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Tornare a vincere (2020): basta vincere (ma anche basta alcool)

Pensavo che i film istantanei, quelli girati per cavalcare un tema caldo oppure l’uscita di un’altra pellicola più famosa, fossero appannaggio di studi come l’Asylum oppure della Full Moon. Ma visto che ultimamente il cinema di serie A imita quello di serie Z, ecco arrivare “The way back”, un film sul basket con Ben Affleck.

Sono un ragazzo semplice (Simple Cass) voi fate un film sul basket? Io guarderò il vostro film sul basket! Anche se nel mezzo di questa pandemia globale, “The way back” – in uno strambo Paese a forma di scarpa adattato con il più disneiano “Tornare a vincere”-, lo troverete a noleggio in streaming sulle più popolari piattaforme, anche perché per vedere qualcosa in sala, beh ci vorrà ancora molto tempo purtroppo.

Gavin O’Connor non è nuovo ai film sportivi, il Disneiano “Miracle” (2004) parlava della squadra di Hockey americana che vinse l’oro alle Olimpiadi del 1980, mentre “Warrior” (2011) ha sdoganato le arti marziali miste nei film “per tutti”, non solo in quelli di menare che piacciono a questa Bara.

Dopo un bel western come Jane got a gun e aver diretto Ben Affleck in “The Accountant” (2016), Gavino prova definitivamente a conquistarmi puntando al mio cuoricino di cestista, lo schema che mette in campo è semplice ma onesto, pressione a tutto campo per 108 minuti e cuore lanciato oltre l’ostacolo, con l’obbiettivo magari di redimere il buon Ben finito in pessime acque. Anche se Affleck pare prediligere roba più alcolica dell’acqua.

Vi ricordate il meme di “Sad Batman”? Uguale ma con la barba.

L’andamento della carriera di Affleck la conosciamo tutti, per anni una barzelletta in un copraccione da ragazzone americano, l’amico scemo di Matt Damon e di Kevin Smith (con cui ha fatto pace solo di recente, dopo anni passati a non rivolgersi la parola. Storia vera). Gli affidano un super eroe e lui raccoglie risate con Daredevil, ma mettiamoci anche le varie Jennifer (Lopez e Garner) a far parlare di lui più per il gossip che per le capacità come attore, anche perché quelle, vogliamo dire limitate? Non offenderti Ben ma sono i freddi fatti.

La svolta arriva con “The Town (2010) e soprattutto con “Argo” (2012). Il premio Oscar come miglior film rilancia Ben che diventa Batfleck, prima deriso e poi presto rimpianto, almeno fino al disastro al botteghino di “La legge della notte” (2016), classico progetto della vita, da dirigere dopo aver raggiunto l’apice, che la metà delle volte si rivela un disastro, che Affleck ha pensato bene di annaffiare nell’alcool.

Quando hai già bevuto tutto il bancone del bar, ma aspetti il bis.

Lo abbiamo visto bolso e fuori forma in Triple Frontier, nel frattempo è arrivato anche il divorzio da Jennifer Garner (definito da Affleck come il più grande rimpianto della sua vita. Strano, pensavo fosse “Amore estremo” 2003), quindi questo “The way back” sembra quasi uno schema disegnato sulla lavagnetta per beh… Tornare a vincere.

La storia è quella di Jack Cunningham, ex grande promessa del basket a livello di High School, l’uomo che ne ha segnati 47 nella finale per i suoi Bishop, piccola scuola di provincia di base fortemente cattolica. Ma quelli che Bruce Springsteen chiamava i “Glory Days” per Jack sono andati, oggi è un operaio edile alcolizzato come Nicolas Cage all’inizio di Mandy, ma senza i King Crimson.

L’occasione arriva quando la vecchia scuola, che ormai non raggiunge più i playoff dai tempi in cui Cunningham era giocatore, gli offre il ruolo di Coach, per sostituire l’attuale allenatore, l’insegante di matematica bravissimo a tenere le statistiche, un po’ meno a gestire i ragazzi.

Inutile girarci attorno, “Tornare a vincere” è “Voglia di vincere”, con la dipendenza da alcool al posto della licantropia e Ben Affleck al posto di Michael J. Fox, anzi volendo parafrasare il film cestistico di William Friedkin, più che “Blue Chips – Basta vincere” sembra “Basta alcool”.

«Io non sarò Nick Nolte, ma voi non siete di certo Penny Hardaway e Shaq O’Neal!»

Affleck interpreta sé stesso, quando la storia svolta verso il dramma, è impossibile non pensare che più o meno l’annuncio della Warner Bros. di cercare un nuovo attore per Batman, si sia svolto come vediamo accadere qui nel film. Il vecchio Ben ha dichiarato che per lui “The way back” è stato un ruolo molto catartico, non è difficile immaginare come mai, la sua prova qui è dolente e monolitica, dietro quel barbone interpreta uno sconfitto in cui si riconosce, ecco perché funziona. Qualcuno bravo diceva «Scrivi di quello che conosci», qui Affleck recita quello che conosce bene.

Il problema dei film drammatici di questo tipo, è che di solito ti promettono la pallacanestro, e poi se sei fortunato, vedi qualcuno palleggiare sullo sfondo, mentre il film scorre tra drammi, lacrime e scenate in cui gli attori possono esibirsi. Lo avevo messo in conto quando ho iniziato a vedere “Tornare a vincere”, e per fortuna sono stato smentito.

Gavin O’Connor ci presenta i giocatori della squadra di Bishop, mentre sono sul campo, e proprio come quando sei sul campo, impari a conoscerli per il numero di maglia e per quello che sanno fare. Quindi abbiamo lo spilungone che ama tirare da tre (malgrado il penoso 26% scarso di realizzazione), oppure il tipo bianco e capellone che sta sempre in panca, malgrado il fisico da centro. Così come quello spavaldo (anche con le ragazze) ma micidiale da tre punti, oppure il tipo silenzioso, solidissimo in difesa che è sempre il primo ad arrivare in palestra e l’ultimo ad andare via.

«Siete la peggior banda di gatti senza collare che abbia mai visto. Ed io ero uno degli astronauti di Michael Bay»

Jack Cunningham in un attimo li riordina, capendo al volo pregi e difetti, insomma come da programma in un film del genere, ma il bello è che l’arco narrativo di Jack, si consuma quasi tutto sul campo, anche se lui è in panchina, a beccarsi gli sguardi scuri dei preti che gestiscono Bishop. Il linguaggio del nuovo allenatore quando si rivolge agli arbitri, beh diciamo non prevede proprio parole che si insegnano a catechismo.

“Tornare a vincere” è un piccolo film ma tutto sommato onesto, Gavin O’Connor riprende le partite dal punto di vista giusto, posizionando la macchina da presa a bordo campo (il punto di vista dell’allenatore) e a volte tra i giocatori (il punto di vista dei giocatori). I ragazzi in campo non fanno mai giocate assurde per la loro età, le schiacciate ci sono ma dimenticatevi roba tipo “Above the rim” (1994), questa è la pallacanestro di chi sa di essere una squadra di “piccoli”, e quindi gioca pressando dalla rimessa dal primo all’ultimo minuto, pallacanestro di sudore e fatica, di difesa che fa scaturire l’attacco e di aiuti e chiusure difensive. Insomma è il basket che giochi quando non sei il più forte, ma sei più “squadra” di tutti gli altri.

Il bello del film è il modo in cui le sconfitte (e le vittorie) personali di Jack, siano scandite dai risultati sul campo della sua squadra, tutti descritti con i risultati della partita, che compaiono inflessibili e perentori sullo schermo. Imbarcate clamorose da trenta punti, si alternano alle prime vittorie, e il film drammatico di Gavin O’Connor, è più coinvolgente nelle parti giocate, rispetto a quelle fuori dal campo. L’esatto opposto del solito andazzo di questo tipo di pellicole.

«Bravo Gavino continua così, resta concentrato sul campo da gioco!»

La pallacanestro è una grande maestra di vita, quello che impari sul campo ti servirà moltissimo (se non di più) anche fuori, questo “Tornare a vincere” lo racconta molto bene, non vi rovinerò la sorpresa sull’andamento del film (meno Disneiano del previsto, ma nemmeno troppo), ma una cosetta devo aggiungerla.

Ad un certo punto “The way back” raggiunge un apice emotivo piuttosto altino, problema: Mancano ancora trenta minuti alla fine del film. Un po’ come esultare per la partita vinta alla fine del terzo quarto insomma.

Per creare un po’ di pathos nel finale, l’ultima mezz’ora ricorre a molti dei trucchi classici del vostro film drammatico medio, diciamo che prende spunto dal libro degli stereotipi. Inevitabile per provare a dare a Ben Affleck un minimo di palcoscenico, ma se devo dirla tutta, la parte dove il vecchio Ben se la cava meglio, è proprio quella a bordo campo.

Insomma, non so se “Tornare a vincere” sarà ben augurante per la carriera di beh, Ben, ma di sicuro è un dramma canonico riuscito, applicato ad un film sulla pallacanestro incredibilmente più curato della media. Risultato finale della partita? Per ora Ben Affleck porta a casa la parte buona del referto. Occhio a non esagerare con i festeggiamenti post partita però eh?

«Festeggiamo andando a bere… Ben tu no»
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