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Thunderbolts* (2025): i Vendicatori non sono disponibili, vi mandiamo dei sostituti

Credo, o per lo meno spero, che anche se ormai molti Marvel Zombie si reputino enormi esperti di fumetti senza averne mai letto mezzo, il parere di un vecchio lettore come il vostro amichevole Cassidy di quartiere possa ancora essere utile, anche se è abbastanza chiaro che l’interesse per i Superpigiami sia scemato, dopo quasi vent’anni, sarebbe il minimo, anche se l’altro giorno la sala per questo film era pieno.

Quando ho saputo che il nuovo film MCU sarebbe stato Thunderbolts-con-asterisco ho pensato che comunque l’asterisco fosse una scelta buona per i Social, come inserire numeri al posto di lettere nel titolo, ma anche, in generale, l’idea giusta per i tipi della Casa della Idee con sempre meno idee e più ansia da risultati.

La porta si muove avanti e indietro (cit.)

Nel 1997, quando i Thunderbolt fecero la loro prima apparizione nel loro primo ciclo di storie, “La giustizia… come un fulmine!” erano personaggi figli del momento e di una testolina brillante, come quella del mai abbastanza celebrato Kurt Busiek coadiuvato dalle matite del mio ragno-disegnatore del cuore, Mark Bagley. La Marvel Comics di quel periodo era in crisi di vendite, per rilanciarsi un mega evento a fumetti, Onslaught il super cattivone di turno, con origini tra le pagine degli Uomini-Pareggio, aveva richiesto il più alto sacrificio da parte degli eroi, diciamo titolari, i nomi grossi, che aveva lasciato la Terra (616) senza grandi eroi, anche perché Iron Man, Cap, Thor, gli FQ e Hulk, erano finiti in un limbo durato un anno, dodici numeri in cui le rispettive serie erano pronte a ricominciare dal numero uno, per l’operazione nota come “La rinascita degli eroi”, ovvero affidare ai G-G-Giovani autori, i “ribelli” della Image, tornati alla Marvel da cui erano fuggiti per fondare la loro casa editrice, per scrivere e disegnare le storie delle colonne portate della Casa delle Idee per un anno.

Rob Liefield con il suo Capitan America ultra pettoruto, Whilce Portacio che citava Bowie sulle pagine di “Iron Man” e faceva crescere i capelli ad Hulk, ma soprattutto Jim Lee alle prese con i Fantastici Quattro, storielle a volte divertenti, il più delle volte una grossa operazione commerciale tipo fumo negli occhi, perché poi la migliore serie su un gruppo di eroi Marvel in quel periodo, era scritta da Busiek e disegnata da Bagley.

«Incredibile, così Nerd quello sfigato di Cassidy ha anche trovato qualcuna che se lo è sposato, non mi pare vero»

I Thunderbolt, guidati dal patriottico Citizen V, si presentavano come il gruppo pronto a colmare il vuoto lasciato da Vendicatori ed FQ, il genio di Busiek? Una frase che ricordo a memoria, un sospettoso giornalista che diceva: «Capitan America aveva uno scudo, Citizen V usa una spada», il classico temo i Grechi anche quando recano doni, perché in realtà i Thunderbolt erano ex criminali Marvel più o meno di serie B, con nuovi nomi e costumi, capitanati da un nazista, il Barone Zemo vestito da novello Cap in versione spadaccina, pronti a conquistarsi la fiducia del mondo prima di conquistarlo, se non fosse che alcuni di questi ex criminali, iniziarono a prenderci gusto ad essere degli eroi.

Visto che già conosco la domanda che avete in testa (Xavier lèvati, ma lèvati proprio) dove sta la differenza con la Suicidio Squadra della Distinta Concorrenza? Nel fatto che quelli erano autentici pezzi di, o almeno avrebbero dovuto esserlo (Ayer, i mille rimontaggi e le fisime di Will Smith hanno rovinato tutto, Gunn non ha cambiato di tanto la rappresentazione dei personaggi), i T-Bolt invece si sono persi lungo il cammino del loro voler essere eroi, facendo azioni anche riprovevoli, infatti, pur con la bocca piena di Pop-Corn e masticando il linguaggio del cinema per tutti, questo film parla di solitudine e di lati oscuri dal proprio io con cui fare i conti, non hanno scelto Sentry a casa, ma su questa sottolineatura da Pennarellone a punta grossa, torneremo più avanti.

Sebastian Stan* (non Lee) nella posa degli eroi della Bara e in posa per le lettrici (tutte e quattro) della Bara.

Se ci pensate l’MCU in questo momento ricorda la Marvel del 1997, con la differenza che la casa editrice, per trovarsi in crisi di vendite, ha impiegato trentacinque anni dalla sua fondazione, l’MCU invece ci ha messo “solo” diciassette anni dal primo Iron Man, con un occhio rivolto alla Distinta Concorrenza, Kevin Feige si è ricordato di avere anche lui la sua “banda di bastardi”. Dopo il 1997 i Thunderbolt sono tornati in varie incarnazioni quella cinematografica pesca tra i secondi violini, reduci di film secondari e serie tv Marvel, pronti a fare il salto in serie A, proprio ora che i grandi nomi hanno lasciato la stanza.

Ecco quindi Florence Pugh e David Harbour, tornare nei panni di Vedova Nera e Red Guardian, dopo il film con cui abbiamo salutato Rossella Di Giovanni, così come Olga Kurylenko nei panni di Taskmaster, anche se scompare per più di metà del film.

Fiorenza Carlino* anche lei nella posa delle eroina della Bara, due al prezzo di uno oggi!

Soldato d’Inverno (Sebastian Stan) e U.S. Agent (Wyatt Russell) sono i due aspiranti Capitani che non sono riusciti ad avere lo scudo dopo la loro serie tv, mentre la Ghost di Hannah John-Kamen, arriva dritta da uno dei seguiti di Ant-Man. Se fosse una squadra di Basket, sarebbero tutti panchinari a cui mancano un po’ di “muscoli”, rappresentati dal tanto discusso (a livello di casting… Insomma, infernet al suo meglio), ovvero Sentry, personaggio creato da Paul Jenkins che si sarebbe meritato un film tutto suo e che era uno dei miei motivi di interesse per questo film, qui utilizzato come per lo meno come convincete avversario, specialmente grazie all’ottima prova di Lewis Pullman, che riesce a passare velocemente dal fragile e bisognoso al feroce, ma come direbbe Anders Celsius, andiamo per gradi.

La sceneggiatura scritta da “solo” tre penne, piuttosto anonime come Lee Sung Jin, Joanna Calo ed Eric Pearson, ci mette un po’ ad ingranare (un’ora per uscire dal bunker), procede fin troppo spesso per slogan emotivi e spreca molti personaggi, fallendo a dar loro una vera chimica di gruppo. Dovendo radunare il nuovo gruppo, questa banda di gatti senza collare messi insieme dalla Contessa Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus sempre molto brava malgrado il suo personaggio sembra dotata di teletrasporto, visto che fa quello che vuole anche indagata), più che altro per coprire le sue malefatte, sempre per chi ha familiarità con i fumetti, il personaggio sembra ricoprire un po’ il ruolo che Norman Osborn ricopriva nel ciclo di storie “Oscuri Vendicatori”, in tal senso la seconda scena dopo i titoli di coda, serve a sottolineare questa proliferazione di gruppi e ad introdurre brevemente (nella scena post-credit più lunga di sempre) il prossimo Marvel-Film che guarda caso, sarà incentrato su un gruppo. La prima scena dopo i titoli di coda? Una menata che serve a ricordare l’importanza nella cultura americana dei cereali, sì, avete letto bene.

«Cassidy, tutti quei fumetti che hai letto e pensi ancora che a qualcuno importi davvero qualcosa?»

Altri difetti del film, nel suo essere corale, ovviamente, risente non solo di quello che gli Yankee chiamano “Star power”, ma anche della popolarità dei personaggi, ogni nuovo Thunderbolts-con-asterisco arriva da un passato tormentato, quasi da anti-eroine e anti-eroi, ovviamente la più popolare, per numero di apparizioni e per chi la interpreta è la nuova Vedova Nera, Yelena Belova, il personaggio impersonato da Fiorenza Carlino è quella con l’arco narrativo più convincente, anche perché è quella con più minuti dedicati, dall’altro lato dell’arcobaleno del minutaggio troviamo Ghost, Taskmaster e U.S. Agent che risentono della minor popolarità di chi li interpreta, anche se avrebbero giovato di più minuti e maggiori motivazioni, specialmente il personaggio di Wyatt Russell, qui ridotto al borbottone del gruppo, fine della caratterizzazione.

E invece, pippa (anzi *), persino papà Kurt aveva avuto più spazio di te.

In mezzo? Beh trattandosi di un film dell’MCU la spalla comica non può mancare, il compito è tutto sulle spalle di Red Guardian, posso dirlo? L’umorismo nei film della Marvel è il prezzo da pagare, se proprio deve essere, meglio che tutti sia affidato ad un gigione prezzemolino come David Harbour, che almeno in quel ruolo sa muoversi, anche se il film secondo me funziona meglio nella parte antecedente all’arrivo in auto del personaggio, anche perché Red Guardian come Aldo Baglio urla, il fatto che le sue battute non facciano ridere nemmeno per errore è un altro problema da assegnare al solito copione pre-cotto realizzato con lo stampino, ma a quello siamo abituati più o meno dal 2008, per fortuna qui, con tutta questa sottotrama suggerita sul senso di perdita (degli Avengers, ma non solo) e del suo riesce a parlare anche di depressione, in un prodotto per tutti, si fa un po’ perdonare molti passaggi a vuoto della trama e poi oh, io vado al cinema sempre, per questo la sala era di nuovo piena, alla faccia della fatica dei film di super eroi.

La spalla comica*

Ultimo ma non meno importante il Soldato d’Inverno ancora alle prese con la sua carriera politica, personaggio e prova che confermano lo stato di forma artistica di Sebastian Stan, eterno secondo violino, un po’ schiacciato dalle esigenze della trama, anzi, mooolto schiacciato, possibile che durante una crisi di “Livello Avengers” al nostro non passi per la testa di coinvolgere il Capitano titolare? No perché questo film ha altre esigenze, inoltre per nostra fortuna, il regista Jake Schreier ha dello spazio di manovra e lo utilizza per non utilizzare la solita paletta cromatica patinata, mi fa sempre un po’ ridere parlare di comparto tecnico nei film MCU, prodotti in serie con lo stampino, ma qui la qualità della CGI è un po’ migliore e la fotografia leggermente più oscura, in tema con quello che si vuole raccontare. Ma è davvero l’unica iniziativa da parte di Jake Schreier, segnate un altro nome sulla lista dei talenti strangolati dal sistema MCU, quando inizieranno ad assegnare la regia in parti uguali al responsabile degli effetti speciali e al poveretto messo ad urlare «Stop!» e «Azione!», come fanno in Giappone, sarà sempre troppo tardi per la vituperata onestà intellettuale.

Un cattivo* che è l’ombra di se stesso (ah ah)

Parliamo di personaggi dal passato non propriamente limpido, che ci prendono gusto a fare i bravi, chi poteva rappresentare questo METAFORONE meglio di un personaggio come Sentry? Lui che ha il potere di mille soli ma anche di quello dell’ombra che essi possono generare, purtroppo malgrado l’ottima prova di Pullman, Robert “Bob” Reynolds ne esce ridimensionato rispetto alla sua versione cartacea, anche se purtroppo sembra un po’ il destino di Sentry, lanciato da una prima miniserie meta-narrativa a mio avviso beh, brillante (ah-ah) per poi risultare un po’ lo Zion Williamson della situazione, l’eterna promessa mai mantenuta che nella sua versione cinematografica, viene ridotta a riflesso del lato oscuro dei protagonisti, quindi registro questa mia delusione da vecchio lettore, ma i film vanno valutati per quello che sono e in tutta onestà, non mi aspettavo un trattamento tanto diverso per il povero vecchio Bob, anche se il suo essere utilizzato per parlare di perdita e come detto, depressione, per lo meno ci restituisce qualcosa, poco per un personaggio comunque spinoso da raccontare, anche nei fumetti.

Ciao Bob, benvenuto sulla Bara Volante, anzi, su la Bara Volante*

Visto che quello che state attendendo è un responso generale, ve lo dico fuori dai denti, “Thunderbolts*” riesce nell’impresa di rendere protagonisti dei reietti, spesso del piccolo schermo, personaggi minori, panchinari, più di quanto non abbia fatto tutta la Fase 4 e 5 dell’MCU, si esca dalla sala consapevoli di aver visto un film non impeccabile, che però si attesta sul livello medio delle produzioni Marvel pre-Endgame, quindi nulla di particolarmente rivoluzionario, anzi, ma a suo modo riuscito nel portare avanti la Soap Opera rimettendo i film al centro della tabella di marcia, visto che fino a ieri sembrava che l’MCU dovesse continuare in maniera più seriale (come i fumetti del resto) ovvero sul piccolo schermo. Se qualcuno vi dirà che è un capolavoro, sarà il solito megalomane dell’entusiasmone facile, mi trovo molto più a mio agio a definirlo per lo meno un colpo sparato nella direzione giusta, che poi sia il solito prodotto pre-cotto, non mi aspettavo nulla di diverso, che però dimostra che c’è ancora interesse da parte del pubblico nei confronti di questa tipologia di film, a patto che i personaggi e i progetti siano in grado di stuzzicare la platea e non siano solo roba pensata per spostare le pedine sulla scacchiera come l’ultimo Cap oppure The Marvel, ormai la sbornia è passata, non è più tempo per quei film così, un tanto al chilo, per riempire le sale, quindi ben vengano questi Vendicatori-con-l’asterico a fare il lavoro sporco di riportare l’attenzione sulla trama lunga, quella principale, che vedrà nel film degli FQ di prossima uscita, un altro titolo chiave, quello ancora più interessante di “Thunderbolts*”, almeno per quanto mi riguarda.

Lavorare in tanti action di serie Z non è per nulla stressante, disse Olga Kurylenko detta Olga Kurylenko*

Intanto, segnate una tacca alla cintura dell’MCU che svuotando le panchine come si dice nella pallacanestro, ha messo su qualcosa in linea con lo spirito che questi film molto amati del pubblico nel corso degli anni ci hanno regalato. Trattandosi di panchinari, per loro vale il contributo di tutti quelli che escono dalla panchina, i primi minuti devi dare un contributo non-negativo, prima di ingranare sul serio. Questo film è così, offre un contributo non-negativo per questa banda di disallineati totali, che a loro modo, riescono a farsi apprezzare, in attesa del ritorno della “Prima famiglia”, sperando che la quarta, sia l’incarnazione cinematografica giusta per loro.

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