Non posso professarmi vero fanatico di Wrestling, ma devo dire che la mia bella dose di prese e salti dalla terza corda me li sono goduti anche io, un po’ come molti altri ex bambini degli anni ’80. Va detto poi che ci sono storie che sembrano fatte e calzate per il cinema, come quella della famiglia Von Erich.
Se conoscete questo nome, vuol dire che seguivate il Wrestling professionistico americano prima dell’epoca della WWF, prima di Hulk Hogan, Ultimate Warrior e tutti gli altri, il periodo in cui Ric Flair era già un nome grosso e i Von Erich portavano avanti una tradizione di famiglia inaugurata da papà Jack “Fritz” Von Erich, anche proprietario della federazione World Class Championship Wrestling.
La famiglia Von Erich potrebbe tranquillamente competere anche per il campionato mondiale della “Negation of the pussy” (cit.), tanto da poter tranquillamente parlare di maledizione di famiglia senza passare per paranoici. Era automatico che qualcuno ad Hollywood questa storia di drammi e chiavi articolari volesse raccontarla, nello specifico Sean Durkin, regista che si era un po’ perso con il suo “The Nest – L’inganno” (2020) ma di cui avevo apprezzato ai tempi l’esordio con “La fuga di Martha” (2011). Confermando la sua propensione per queste storie di famiglie tormentate, Durkin sforna una biografia che a livello di coinvolgimento emotivo e singole prove attoriali, risulta peggio di “The Wrestler” (2008) ma per fortuna meglio del disastroso “Cassandro” (2023) con cui però ha molto in comune, come la storia (vera) alla base e un cast quasi interamente composto da attori e attrici solitamente associati ai film drammatici… e poi c’è Zac Efron.
Già, parliamo di Zac Efron perché va detto che si, viviamo in un mondo bizzarro, uno dove se un regista sceglie un attore che sa recitare per davvero e non è un imitatore, la gente s’indigna, piagnucola sui social e il film non lo va a vedere. Se invece Hollywood sforna una trametta finta come una banconota da tre Euro, una costosa puntata di Tale e quale Show la gente urla «CAPOLAVOROOOOOO!» ammaliata da quello che io chiamo “L’effetto ma è uguale”, perché nel mondo strambo in cui viviamo, al pubblico non interessa vedere belle prove di recitazione, conta solo la somiglianza percepita. Ecco perché le prima immagini di “The Iron Claw” sono state accolte da cori di “notevole trasformazione” per Efron, che è amato dal pubblico, non lo metto in dubbio, però gente, trasformazione di cosa? Guardate la filmografia del buon Zac e poi ditemi se non è uno che si sceglie i ruoli in base alla possibilità di poter recitare a torso nudo, un po’ stile Matthew McConaughey prima maniera, prima della riabilitazione, prima di Friedkin e se ve lo state chiedendo no, “Ted Bundy – Fascino criminale” (2019) non vale come titolo cambia-carriera, anche perché beh, non ha spostato nulla per Efron.
Che il ragazzo stia in gran forma non è una novità, qui lo ritroviamo nei (pochi) panni di Kevin Von Erich e più che la grande prova che in molti si aspettavano da lui, al massimo possiamo dire che si tratta di una buona scelta di casting, per un film che proprio nella selezione di attori e attrici mette in chiaro il suo interesse ad essere più un dramma che un film sportivo, anche se va detto che “The Iron Claw” manda al tappeto al primo round quella menata di “Cassandro”, qui lo stacco tra la controfigura e gli attori principali è mimetizzato molto meglio, inoltre la consulenza di Chavo Guerrero Jr (che nel film interpreta anche il ruolo di The Sheik) si notano, le coreografie sono ben fatte quindi… VIVA LA RAZA! Anche se il lavoro del fratellino del compianto Eddie fa a pugni con la regia di Sean Durkin, ma su questo torneremo più avanti, lasciatemi l’icona aperta, prima abbiamo un altro dramma da sviscerare: il titolo “italiano” del film.
Invece di appioppargli il solito sottotitolo italiota, tipo Una famiglia al tappeto, “The Iron Claw” da noi diventa “The Warrior – The Iron Claw”, costringendo un grafico a mettere mano alla locandina per aggiungere parole nella lingua ufficiale italiana, ovvero l’inglese. Porcata per porcata, forse sarebbe stato meglio chiamarlo “The Warriors” visto che questo sono i Von Erich, anche perché dubito che il grande pubblico si ricordi ancora di “Warrior” (2011) con Tom Hardy, peccato perché a me è sempre piaciuto. Fine del paragrafo dedicato al disastroso titolo “italiano”, passiamo al film.
I Von Erich sono guerrieri per tradizione, maledetti dalla sfortuna da cui cercando di scappare con un cambio di nome considerando che in passato, hanno già perso un fratello, un dramma che Sean Durkin porta sullo schermo in modalità “Lo dimo” (cit.) perché già la storia e i Von Erich sono falcidiati dalla sfiga, aggiungere un altro lutto sarebbe sembrato il classico caso in cui viene voglia di consigliare allo sceneggiatore di mettere giù il fiasco, anche se è accaduto davvero, perché nessuno può colpire duro come fa la vita. Oddio forse solo la sfiga può farlo.
L’unico fratello non interessato all’azienda di famiglia è il più giovane, che insegue i suoi sogni di gloria nella musica anche se poi è costretto a suonare nei locali di nascosto dal padre padrone Fritz Von Erich (Holt McCallany, altra buona scelta di casting). Il prediletto, quello su cui puntare è ovviamente Zac Efron nei (pochi) panni di Kevin, all’inizio del film lo vediamo stringere una relazione con Pam (Lily James) ed esibirsi sul ring nella mossa finale ufficiale della famiglia Von Erich, la “Iron Claw” del titolo, oltre che METAFORONE. All’inizio del film ne fa le spese il lottatore Gino, infatti mi sono chiesto come mai, nella festa dopo il match si senta (Don’t Fear) The Reaper dei Blue Oyster Cult, che va ricordato, è la canzone ufficiale degli Slasher, io personalmente avrei optato per un pezzo ben più adatto dei Latte e i suoi derivati.
“The Iron Claw” riesce a ricostruire molto bene l’atmosfera della Dallas degli anni ’80 e di tutto il sottobosco della scena Wrestling di quel periodo, scoprendo le carte poco alla volta mette in chiaro le dinamiche della famiglia Von Erich, dove di colpo papà inizia a puntare più sul secondo fratello, David (Harris Dickinson), decisamente più a suo agio nel ruolo di “Showman”, microfono alla mano sul ring, perché per essere un campione in questo sport, devi eccellere anche nell’arte del “dissing”, il caro vecchio prendersi a parolacce.
Chi invece sognava di eccellere in un’altra disciplina, come Kerry Von Erich (Jeremy Allen White), è costretto a schiantarsi di faccia contro il boicottaggio americano delle Olimpiadi di Mosca del 1980, accolto a braccia aperte da papà Fritz nell’azienda di famiglia, giusto in tempo per un “Training montage” sulle note del pezzo d’ingresso dei Von Erich, la mitica Tom Sawyer dei Rush, colonna sonora della loro faida con i Fabulous Freebirds in attesa di poter affrontare il loro personale Ivan Drago, ovvero il “Nature Boy” Ric Flair.
Fino qui la cronaca di un film che riesce ad essere più interessante del leggersi la pagina Wikipedia dedicata ai fratelli Von Erich e se anche conoscete la loro drammatica storia, riuscirà comunque a coinvolgere, più che altro perché ben calato nella sua dimensione di “drammone”, in cui le sfighe si susseguono ed è quasi impossibile non affezionarsi a questa tormentata famiglia di guerrieri in lotta con tutto e tutti. Ecco perché il tanto amato Zac Efron, malgrado avere il ruolo di traino, visto che è l’arco narrativo del suo personaggio a portare avanti la storia, si vede più volta superato a destra da tutti, nella storia da fratelli più pronti di lui al ruolo e nella finzione da attori ben più adatti a recitare questo tipo di materiale. Si, è ora di parlare di Jeremy Allen White.
L’ex Lip Gallagher di “Shameless” vive un momento d’oro grazie alla popolarissima The Bear dove va detto, è bravissimo. Per la gioia della mia amica Lisa, qui passa quasi tutto il tempo in mutande a sfoggiare il fisico quindi alla pari di Efron, quindi risulta tutto sommato credibile nel ruolo e perfettamente nel suo, specialmente quando la trama volta verso il drammatico spunto, non voglio aggiungere altro perché l’elenco delle sfighe che hanno funestato la famiglia Von Erich è già abbastanza tragico così senza bisogno di anticiparle tutte.
Il problema di “The Iron Claw” sta negli scarti di tono, è chiaro che Sean Durkin sia più nel suo quando si tratta di raccontare drammi familiari, tirando fuori ottime prove dai talenti di cui dispone, un po’ meno quando è ora di fare Wrestling, in tal senso sembra identico al personaggio di Zac Efron. Infatti per tutto il tempo mi sono morso le nocche dei pugni pensando: «Che cacchio serve avere la consulenza di Chavo Guerrero Jr per le coreografie se poi riprendi tutto così da vicino?»
Io capisco che la dimensione sia quella del dramma intimo, anche Aronofsky ci dava dentro con i primi piani e le inquadrature strette su Mickey Rourke in “The Wrestler”, però sapeva anche cogliere il punto di vista dei combattimenti dentro e intorno al ring quando serviva. Ad esempio ho amato moltissimo la scelta alternativa fatta per il secondo “training montage” del film, invece che usare un altro classico della musica rock anni ’80 mentre Efron si allena, il regista Sean Durkin opta per un montaggio alternato con uno scatenato Ric Flair (Aaron Dean Eisenberg) in tv, intento a dirne di tutti i colori contro il suo prossimo avversario. Tutto molto bello, peccato che poi l’allenamento sia mostrato tutto in primi o primissimi piani su Efron intento a fare le flessioni. Per non parlare di Flair, non caratterizzato, per esigenze narrative ridotto a mera nemesi di turno, se non proprio funzione narrativa.
Insomma “The Iron Claw” aveva per le mani una storia carica di dramma e già pronta per il grande schermo, perché sceneggiata dalla Vita in persona e scritta a colpi di sfiga, quindi ben più crudele di qualunque sceneggiatore, anche perché libera dai vincoli che regolano un copione. Per fortuna risulta meglio dell’imbarazzante “Cassandro” sotto tutti i punti di vista e anche di alcune biografie edulcorate a cui interessa davvero solo buttare fuori un film dedicato a qualche nome noto da dare in pasto al pubblico generalista. Se Sean Durkin ha scelto di raccontare dei Von Erich non lo ha fatto certo per moda o per sfornare un film per la massa (a quello ci penserà, forse, la biografia su Hulk Hogan con Chris Hemsworth, se mai la vedremo), però è chiaro che il suo territorio siano i drammoni di famiglia, più che quelli sportivi.
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing