Procedo verso l’infinito e oltre, con il mio ripasso dei film di “Toy Story” in vista dell’uscita del quarto capitolo, quindi, senza ulteriori indugi, sotto con il capitolo numero due!
Devo confessare che ho sempre avuto uno strano rapporto con questo secondo capitolo, da noi anche ribattezzato “Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa”. Mi è sempre piaciuto fin dalla sua uscita, ma dopo il primo film che è diventato un “classico istantaneo”, per dirla all’americana, mi era sembrato un piccolo passo indietro. Eppure, ogni volta che me lo rivedo – di solito sotto Natale – è il capitolo che migliora con il tempo.
Se mi leggete da un po’ dovreste aver notato che gli aneddoti di produzione mi piacciono abbastanza, molti sono puro gossip che m’interessa pochissimo, alcuni, invece, servono ad inquadrare un film meglio di molte altre chiavi di lettura, il trucco è cercare di separare gli uni dagli altri. Ad esempio, voglio credere alla buona fede di John Lasseter, quando racconta che durante un viaggio con la moglie e i figli è stato colpito da un bimbo in aeroporto, che tutto contento mostrava uno dei suoi giocattoli di Toy Story al padre, un caso di vita che imita l’arte (che a sua volta imita la vita) tutto cuoricini e buoni sentimenti, che avrebbe convinto il papà della Pixar che era il momento giusto per un seguito per Woody e Buzz. Sarà… Ma dopo premi e incassi stellari, non credo ci siano scenette da libro “Cuore” che reggano e non datemi (troppo) del cinico.
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«Non chiedetevi cosa la Pixar può fare per i giocattoli, ma cosa questi giocattoli possono fare per la Pixar!» |
Quello che non mi convinceva di “Toy Story 2”, fin dalle prime visioni, era la sensazione che il film non puntasse abbastanza in alto, che non avesse lo stesso livello di coinvolgimento emotivo che aveva il predecessore e che avrà anche il capitolo successivo. Avrei dovuto dire “Spoiler”? No, vero? Per fortuna a districare questo mio dubbio ci ha pensato un aneddoto di produzione, uno di quelli “buoni”: originariamente “Toy Story 2” avrebbe dovuto essere un piccolo film destinato solo al mercato dell’home video, anche perché John Lasseter, lo sceneggiatore Andrew Stanton, la Pixar e la Disney in veste di distributore, volevano puntare tutto sull’uscita del loro nuovo lungometraggio, “A Bug’s Life” (1998).
Vuoi per l’uscita quasi in contemporanea con “Z la formica” (1998) – con cui la Pixar e la Dreamworks hanno fatto a capocciate, per via del tema “insettifero” comune – la svolta arriva quando la Disney decide di distribuire “Toy Story 2” come titolo di punta del 1999 e come fa spesso il capo quando cambia idea, butta sulla scrivania dei ragazzi della Pixar una scadenza assurda: nove mesi per dare al film destinato al videonoleggio il passo di un film da grande schermo. Grazie capo, com’è umano lei!
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«Abbiamo pochissimo tempo, non è il momento di dorm…» |
Non ho mai avuto la fortuna di visitare gli uffici della Pixar a Emeryville, in California, un posticino che pare non essere nemmeno male, con piscine olimpioniche, tavoli da biliardo e degli uffici che sembrano le camerette di un ragazzino (grande). Ma malgrado il quantitativo esagerato di cereali a disposizione dei dipendenti in più, un ufficio è sempre un ufficio e la stramba genesi di “Toy Story 2” ha rischiato di schiantarsi di faccia contro una verità da ufficio assoluta: stringi stringi, ma alla fine è sempre colpa del reparto IT.
Sì, perché all’inizio del 1998, con tutti gli animatori impegnati a correre per rispettare la scadenza imposta, qualcuno di loro impegnato in un ordinario lavoro di pulizia delle cartelle di rete, ooops! Ha lanciato per errore il comando di cancellazione sulla cartella principale, quella che conteneva i modelli d’animazione dei personaggi e beh… Solo gli ultimi due anni di lavoro del film (storia vera). Quando in un ufficio, uno qualunque in ogni parte del mondo, succede una cosa del genere, state tranquilli che l’unico lavoro che NON vorreste mai fare, è essere l’omino dell’IT che deve risolverlo, credetemi!
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Il momento in cui tutti iniziano ad urlare: «Supporto tecnologicooooooooo!» (Cit.) |
Come da procedure si accende la lucina “Don’t panic”, abbiamo tutto salvato nelle copie di salvataggio sul server, ma vi confesso una verità: quando hai bisogno del backup, stai tranquillo che quel giorno per qualche ragione il salvataggio automatico è saltato; è l’assioma della legge di Murphy che ancora non è stato scritto, ma valido come quello delle fetta di pane imburrato che cade sul tappeto, statene certi. Un attimo prima che la lucina si accenda su “Okay, panic!”, a qualcuno viene un’idea: il direttore tecnico Galyn Susman, lavora da casa per badare al pupo nato da poco e grazie ad un salvataggio sul suo computer, il disastro è stato quasi completamente sventato (storia vera). La prossima volta che il vostro capo sarà negativo sulle gioie del telelavoro, voi fategli vedere “Toy Story 2”.
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Fun facts: Wheezy il pinguino, è un omaggio della Pixar al logo di Linux (storia vera. Roba da veri nerd!) |
Per essere un film che è stato modificato in corsa e che ha quasi rischiato di non vedere mai la luce “Toy Story 2”, come vi dicevo, mi piace sempre più ogni volta che mi capita di rivederlo, anzi mi sono convinto che sia il capitolo che più di tutti prova a tirare dentro al suo gioco (tanto per stare in tema) anche gli adulti, forse anche in maniera più spudorata di quanto non facesse il primo capitolo.
Il piccolo Andy si prepara a partire per il campo estivo a tema western che lo terrà impegnato tutta l’estate, ma giocando con Woody (Tom Hanks) involontariamente danneggia il braccio dello sceriffo, che finisce sul “pino punitivo” dello scaffale con i giocattoli rotti, con l’ansia di finire come il pinguino Wheezy, da quando il suo fischietto si è rotto è stato dimenticato da Andy che ormai non gioca più con lui da tempo.
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Questa è la famosa sindrome del “Polso floscio”, come in Brazil. |
Quando Andy parte per il campo estivo, sua madre pensa bene di organizzare un mercatino dell’usato in cui tra le cose in vendita, finisce anche Wheezy. Woody riesce nella sua impresa di salvare il pinguino, ma in un crescendo di «Nuuuuuooo!» per noi spettatori, viene rubato dall’avido e viscidissimo collezionista di giocattoli Al McWhiggin (doppiato in originale da Wayne Knight, scelta azzeccatissima) proprietario della “Fattoria dei giocattoli di Al”, posticino carino solo nel nome.
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A guardalo così, assomiglia anche un po’ a Wayne Knight. |
Il primo dettaglio che salta agli occhi di “Toy Story 2” è il suo ribaltare la prospettiva rispetto al primo film, in cui lo sceriffo Woody era un personaggio fatto e finito, mentre Buzz Lightyear quello che – anche drammaticamente – prendeva coscienza sulla sua condizione di giocattolo. Qui le parti si invertono, infatti, al contrario del primo capitolo, è Buzz che corre in soccorso del suo compare Woody in pericolo, per lo sceriffo, invece, inizierà un percorso di consapevolezza di se stesso in qualche modo simile a quello di Buzz.
Sì, perché finché era Andy a giocare con lui, il personaggio doppiato in italiano da Fabrizio Frizzi, era lo sceriffo che teneva insieme la “mandria” di giocattoli, mentre nelle grinfie di Al il nostro scopre qualcosa del suo passato di giocattolo. Alla pari di istituzioni americane per i bambini degli anni ’50 come Hopalong Cassidy (bel nome!) e Howdy Doody, Woody scopre di essere il personaggio principale di una vecchia seria televisiva avventurosa ormai di culto presso un vasto pubblico di ormai ex bambini. Nella collezione di Al, infatti, ci sono anche tutti i personaggi di contorno di questa specie di “Bravestarr” ante litteram intitolato “Gli amici del west”: la cowgirl Jessie (doppiata da Joan Cusack), il fedele cavallo di Woody di nome Bullseye e anche il minatore Stinky Pete. Ora che la collezione è completa del suo protagonista, Al è pronto a spedirli tutti insieme, in cambio di un bel po’ di soldoni, ad un museo a Tokyo, dove saranno esposti e fotografati fino alla fine dei tempi.
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Woody ritrova tutta la vecchia “posse”. |
La differenza con il primo film? Sta tutta nel personaggio di Woody che è fatto in parti uguali di plastica, ovatta e responsabilità verso gli altri, con lui i suoi “pards” (per dirla alla Tex Willer) non avranno mai la possibilità di essere ammirati da centinaia di bambini con gli occhi a mandorla, in compenso, il nostro si lascia convincere del fatto che prima o poi il suo Andy, sarà troppo grande per giocare con lui. Insomma, malinconia portami via, il tutto mentre Buzz e soci ne combinano di tutti i colori, compreso rubare il furgoncino giallo del “Pizza Planet” – che compare in tutti i film della Pixar, storia vera – per salvare il loro amico.
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Quando dico in tutti i film, intendo dire proprio in TUTTI. |
Come dicevo “Toy Story 2” è il film che cerca di tirare dentro per il bavero il pubblico adulto, non solo facendo leva sull’idea del vecchio giocattolo “vintage”, oggetto del desiderio di tutti quei bambini grandi chiamati “collezionisti”, ma lo fa anche grazie a parecchie citazioni cinematografiche, una delle mie preferite è quella dello specchietto retrovisore con su scritto “Objects in mirror are closer than they appear” con Rex nella parte del dinosauro di Spielberg, nella seconda citazione a Jurassic Park, dopo la presenza di Wayne Knight come doppiatore.
Ma le citazioni si sprecano anche grazie a Buzz, che dopo l’esperienza del primo film, ormai ha le spalle larghissime, infatti riesce a tener testa ad una copia di se stesso, un altro Buzz appena uscito dalla scatola, che come lui è ancora convinto di essere un vero ranger dello spazio. Ma soprattutto ormai è abbastanza sicuro della sua nuova condizione di giocattolo da poter affrontare anche il suo arci nemico, l’imperatore Zurg (doppiato in originale da Andrew Stanton, uno degli sceneggiatori del film) che gli fa una rivelazione sconvolgente. Ok, è una citazione a L’Impero colpisce ancora, ma serve a ribadire la volontà del film di tirare dentro anche i bambini grandi.
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Citazioni: Lo stai facendo bene. |
Anche in “Toy Story 2” non mancano i classici marchi di fabbrica di casa Pixar, il percorso di crescita dei personaggi che il più delle volte coincide con una ricerca disperata di qualcuno magari anche in capo al mondo (in questo caso Woody, non Nemo) che prevede corse contro il tempo e una conclusione che è sempre un ritorno a casa, al punto di partenza, ma questa volta con più consapevolezza di se stessi. Per uno come me che pensa che gli inseguimenti siano il sale del cinema, la Pixar regala sempre grandi gioie, anche questa volta si fa il tifo per la corsa di Bullseye sulla pista dell’aeroporto nel finale, insomma per essere il capitolo che mi aveva lasciato più freddino ai tempi, è anche quello che apprezzo sempre di più.
Forse perché “Toy Story 2” è strutturato per funzionare a rilascio graduale, il collezionismo al centro del film è un modo tutto adulto di continuare a dare importanza (in questo caso economica) a qualcosa che per noi è stato importante quando eravamo bambini. Parliamoci chiaro, non ci sarà più modo per me di somigliare al piccolo Andy, ormai è andata, se mi va bene posso solo sperare di non diventare proprio uno schifo di adulto come Al, il tipo di riflessione a cavallo della malinconia che un buon film può farti fare, “Toy Story 2” è fatto scuramente di quella stoffa.
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Tutti in posa per la foto di gruppo forza, un bel sorriso! |
Alla facciazza di problemi di IT e un’indecisione iniziale sul formato della pellicola, anche la seconda avventura di Woody e Buzz è riuscito a spaccare i botteghini di mezzo mondo confermando la Pixar come una realtà, anche se per il terzo capitolo abbiamo dovuto aspettare parecchio tempo. Voi, invece, se ne avrete voglia, dovrete aspettare solo sette giorni, ci vediamo qui sopra, portate i fazzoletti vi serviranno.