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The Witch (2016): quando il caprone ci mette lo zampone

Quando ho messo gli occhi su questo “The Witch”, noto anche con il sottotitolo di “A New-England Folktale”, la prima cosa che mi sono chiesto è stata: come mai un film, che ad una prima occhiata pare un classico horror, ha raccolto ovunque votoni e commenti entusiasti anche nel giro dei critici più blasonati? Quindi, ho fatto quello che faccio di solito in questi casi… Mi sono messo a studiare.

Scritto e diretto dall’esordiente Robert Eggers, un barbuto ragazzo americano che ha passato gli ultimi quattro anni a documentarsi, spulciando diari e scritti originali delle comunità di Pellegrini che vivevano nel New England. Giusto per farci sentire tutti in colpa, noi Topolino e Tiramolla, lui testi del 17esimo secolo circa.

Ma il buon Roberto Uovatore non si è limitato a questo, nel tentativo di essere il più accurato possibile, per il suo film ha voluto attori scozzesi e inglesi, da far recitare con accento e termini in linea con l’Inglese del 1630 o giù di lì, vuoi anche per l’uso di termini desueti, seguire “The Witch” in lingua originale è stata una bella lezione di Inglese.

Ma Eggers non si è limitato a questo: scenografie costruite utilizzando materiali d’epoca, costumi cuciti a mano e una fotografia (curata da Jarin Blaschke) tutta basata sull’utilizzo di luci naturali e candele. Voi direte: eccesso di zelo da parte di un regista che ha visto troppe volte “Barry Lyndon” e vuole fare il grosso? No, una precisa scelta autoriale che contribuisce a rendere “The Witch” un gran film, tra quelli visti quest’anno, uno di quelli che ho apprezzato maggiormente.

Protagonista del film e direttrice della fotografia.

Un po’ per convenzione, un po’ perché siamo Italiani e quindi a scuola non ci fanno studiare mai la storia di quella parte del mondo che sta oltre la grande pozzanghera chiamata oceano Atlantico (ma spesso nemmeno la nostra), ci ritroviamo a pensare che i Padri Pellegrini fossero tutti dei signorotti inglesi a modino, tutti amicizia con i locali, tacchino e sterminio di massa, Robert Eggers con il suo film d’esordio contribuisce a riportarci tutti con i piedi per terra.

I protagonisti della vicenda sono una famiglia di coloni, esiliati dalla loro comunità, per manifesto eccesso di fondamentalismo religioso. Raccolti stracci e carabattole s’insediano vicino ad una foresta, poco importa se da quelle parti si dice che viva una strega, noi abbiamo Dio dalla nostra parte e nulla può andare male… E qui iniziano i casini.

«Ti prego Signore fammi arrivare sana e salva ai titoli di coda…»

La figlia maggiore Thomasin (Anya Taylor-Joy) è alle soglie della pubertà, cosa che ha notato molto bene (insieme alla nuove curve della bionda) suo fratello Caleb (Harvey Scrimshaw). Mamma Katherine (Kate Dickie) giudica la vita sulla base di cose che vanno bene (grazie Signore) e cose che vanno male (lo zampino del Satanasso), mentre papà William è tanto sicuro della sua fede, quanto disastroso in tutte le attività da colono, quasi si fa saltare un occhio per sparare ad un coniglio, ma in compenso come agricoltore è un disastro, non ha il pollice verde necessario per impedire che il raccolto di mais marcisca malamente.

Il meglio per la fine: i due gemelli Jonas e Mercy, riuscirebbero a far cambiare idea anche a quei radicali ancora convinti che tutti i bambini siano bellissimi. Non solo sono inguardabili, ma sono anche due discreti stronzetti dotati di risatina irritante, che passano le loro giornata ad accusare Thomasin di stregoneria e a parlare, sì, ho detto parlare, con uno degli animali della famiglia, un grosso caprone nero, di nome Black Phillip. Ed è chiaro che qui il metaforone ci mette le corna e anche la coda.

Da oggi con il 100% di caprone satanico in più.

In “The Witch” ritroviamo la ricostruzione dell’America dei Pellegrini dell’M. Night Shyamalan di “The Village”, però condita da una bella verniciata di Lars Von Trier che non guasta mai, anzi, che guasta la situazione iniziale facendola marcire come il mais di William.

Un film che inizia come la ricostruzione delle vita nel New-England del milleseicento e qualcosa, diretto da uno che ha fatto i compiti a casa, piano piano abbraccia l’horror, grazie all’ambiguità dei personaggi e al meticoloso lavoro di ricostruzione, storicamente impeccabile.

La paura, ma anche solo il senso di angoscia, è qualcosa di molto soggettivo, personalmente non trovo spaventoso qualcosa di palesemente orrendo e deforme, magari anche minaccioso, penso che sia molto più sinistro qualcosa che ad una prima occhiata sembra normale, tanto da farti abbassare la guardia, ma capace di nascondere al suo interno, quel minimo sindacale di anomalia da entrarti sotto pelle ed è proprio il tipo di angoscia che “The Witch” sfrutta ed alimenta.

Tranquilli è tutto normalissimo… Forse.

Leggendo su vari siti in giro per l’internet, ho scoperto che Robert Eggers non ha mai utilizzato computer grafica nemmeno per gli animali presenti del film, tutti gestiti alla vecchia maniera sul set, ovvero grazie al lavoro di addestratori specializzati. Il risultato è che gli animali si comportano da animali, al buon Roberto tante volte basta inquadrarli nel modo giusto per sottolineare quanto un grosso caprone nero possa sembrare profondamente sbagliato agli occhi di uno spettatore moderno.

Sì, perché grazie a quella ricostruzione così accurata, Eggers non fa altro che inclinare lentamente il pavimento sotto i piedi di noi spettatori, facendoci scivolare sempre più all’interno della storia e nel modo di riflettere di un colono del 17esimo secondo.

Questa sospensione dell’incredulità quasi subliminale, sguazza nell’ambiguità di una storia che non scopre mai le sue carte, ma getta sul tavolo parecchi spunti, gli animali si comportano in quel modo strambo perché sono sotto effetto di forze maligne? La strega esiste davvero, o è solo l’effetto collaterale di una psicosi comune, dovuta ai precetti cattolici dei protagonisti e magari da un avvelenamento provocato dal mais marcio (problema che viene sottolineato da Katherine al marito verso la metà del film)? Non si sa, il risultato, però, è micidiale, tutte le nostre certezze da spettatori del 2016, si riducono a “Sì, è una strega!” oppure “No, non lo è”, mica male come coinvolgimento, no?

Burn the witch (Burn to ash & bone)

Una volta che storia e personaggi sono allineati e il pubblico è coinvolto a questo livello, Robert Eggers, mena il suo colpo più duro, a questo punto il regista non ha nemmeno più bisogno di mostrare sangue e sbudellamenti a palate, gli bastano qualche scena di paura ben fatta (tipo quella nel capanno nel finale) e il suo cast che recita tutto di intensità, deliri religiosi e volti scavati. C’è una scena con una crisi mistica quasi totalmente statica, ma che da sola rappresenta un climax emotivo notevole e nel finale, che non rivelerò (vi tocca vedere il film!), ad Eggers basta un primo piano e una voce fuori campo per concludere alla grande il suo lavoro.

«Ciao, sono il tuo nuovo animale preferito, dopo il cavallo di War Horse»

Ho trovato incredibile come un film tanto curato nel dettaglio, riesca a non risultare un freddo lavoro di neuroni, ma ti prende alla pancia, il risultato è che The Witch ha tutto per coinvolgere chi ama i film d’autore, ma anche chi apprezza l’horror, il fatto che sia anche un esordio alla regia, poi, rende il risultato finale ancora più straordinario.

Il consiglio è quello di guardarlo, magari facendo a pugni con la complicatissima sintassi del 17esimo secolo e lasciarsi portare via dal caos generato strategicamente da Eggers: una storia dove persino un caprone nero che ti fissa dallo schermo ha qualcosa di sinistro.

Sepolto in precedenza lunedì 18 aprile 2016

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