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The Wicker Man (1973): l’ombra dell’uomo di vimini sta risorgendo di nuovo

Tra i compleanni più importanti dell’anno, non si possono certo dimenticare i cinquant’anni di quello che è forse il più famoso “Folk horror” di sempre, anche se sarebbe più indicato definirlo famigerato.

Un titolo di culto con l’aurea di film maledetto, definito il “Quarto potere” del cinema horror, censurato in tutti i paesi in cui è uscito e per assurdo mai visto integralmente forse da nessuno. A causa degli errori fatti all’epoca nella conservazione dei negativi originali, ancora oggi la caccia alle scene mancanti o alla versione con più minuti di questo film, rappresenta una sorta di Sacro Graal per i cacciatori di pellicole del mondo, basta dire che nemmeno la Director’s Cut della durata di 102 si avvicina per intero al girato completo del regista Robin Hardy.

Anche lui una specie di enigma, visto che in carriera ha diretto pochissimi film, tra cui una sorta di seguito spirituale di ”The Wicker Man”, uscito nel 2011, intitolato “The Wicker Tree” e sempre con Christopher Lee in un piccolo ruolo, forse in continuità con quello ricoperto nel 1973, forse no, non lo sa quasi nessuno, visto che personalmente il film non ho mai avuto l’occasione di vederlo, ma anche i pochi che hanno partecipato ai festival dove ha girato, non riportano certo notizie entusiaste, anche se trovo più significativo il fatto che Hardy dopo tutti questi anni, non abbia ancora davvero lasciato l’isola di Summerisle.

Hardy mostra i frutti (ah-ah) del suo lavoro.

Posso dirlo a costo di passare per eretico? Secondo me “The Wicker Man” è il classico horror di cui tanti parlano ma che in realtà pochi hanno visto, moda fin troppo popolare tra gli appassionati di film dell’orrore che ora vorranno mettere me dentro l’uomo di vimini, ma è così, STACCE! Complice il fatto che non sia così semplice reperirlo (tocca arrangiarsi), la fama precede questo film e la sua influenza da Albione si è sparsa nel mondo, basta dire che anche gli Iron Maiden si sono ispirati a “The Wicker Man” per il loro pezzo omonimo.

La genesi del film è stata particolare, lo scrittore David Pinner aveva pensato al suo “Ritual” come sceneggiatura per un possibile film, senza trovare mai davvero una produzione, finì per riadattare la storia sotto forma di romanzo, che solo a quel punto attirò l’attenzione dello sceneggiatore Anthony Shaffer, che arrivava da due titoli entrambi del 1972, robetta da niente come “Frenzy” di Alfred Hitchcock e “Gli insospettabili”. Insieme a lui un compare degno di nota, l’attore Christopher Lee, che ne aveva le tasche decisamente piene di continuare ad interpretare Dracula ed era in cerca d’altro.

Per anni Lee ha dichiarato che tra i tanti film a cui ha lavorato, “The Wicker Man” era il suo preferito (storia vera), tanto da ridursi lo stipendio pur di prendere parte ad un film dal budget bassissimo, che ad un certo punto ha realizzato che forze il romanzo “Ritual” non gli serviva nemmeno così tanto, prendendo in prestito lo spunto del poliziotto ultra cattolico impegnato in un’indagine, e spingendo a tavoletta del pedale del paganesimo. Ultimo tocco il titolo, che trova un senso solo nella memorabile e spaventosa sequenza finale, pare che il fantoccio di vimini fosse stato citato in precedenza da Giulio Cesare nel suo De Bello Gallico, come parte chiave di un rituale dove venivano sacrificati piccoli animali e forse anche esseri umani. Alla faccia della pozione magica di Asterix.

Ci sarebbe da indagare sulla famigerata pozione di Panoramix.

Aggiungiamo altro materiale? Concedetemi qualcosa di personale: “The Wicker Man” è strutturato quasi come un musical, quindi implicitamente da brividi per uno come me che non va pazzo per questo genere. Inoltre riesce nell’impresa di raccontarci tutta la storia dal punto di vista di un personaggio con cui non potrei avere meno con cui spartire: un poliziotto inglese, timorato di Dio, conservatore ben oltre il rischio di passare per bacchettone e a dirla tutta, nemmeno simpaticissimo. Il sergente Howie aveva almeno la religione in comune con l’attore che lo interpreta ovvero Edward Woodward, tra le leggende che hanno alimentato il mito del film anche quella per cui durante le riprese, l’attore abbia perso una collanina con un crocefisso a cui teneva molto, salvo poi ritrovarla trent’anni dopo, una volta tornato sui luoghi delle riprese in vista dei festeggiamenti per il film. Immagino come debba essersi sentito, non so se è storia vera ma intanto ve la riporto, perché con “The Wicker Man” è tutto così, avvolto nel mito.

Robin Hardy ha la prima intuizione geniale subito, anche se diventa più facile da notare la seconda volta in cui vedrete il film, ovvero cominciare con il sergente Howie in chiesa, impegnato a leggere la Bibbia, a pregare e a ricevere l’eucarestia, l’ostia che rappresenta il corpo di Cristo da divorare, roba che guardata con occhi diversi da quelli di un Cattolico, risulterebbe quanto meno bizzarra. Siamo nei primi cinque fatidici minuti del film e Hardy ha già messo sul tavolo una delle chiavi di lettura di “The Wicker Man”.

Simpatico come il vigile urbano che ti dice che ha già iniziato a compilare il modulo per la multa e non può annullarla, anche se sposti l’auto.

Quando Howie atterra in idrovolante sull’isola di Summerisle, siamo già alla terza canzone in sottofondo e qui l’indagine del poliziotto può iniziare, anche se nell’omertà più totale dei locali, nessuno pare aver mai sentito parlare di questa Rowan Morrison, bambina scomparsa da mesi, di cui lo sbirro ha ricevuto notizia tramite una lettera.

Sapete cosa dico spesso quando si tratta di film nell’orrore no? Trovo più spaventoso un titolo in grado di entrarti sottopelle, capace di mettere su un’atmosfera malsana, piuttosto che uno che ti lancia addosso secchiate di sangue e budella, puntando a farti saltare di paura sulla poltrona. Gusto personale, però negli anni questa è la tipologia di horror che mi resta incollata addosso anche dopo i titoli di coda, sicuramente “The Wicker Man” appartiene a questa cerchia ristretta, oltre a quella dei Classidy!

Sono decisamente la persona peggiore del mondo per trattare l’argomento religione, ho posizioni abbastanza estreme sulla questione, però a volte penso che l’unico vero modo per cogliere l’essenza di “The Wicker Man” in un suo potenziale rifacimento (si, di quello con Nicolas Cage parleremo a breve, state tranquilli) sarebbe raccontare la società occidentale attraverso gli occhi di un mussulmano conservatore. Forse solo così si potrebbe cogliere il senso di un personaggio che si ritrova calato in una realtà, dove la sessualità è ovunque, manifesta, spesso utilizzata per vendere boh, il silicone nelle pubblicità alla televisione. Anche se bisogna dirlo, forse “The Wicker Man” non si può semplicemente ripetere, anche se lo stesso Robin Hardy ci ha in qualche modo provato, perché ha saputo cogliere alla perfezione il momento storico.

«Donne nude, io vi esorcizzo!»

Il sergente Howie sull’isola di Summerisle si ritrova solo e circondato da una società in cui la sessualità è ovunque, quando arriva al pub per cercare una stanza dove soggiornare, incontra la bellissima Willow (quella meraviglia di Britt Ekland), la figlia del locandiere al centro di una delle tante canzoni del film, una particolarmente zozza cantata dagli avventori del Pub, equivalente locale della nostrana “Osteria numero mille” o giù di lì, giusto per darvi un’idea.

«… sono commissario e ti faccio un culo così!» (cit.)

Dalla sua camera assiste alle attività notturne della bella Willow, venerata come Afrodite a cui vengono dati in dono ragazzi da far diventare uomini, il tutto mentre ai tipi al Pub sale la ciucca triste e iniziano a cantare Gently Johnny, che sarà un po’ più tenera nel suo stile ballata, ma non per questo meno carica di sessualità nel testo.

Mentre Robin Hardy ci stringe attorno al collo le spire di un’atmosfera destinata a restarci appiccicata addosso anche dopo i titoli di coda del film, visto che per il sergente Howie tutto quello che succede sull’isola è assurdo. Dal fatto che le compagne di scuola e la maestra di Rowan Morrison, mentano sull’evidente assenza in classe della bambina, fino al banco vuoto in cui hanno legato uno scarafaggio ad un filo, per non parlare della canzoncina (ve l’ho detto che è di base un musical no?), con cui i maschietti della classe in cortile, rendono onore all’albero di maggio, simbolo fallico di vita, con una canzoncella che parte con due che stanno ballando il mambo del materasso.

«Signorina Maccabei, dica lei, dove sono i Pirenei?» (cit.)

Howie, ultra religioso, vergine non perché nato a settembre ma perché fedele ai precetti della sua fede, che prevede che lui consumi solo dopo aver convolato a giuste nozze, in un ambiente del genere è vittima di costanti aggressioni a tutto quello in cui fortemente crede. Mettiamoci pure che non è affatto un personaggio per cui è facile provare simpatia (ammettiamolo, è proprio un rompicoglioni), ma vederlo costruire una croce improvvisata con i legnetti, per rendere onore ad un cimitero che a Summerisle è terreno sacro solo per lui, vuol dire stare guardando un personaggio che si aggrappa a tutta la sua scala di valori con tutte le sue forze, ed è qui che arriva Lord Summerisle, interpretato da Christopher Lee con la permanente di zia Lella.

Dracula? Saruman? Dooku? No, zia Lella!

Lo scontro verbale tra il polizotto e il capo di questa specie di setta di fricchettoni è uno scontro di culture, il primo critica i loro rituali di partenogenesi, che prevedono belle figliole nude intente a ballare nei prati, e Lord Summerisle che gli fa notare che anche il suo amato Gesù è nato senza tracce di riproduzione sessuata. Tutto così, in un’atmosfera sempre più malsana, malgrado si tratti di un horror ambientato in pieno giorno e pieno di belle figliole poco vestite.

Sembra incredibile, ma vi assicuro che tutto questo riuscirà a turbarvi.

L’aggressione più violenta alla sua fede, Howie deve fronteggiarla sulle note di Willow’s Song, ed ora qui lo dico fuori dai denti, per riuscire a rendere malsana una scena dove la bellissima Britt Ekland danza nuda e si strofina contro la porta della stanza, devi davvero sapere quello che stai facendo, anche perché il rischio di scadere nel ridicolo involontario è ad un passo, anche se Robin Hardy è bravissimo a schivarlo sistematicamente. Per questo sono convinto che tanti fanatici di Horror (veri o presunti che siano) che parlano di “The Wicker Man” in rete, in realtà non lo abbiano mai visto, perché tante volte sono gli stessi che millantano “buchi di sceneggiatura” inesistenti nei film e condividono meme, molti dei quali con Nicolas Cage a sua volta in visita a Summerisle, invece di guardarli davvero i film.

Quella meraviglia di Ingrid Pitt.

“The Wicker Man” chiede allo spettatore di fare una cosa che molto pubblico semplicemente odia fare, ovvero seguire la storia e guardarla attraverso un punto di vista diverso dall’unico che molto pubblico tiene in altissima considerazione, ovvero il proprio. Utilizzando il pretesto del paganesimo, Robin Hardy ha firmato un film che inquadra alla perfezione le inquietudini della società inglese di quel periodo, in cui i genitori conservatori, vedevano i loro figli post 1968, tutti ripieni di ormoni, ribellarsi all’istituzione in un modo che di lì a poco sarebbe diventato anche violento, basta dire che il movimento Punk è nato nell’Inghilterra del 1977, quindi ad un tiro di schioppo dal film di Robin Hardy.

«Gobba? Quale gobba?» (cit.)

In tal senso, non è nemmeno un caso che Howie, sempre in cerca della scomparsa di Rowan e tra l’aggressione (ai suoi occhi) di una bella figliola nuda e l’altra, prenda parte alla parata per il raccolto rubando il costume di Puch al locandiere, una maschera classica, che sta alla base di moltissimo folklore britannico, una sorta di Pulcinella se volessimo provare a fare un paragone nostrano, ma con una storia alle spalle che pare già pronta per un film dell’orrore. Su Christopher Lee che invece prende parte al rituale vestito come il figlio segreto di Cher e Manuel Agnelli, non ho spiegazioni nell’immediato, almeno, nessuna di esse affonda le radici delle tradizioni di Albione.

Voi pensate che io scherzi, sono serio come la parrucca di Lee.

L’ultimo atto di “The Wicker Man”, oltre a dare il titolo al film, ribalta tutto l’assunto regalandoci uno dei cambi di fronte più memorabili della storia, del cinema horror sicuramente. Per due terzi del film abbiamo sospettato se questa è la vita che fanno a Bel Air Summerisle per me, poi tanto male non è, guardando al protagonista come il testimone di Geova che citofonando, ti tira giù dal letto la domenica mattina. Salvo poi di colpo, finire a provare – parola da cinefili in arrivo, pericolo! – empatia anche per uno con cui non potrei avere meno da spartire.

«Forse avrei fatto meglio a fare il pompiere»

Il finale di “The Wicker Man”, con quella sua cantilena allegrotta, perfetto utilizzo di musica fuori contesto, al tramonto e tra le fiamme accese, resta uno dei finali più memorabili del cinema horror, proprio perché in grado di farti crollare tutte le certezze. Non è impossibile da intuire che un film che si intitola “L’uomo di vimini” finisca in quel modo, ma è come ci si arriva a determinare la grandezza del beh, culto, attorno a questo film.

«C’ho un culto così!»

Anche se a molti fanatici di horror non lo hanno visto, per difficoltà a reperirlo o per pigrizia, il film di Robin Hardy è il più famigerato tra i “Folk Horror” della storia, anche a cinquant’anni dalla sua uscita, resta un film unico ed irripetibile, al massimo puoi provare ad ispirati, come ha fatto Midsommar, però si tranquili, parleremo a breve anche del rifacimento con Nick Cage. Intanto rendiamo onore all’uomo di vimini, che benedica il nostro raccolto.

You watch the world exploding every single night
Dancing in the sun a new born in the light
Brothers and their fathers joining hands and make a chain
The shadows of the Wicker man is rising up again

Sepolto in precedenza mercoledì 15 febbraio 2023

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