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The War – Il pianeta delle scimmie (2017): I’m talkin’ about (the) war

Me la sono presa calma complici le vacanze, ma non mi sono affatto dimenticato, è il momento di completare la rubrica… Blog of the Apes!

War, what is it good for? Absolutely nothing, say it again. War, what is it good for? Absolutely nothing, come on! 
 
Il celebre inno contro la guerra di Norman Whitfield che, personalmente, ho sempre amato nella muscolare versione di Bruce Springsteen è la facilissima associazione di idee che mi balza alla mente di fronte all’ennesimo colpo di genio della nostra distribuzione che decide di “tradurre” un titolo inglese (War for the Planet of the Apes) con un altro titolo pseudo inglese come “The War” (però con sottotitolo), tirando le somme possiamo dire che il vero minimo comune denominatore della saga del pianeta delle scimmie, oltre ai quadrumani sono i pessimi titoli inventati in uno strambo Paese a forma di banana scarpa.
In ogni caso, ho visto anche questo ultimo capitolo, mi è piaciuto? Sì, ma anche no, cioè sono confuso (più fuso che con) partiamo dalla fine, partiamo dal cattivo. Cosa gli vuoi dire ad una saga che nel giro di due film, si gioca nel ruolo del cattivo due dei miei attori preferiti di sempre? Prima Gary Oldman ed ora Woody Harrelson, davvero poco se non fosse che malgrado abbia trovato Harrelson più in parte, entrambi hanno sformato due prove che non sono criticabili, ma nemmeno verranno ricordate tra le migliori di questi due grandi attori, che poi è forse il miglior concetto applicabile a questo film. 

«Mi insapono il capello…» (Ok non era così la canzone originale).

“The War” è la perfetta conclusione di una trilogia che malgrado il cambio di regista tra il primo e il secondo capitolo, ha saputo restare estremamente coerente con sé stessa nel bene e nel male. Anche in questo terzo film non mancano le strizzatine d’occhio ai film originali della saga, ma soprattutto raramente al cinema abbiamo visto tre film in grado di portare avanti dei personaggi fino a far completare loro un arco narrativo coerente, il tutto mantenendo anche una certa omogeneità visiva.

Il problema di questo film è un po’ quello di tutta la nuova trilogia delle SIMMIE, ovvero che dentro potete trovarci dieci idee buone, ma anche altrettanti spunti scemi quasi tutti di sceneggiatura. Probabilmente questa trilogia verrà ricordata come molto intelligente, anche se, a ben guardare, non lo è poi davvero. In pratica è
proprio come il suo protagonista, Cesare, un personaggio che viene considerato
bravo e intelligente perché di fatto scimmiottare (ah ah) tutti gli atteggiamenti umani compreso quello di parlare, un po’ meglio di un uomo, un po’ peggio di una bestia.

Lo voglio anche io il casco che ti trasforma in una scimmia!

Tutta questa nuova trilogia fa proprio questo: scimmiotta qualcun altro. Avevo delle aspettative per questo “The War”, perché se L’alba del pianeta delle scimmie (2011) era una rivisitazione di 1999 – Conquista della Terra (1972) e Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie (2014) prendeva spunto da Anno 2670 – Ultimo atto (1973) per questo film mi aspettavo che il regista Matt Reeves e lo sceneggiatore Mark Bomback, decidessero di camminare finalmente eretti e dire davvero qualcosa di nuovo, invece “The War” risulta essere solo la “Coda strumentale”, passatemi la “metafora musicale” di Apes Revolution, un film che pesca ancora a quattro mani da Anno 2670, lo fa in certi momenti anche molto bene, ma manca lo spirito originale quello anche satirico di Pierre Boulle che nel 1963 scrisse il racconto originale.

Certo, rispetto alla concorrenza in circolazione, fatta di tante super calzamaglie e remake inutili questa nuova trilogia delle SIMMIE sta mezza spanna sopra tutti, cosa gli vuoi dire ad un film in cui le scimmie che già nel capitolo precedente erano quasi perfette ora sono addirittura migliori, non più personaggi in CGI, ma quasi un costume di scena computerizzato, indossato da attori in stato di grazia come Andy Serkis, che qui ci regala una prova che senza i peli digitali probabilmente gli avrebbe permetto di mettere qualcuno dei premi che contano sopra la mensola del camino di casa.

Se mai dovesse vincere un Oscar, chissà se Andy andrebbe a ritirarlo in smoking oppure indossando i sensori.

“The War” fin dal titolo (anche quello brutto italiano) era l’occasione per questa nuova trilogia di portare avanti il testimone dei vecchi film della saga, composta da un capolavoro del cinema e da tanti film di puro intrattenimento, di qualità inferiore, ma sempre pronti a fare satira del mondo moderno che fosse l’incubo nucleare, la paura del diverso, oppure la rivolta dei “Fratelli” neri negli Stati Uniti.

Sì, vero, in questo film ci sono un sacco di temi e tematiche anche serie, popoli in fuga dalla guerra, esodi di massa, ci sono campi di concentramento e scimmie “collaborazioniste”, però vigliacca se mai, anche per un solo momento Matt Reeves e Mark Bomback ci dicano in modo chiaro e preciso: “Sì, stiamo facendo un metaforone sul pianeta Terra dell’anno 2017”, non accade mai, cosa fanno loro? Ci ricordano come fa Bruce Springsteen in apertura di questo post che la guerra è brutta e non serve a niente e nessuno, ma per farlo guardano alla Siria, all’Afghanistan e agli altri (purtroppo) mille fronti aperti? Ma va! Prendono a modello ancora una volta Apocalypse Now (1979), che è sempre cosa buona e giusta ok, però era la risposta di Coppola alla sua guerra di allora, quella del Vietnam.

This is the jaw, my only friend the jaw (Quasi-Cit.)

Dopo Kong: Skull Island abbiamo un altro film di scimmie ricalcato sul capolavoro di Coppola, se non fosse chiaro fin dalla prova (magnetica) di Woody Harrelson che fa il colonello Kurtz della situazione, basterebbe il visibilissimo graffito che compare nel film “APE-OCALYPSE NOW” più chiaro di così Reeves cosa dovrebbe fare? Mettere un pezzo degli anni ’60 come sottofondo ad una delle scene più intense? Ah no, ha fatto pure quello, “Hey Joe” di Jimi.

Visivamente il film è molto bello, avevo già detto che Matt Reeves è bravissimo a gestire la palette di colori e qui conferma la mia tesi, i toni del film seguono il viaggio di Cesare e dei suoi compagni, Maurice, Rocket e ehm… Luca (avevano finito i nomi esotici), quelli che io ho ribattezzato “I quattro della SIMMIA selvaggia”. Ah, lo dico per correttezza: da qui in poi volano SPOILER sul film!

Cavalcano insieme, i quattro della scimmia selvaggia!

Un viaggio che parte a cavallo lungo la spiaggia (come Taylor e Nova) dove i colori sono caldi, si fanno più freddi come accade a Cesare che si ritrova il pelo sempre più ricoperto di neve ad ogni tappa del suo viaggio in verso un ideale cuore di tenebra. Il travagliato finale dell’arco narrativo di una scimmia con tormenti da uomo il cui unico obbiettivo è andare ad uccidere il Colonnello Kurtz McCullough per vendicare la morte della sua famiglia.

Cuore di tenebra SIMMIA.

Un percorso ad ostacoli che prevede scelte sempre più difficili, come portarsi dietro la portatrice sana del nuovo ceppo del virus che ha prima sterminato gli umani ed ora li sta facendo diventare sempre più scemi e muti, una bambina che infatti come si chiama? Nova (occhiolino occhiolino). Ma anche dover affrontare il tradimento di scimmie collaborazioniste come Winter, quanti altri blockbuster estivi moderni ci sono in giro che si giocano una scena drammatica come quella proprio tra Cesare e il gorilla bianco? Ve lo dico io: nessuno.

Tanto di cappello per utilizzare Koba come voce della coscienza di Cesare, ma ancora di più fare di Winter un gorilla albino, una forma di vita rarissima che in altre condizioni sarebbe da preservare a tutti i costi, come Copito de Nieve, il gorilla albino che ha vissuto una vita nello Zoo di Barcellona, mentre qui non fa che rendere ancora più drammatica la scelta di Cesare.

Il sogno del gorilla bianco.

Mettiamoci dentro anche il personaggio di Asino (“Ti lasci chiamare asino?”) il personaggio che incarna la rivolta delle scimmie e il ritorno al potere di Cesare, tutta roba validissima che apprezzo niente da dire che, però, proprio come gli altri capitoli della saga, va di pari passo con scelte di sceneggiatura frettolose e se non proprio sceme.

Tutta la faccenda del virus mutato in una nuova forma viene tirata dentro alla storia per i capelli, per cercare di dare una forma circolare alla saga e mettersi in scia al film del 1968, l’effetto collaterale è che Woody Harrelson tutto sommato si riduce ad un altro padre tormentato (come Cesare, come Gary Oldman nel film precedente) che disinnesca la tanto promessa “Guerra totale” che era alla base di tutta la campagna pubblicitaria del film, doveva essere “SIMMIE vs. Umani: Scontro finale”, invece ci troviamo davanti, “Umani Vs. Altri umani, ma di più e poi se abbiamo tempo magari impalliniamo pure due scimmie”.

«Uh-uh ah ah uh!» (Tradotto dallo scimmiesco: Metaforone!).
Certo, il “Duello” finale tra Cesare e McCullough è uno scontro tra due ottimi attori come Andy Serkis e Woody Harrelson, mi spiace solo che il secondo non cacci mai fuori la mascella nella sua caratteristica mimica, mi esalto ogni volta che lo fa!
Il prezzo da pagare è l’enorme metaforone del muro da costruire, che non sarebbe comunque in grado di fermare niente e nessuno visto che viene demolito con una facilità irrisoria, oppure la scimmia con il piumino imbottito da paninaro perché la spalla comica non può mai mancare, che nome gli diamo a questo personaggio visto che con “Luca” ci siamo giocati l’estremo gesto di fantasia? La chiamiamo “Scimmia cattiva” perché è il modo in cui gli umani la chiamavano sempre, idea che conferma il fatto che uno dei miei cani probabilmente penserà di chiamarsi “Dina levati!” perché ha la capacità di ficcarsi sempre in mezzo ai piedi nei momenti meno opportuni (storia vera).

Povero, povero Sméagol… Ah no scusate, film sbagliato!

Quando poi la guerra, quella vera, contro il famoso esercito gigante che ormai è in marcia già dallo scorso film dovrebbe cominciare davvero, di fatto non comincia mai (come per gli Estranei di Giocotrono) perché tutto si risolve con l’ennesima trovata assolutamente cretina dettata dalla fretta: una mega slavina che centra in pieno tutti tranne Cesare (ovviamente) e il resto delle scimmie buone salite sugli alberi. Perché è notoriamente risaputo che quintali di neve in caduta libera non travolgono MAI gli alberi, ma solo le persone, possibilmente armate di mitra.

Insomma, capite la mia posizione? In “War for the Planet of the Apes” ci sono dieci cose per cui potrei tranquillamente amare questo film e quasi altrettante per cui per quanto ben fatto, mi è sembrato la giusta conclusione dell’arco narrativo di Cesare, ma una grande occasione sprecata in quanto a fantascienza che fa satira e metafora nei NOSTRI tempi, il finale di una favola fantasy in cui le SIMMIE avrebbero potuto essere quasi qualunque altra cosa (uomini rettili con le antenne, folletti, fate voi) e non sarebbe cambiato poi molto, in questo senso il film dimostra di non aver capito né la lezione di Pierre Boulle né quella del film del 1968.

«Tanto ho la testa più dura delle tue pallottole»

Però, devo dire che se i protagonisti non fossero state scimmie, ci saremmo persi quello che è forse il vero grande contributo di “The War” all’enorme panorama dei “Monkey Movies”, questo va detto, perché Matt Reeves ha avuto il coraggio di rompere un tabù: questo è il primo film in cui una scimmia lancia la sua cacca contro un umano, un momento storico! Anzi, dirò di più, il lancio della cacca è un elemento chiave è il momento in cui le scimmie riescono a mettere in atto il loro piano con tanto di tunnel scavato per fuggire (come ne “La grande fuga” del 1963 e sono già due volte che questa trilogia cita questo capolavoro). Insomma, è un piccolo lancio di cacca per una scimmia, ma un passo enorme per i Monkey Movies!

Le SIMMIE esultano per il grande risultato raggiunto!

Bisogna anche dire che non manca la volontà da parte di Reeves e Bomback di rifarsi a tanto cinema americano classico, oltre ai già citato La grande fuga e “Apocalypse Now”, nel film troviamo un po’ di “Spartacus” e il finale poi, in cui la palette cromatica torna ad essere calda, grazie a quei toni del rosso non ho potuto non pensare a “I dieci comandamenti” (1956), vuoi anche per un’associazione di idee visto che qui Cesare porta i suoi nella terra promessa
come un Mosè scimmiesco ed ora che ci penso vi ricordate chi interpretava Mosè nel film di Cecilia B. DeMille? A volte questo pianeta (delle scimmie) è davvero molto piccolo, il cerchio è completo, così come questa rubrica.

«Indovinate chi è tornato?» 

Cassidy saluta con il linguaggio dei segni poi correndo sui pugni si arrampica su un albero e scompare tra le foglie.

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