riesce a riflettere su come i media contemporanei (televisione e Social) costringano una donna ad essere soda e senza rughe per un tempo infinito. Se agli uomini è concesso di incanutire diventando più affascinanti col tempo, ad una donna no e tutto questo, ci viene raccontato con la delicatezza di un METAFORONE, che non guarda in faccia nessuno, la scelta del nome Harvey per il personaggio interpretato in maniera splendidamente diabolica da Dennis Quaid (sembra Vince McMahon della WWF) è la trovata più delicata in un film che preme a tavoletta sull’acceleratore. Coralie Fargeat mette in moto il suo schiacciasassi rosa shocking tutto tirato a lucido e letteralmente asfalta il tanto decantato “Elevated Horror” con una storia semplice, drittissima e raccontata come se gli anni ’80 facessero a pugni con il 2024, che poi è un po’ quello che succede nel film.
Raccontare per immagini illustrando tutti i propri intenti nei primi cinque minuti di un film, quelli che come sapete ne determinano tutto l’andamento? Coralie Fargeat lo fa alla grande, con un’inquadratura fissa sulla stella sulla Hollywood Boulevard di Elisabeth Sparkle (Demi Moore in quello che potrebbe essere il miglior ruolo della sua carriera), diva dalla carriera un po’ appannata finita a fare la Jane Fonda di turno, con il suo programma di fitness, tutto esercizi sul posto e scalda muscoli. Il network però al suo posto vuole qualcuno di più figa e sexy, Liz lo scopre nel modo peggiore possibile e grazie ad un personaggio MacGuffin tanto quanto il folletto PinoPino di Creamy, viene a conoscenza della sostanza del titolo.
Un misterioso siero sperimentale di ringiovanimento, dopo un colpo di siringa si finisce a generare per partenogenesi una copia più giovane e in forma di se stessi, in eterna connessione (cosa prova la copia lo avverte anche la “matrice”) basterà mantenere una dieta specifica fornita di settimana in settimana e rispettare il ritmo, sette giorni di alternanza e le “due che sono una” potranno andare avanti a lungo.
Elisabeth non ci pensa due volte e dalla sua colonna vertebrale nasce Sue (la lanciatissima Margaret Qualley) che affascina tutti e finisce a fare la sua versione del programma di fitness di Liz, sulle note di Pump it up, va in onda una roba con più primi piani sui culi di una puntata a caso di “Ciao Darwin”. Ricordate il soft porno a distanza di sicurezza tra Jamie Lee Curtis e John Travolta in Perfect? Ecco una roba del genere, ma mettiamola così, per Margaret Qualley è il ruolo sexy e carico di scene di nudo che salva nella memoria collettiva del pubblico il suo corpo, in modo da non doversi spogliare mai più nei film per il resto della carriera. Insomma, la tappa obbligata per le attrici se vogliano sfondare, un dettaglio che Coralie Fargeat sfrutta a suo vantaggio per la sua storia estremamente satirica.
Se Margaret Qualley è bravissima ad impersonare da prima una stronza e poi a farci patteggiare per il suo sogno da Cenerentola e infine, a farci provare anche pena per lei, una menzione speciale se la merita Demi Moore, una che ha basato la carriera sul suo corpo e la sua immagine, dal taglio di capelli di “Soldato Jane” (1997) fino al nudo percepito (è molto più nuda qui) di “Striptease” (1996) per arrivare al bikini di Charlie’s Angels, sfoggiato ad un’età già avanzata per far pensare a tutti, urca la Demi! Ecco, qui è la stessa cosa, anzi è proprio il tema del film.
Quel continuo cercare di rimandare gli effetti di Padre Tempo che prima al cinema, aveva raccontato con misto di orrore e satira così bene solo Zemeckis nel suo La morte ti fa bella, qui trova in Demi Moore un’interprete generosissima, anche nel mostrarsi sfatta, come a voler ricordare a tutti che per le donne di spettacolo, l’orologio corre al doppio della velocità, e il film di Coralie Fargeat ha lo stesso inarrestabile ritmo.
Esattamente con in Revenge ci sono ancora un tripudio di bellissime protagoniste che girano per corridoi ultra cesellati in mutande, ma il fuoco è sempre sul corpo femminile, sfruttato in questo caso per il divertimento del pubblico, per un film che racconta il suo Eva contro Eva (anche se tecnicamente Eva è sempre la stessa donna) applicando alla perfezione la lezione dei grandi Maestri del cinema fatto di carne e sangue, da Cronenberg la regista prende in prestito il Body Horror, realizzato con un riuscito mescolamento di effetti digitali e pratici vecchia maniera e da Verhoeven, prende la satira, i colori laccati e i corpi mozzafiato delle protagoniste, ricordando a tutti per l’ennesima volta che Showgirls ha dato alle storie simili uscite dopo il 1995 più di quello che all’Olandese non è mai stato riconosciuto.
In questo episodio de “L’incantevole Creamy” diretto con lo spirito e il piglio di un Brian Yuzna, Coralie Fargeat, ci spiattella in faccia tutte le ipocrisie della nostra società, il modo in cui sfrutta le donne e le costringe ad una lotta le une contro le altre, ben esemplificata dai dispetti e le ripicche di Liz che auto sabota Sue, con trovate di puro Body Horror che riescono a risultare anche comiche (a patto di essere armati di gran umorismo nero), certo, non si arriva agli estremi di Society (anche se…) ma chiarisce alla perfezione concetti come i cibi grassi, che si sa, finiscono subito sui fianchi no?
I messaggi di “The Substance” sono talmente chiari da non risultare nemmeno didascalici, ma proprio solo sentiti e basta, la direzione non può che essere quella del disastro, perché lo sappiamo tutti che questa storia di scorciatoie verso la fama, non può finire bene, ma la qualità degli effetti speciali e l’energia di Coralie Fargeat nel raccontare tutto questo, mescolando vizi e virtù dell’industria cinematografica, pescando a piena mani dagli anni ’80 fino al 2024 è una ventata d’aria fresca. Quasi un peccato raccontarvi i dettagli dell’inevitabile trasformazione (ovvia in un Body Horror) scopritela, inorridite ridendo di questa satira che si ferma un passo prima di Brian Yuzna, ma ha il suo stesso piglio provocatorio.
Nel crescendo finale, in questo suo METAFORONE sparato dritto in faccia al pubblico, Coralie Fargeat non fa prigionieri e mescola cinema considerato “alto” a quello storicamente “basso”, in un tripudio Body Horror troviamo “The Elephant (wo)Man” che va a braccetto con Freaked, anzi il finale è Carrie di De Palma ma con lo stile e la classe di Sid Vicious nel video di My Way, anzi, forse dovrei citare anche “Mi sdoppio in 4” (1996) ma so di avervi confuso già abbastanza con tutti questi riferimenti.
Per riportare in carreggiata voi e il post, posso solo aggiungere che “The Substance” sfotte, non le manda a dire, diverte, chiude alla perfezione il suo satirico cerchio e non prende prigionieri, a mani basse il titolo più Punk dell’anno e molto probabilmente, anche uno dei migliori horror della stagione, che bello vedere qualcuno che urla il suo METAFORONE passando sopra tutto l’elevated Horror. In retromarcia. Due volte.
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