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Toy Story 3 – La grande fuga (2010): i giocattoli della nostra vita

Ci vogliono la bellezza di undici anni allo sceriffo Woody, a Buzz Lightyear e a tutti i loro compari per tornare al cinema dopo il successo di Toy Story 2. Un tempo lunghissimo per la banda di giocattoli su cui la Pixar ha fondato il suo impero.

Nel frattempo John Lasseter si è dedicato a Saetta McQueen assecondando la sua enorme passione per le automobili. Andrew Stanton e Lee Unkrich, fondamentali per il successo di Toy Story sono andati alla ricerca di Nemo, hanno raccontato favole ecologiste con robottini e storie di mostri nascosti negli armadi. Il tutto mentre Brad Bird contribuiva con “Gli Incredibili”, solo quello che ancora oggi, in un mercato saturo di super calzamaglie, è uno dei migliori film di supereroi mai realizzato, insomma: la Pixar ha costruito tutti i suoi personaggi confermando il suo totale dominio su terra, aria e acqua.

La Disney in tutto questo, come la strega cattiva delle favole, dall’alto del suo castello al centro del regno dell’animazione cosa faceva? Meditava vendetta e sfornava titoli fin troppo classici come “La principessa e il ranocchio” (2009), classico titolo spazzato via dall’avanzare del progresso portato dalla Pixar. Perché anche nel fantastico mondo fatato dei cartoni animati, i soldi sono quelli che contano più di tutti e il terzo capitolo di “Toy Story” è rimasto incastrato nella lunga disputa tra Disney e Pixar.

«Quel dannato sorcio in calzoncini rossi è un osso duro, continua ad inseguirmi»

La casa di produzione di zio Walt che deteneva i diritti sui personaggi, mise i bastoni tra le ruote alla Pixar fondando la Circle 7 Animation, studio d’animazione digitale che avrebbe dovuto occuparsi del terzo capitolo della avventure di Buzz e Woody. La prima bozza di idee per la trama prevedeva una grossa campagna di richiamo per un difetto di produzione su tutti i giocattoli della linea Buzz Lightyear e il nostro ranger dello spazio rispedito al centro di assistenza di Taipei, con relativa corsa contro il tempo dei suoi amici giocattoli per cercare di salvarlo.

Sapete, invece, chi ha salvato davvero Buzz dal suo destino? L’amministratore delegato della Disney, Michael Eisner che lasciando l’azienda nell’ottobre del 2005 diede il via al classico cambio al vertice che culminò nel 2006 con l’acquisizione della Pixar da parte degli studi della Disney, in pratica l’applicazione della vecchia regola “se non puoi batterli? Comprali!”. L’affare è andato così bene che la Disney non si è più fermata: la saga di “Star Wars”, la Marvel, recentemente la Fox con tutto James Cameron e i suoi dodici seguiti di “Avatar” dentro, anzi fatemi scrivere in fretta prima che mettano le orecchie da topo anche a questa mia sgangherata bara.

«Pronto? Vorrei parlare con l’ufficio legale. Anche i giocattoli hanno i loro diritti»

Il sostituto di Eisner mette il reparto animazione nelle mani di John Lasseter che in tutta risposta incorpora la Circle 7 Animation nella Pixar ereditando anche tutti i progetti in cantiere, compreso “Toy Story 3”… That’s a bingo! (Cit.).

Per il terzo capitolo delle avventure dei giocattoli che hanno messo la Pixar sulla carta geografica, Lasseter rimette insieme la banda e butta giù un soggetto scritto insieme a Andrew Stanton e Lee Unkrich che Michael Arndt (quello di “Little Miss Sunshine” 2006) traduce in una sceneggiatura, dove si trova dentro di tutto, anche elementi di vita reale, come quella volta in cui durante il trasloco, Lee Unkrich ha gettato la collezione di peluche della moglie, scambiandola per il sacco della monnezza (storia vera). Sto pensando alle ore passate da Lee Unkrich a scavare tra la spazzatura della discarica nel tentativo di evitare il divorzio, ma andiamo avanti.

Woody, Buzz e tutta la banda, tirati fuori dalla scatola per la loro terza avventura. 

Quando i ragazzi della Pixar capiscono che la loro storia ha bisogno di un carcere e di una grande scena di evasione, vanno a studiarsi tutti i classici del genere nel tentativo di tratte ispirazione, da “Fuga da Alcatraz” passando per La grande fuga fino ad arrivare a Nick mano fredda, insomma come fare i compiti nel modo migliore, quello che preferisco anche io, ovvero studiando i classici.

«Uhm il piano di fuga di quel biondo non è male», «Sembra uscito da un film western, non è che lo conosci Woody?»

John Lasseter dopo aver diretto i primi due capitoli, è costretto a rinunciare alla regia del terzo perché impegnato nella pre produzione di… Posso dirlo? Quella fetecchia di “Cars 2” (2011), quindi passa il compito a Lee Unkrich e nella transizione la saga non perde certo di continuità, “Toy Story 3” al netto di un budget di duecento milioni di fogli verdi con sopra i volti di alcuni ex presidenti defunti, ne porta a casa quarantuno nel primo fine settimana e più di un milione in totale, diventando la pellicola d’animazione più redditizia di sempre, almeno fino al 2014 e all’uscita di… Posso dirlo? Quella palla di “Frozen”. Metteteci sopra anche due Oscar, come miglior film d’animazione e come miglior canzone e per essere un film rimasto nel limbo produttivo per undici anni, beh… Poteva andare anche peggio! Anzi, vorrei quasi spingermi a dire che si tratta di uno dei migliori “numeri tre” della storia del cinema, uno di quelli universalmente riconosciuti come belli quando (se non più) del primo capitolo. Ci sono moltissime saghe cinematografiche che non possono vantare lo stesso primato, così a memoria l’unico che potrebbe sedersi allo stesso tavolo di “Toy Story 3” è l’ultimo capitolo della avventure di Indiana Jones. No, ho detto l’ultimo quello VERO, L’ultima crociata, i film di Indy sono tre… TRE! Che dite, lo mettiamo tra i Classidy questo film? Ma sì, dài se lo merita!

Undici anni potrebbero essere tanti per sfornare il nuovo capitolo di una saga, di sicuro non sono pochi per il pubblico, ma per i bambini possono essere un’infinità, nel senso che in undici anni di tempo un bambino smette di essere tale e finisce per ritrovarsi con l’età giusta per andare al militare, oppure al college come accade ad Andy all’inizio di questo terzo capitolo. Ma per i suoi giocattoli? Quanti sono undici anni? Se va bene il tempo che passeranno a giocare con il loro bambino, sempre se non si rompano, oppure non vadano perduti prima. Se l’alternativa è essere messi via per sempre quando i bambini sono ormai troppo grandi per giocare, undici anni sono pochissimi, l’equivalente di un pomeriggio di giochi, infatti “Toy Story 3 – La grande fuga” inizia così, con l’illusione che dopo tutto questo tempo sia ancora tutto uguale, mentre, invece, sono passati undici anni e tutto sta per cambiare.

Quasi ora di mettere via i giocattoli per il “piccolo” Andy.

Tutto inizia con Andy ancora intento ad inventare avventure con i suoi giocattoli (lo ammetto a me “Dottor Prosciutto” fa sempre molto ridere) e con un’ellisse narrativo ottenuto attraverso le registrazione della madre, ci ritroviamo nel presente. Un inizio micidiale, perché se in due film ci siamo abituati a vedere il mondo dal punto di vista dei giocattoli, questa scena da sola basta a farci capire come loro percepiscono il tempo, quello dei giochi che per Woody e Buzz sta per finire per sempre.

Andy non ha nessuna voglia di vedere i suoi amici d’infanzia finire all’asilo Sunnyside, il suo piano è di portare con sé al college il suo preferito Woody e destinare tutti gli altri alla soffitta, ma per uno scambio di sacchi i nostri eroi rischiano la monnezza e riescono a salvarsi solo saltando dentro alla scatola proprio destinata a Sunnyside. Woody cerca di convincerli che Andy non voleva abbandonarli, ma tanto per cambiare nessuno gli crede e nel tentativo di restare tutti insieme, cercano di abituarsi alla vita all’asilo.

«Perché voi a giocare all’asilo ed io a studiare al College?», «Guarda il lato positivo: TOGA! TOGA! TOGA!»

Che poi… Oh! ‘sto Sunnyside non sembra nemmeno male, tutti sono molto gentili e dopo anni di richieste da parte della Pixar, finalmente la Mattel si convince, ecco perché nel film fanno il loro esordio anche i celebri Barbie e Ken, di fatto due gag pronte ad avvenire, molte delle quali ruotano attorno al bambolotto e alla sua non proprio virile passione per i vestiti, in Italiano è doppiato da Fabio De Luigi, ma se vi capita gustatevi la versione originale, con Michael Keaton che sbaglia (volutamente) alcune parole, con effetti tutti da ridere.

Insomma, se sei un giocattolo destinato a stare in un sacco nero in soffitta, un asilo dove i bambini con cui giocare saranno sempre tali, non è poi una prospettiva così male, cosa può esserci di male in un posto gestito da un grosso orso rosa di peluche che quando lo abbracci profuma di fragola? Ecco… Tutto! Perché Lotso Grandi Abbracci (in originale ha la voce di Ned Beatty) è un despota a capo di una banda di sgherri che comanda Sunnyside con il pugno di peluche ferro, per Woody e compagni l’asilo è un campo di prigionia da cui non si può scappare e dove bisogna sopravvivere alla temibile “Aula Bruco”, la classe dei bambini piccoli che con le loro manine appiccicaticce devastano giocattoli come se non ci fosse un futuro… Insomma: forse il sacco nero in soffitta non era poi così male!

All’Asilo si sta bene, e s’imparan tante cose, la maestra Lotso ci vuol bene, è così che piace a noi!

“Toy Story 3 – La grande fuga” abbraccia non Lotso, ma tutte le dinamiche tipiche dei film carcerari, i personaggi più spavaldi, i ribelli pronti a ribellarsi all’autorità vengono piegati, come accade a Buzz che viene punito con un “reset” e rispedito alle impostazione di fabbrica, tornando così ad essere uno Space Ranger fanatico e pronto a prendere ordini, in quello che non riesco a non pensare sia un lascito della prima bozza di sceneggiatura per questo film. Bisognerebbe anche parlare dell’altra personalità di Buzz, quella “caliente” che viene fuori quando Jessie (Joan Cusack) è nei paraggi, attraverso la quale ci godiamo anche la versione spagnoleggiante della classica “You’ve got a friend in me” firmata dai Gipsy Kings. Dopo aver reso allegro Riccardo Cocciante, “Toy Story 3” riesce nell’impresa di rendermi sopportabili anche i Gipsy Kings, ci erano riusciti solo i fratelli Coen prima!

«L’hai detto hermano, non si scherza con Buzz», «Lo dico sempre che troppi Gipsy Kings fanno male»

Ogni film carcerario degno di questo nome, deve avere una gerarchia di secondini caratteristici e degni del disprezzo del pubblico, personaggi loschi che si dividono tra collaborazionisti, viscide spie e fedelissimi. Ovviamente, non mancano nemmeno qui e anche se declinate in chiave “giocattolosa” ne abbiamo per tutte le categorie, il Telefono chiacchierone (con la voce di Gerry Scotti) risponde perfettamente alle caratteristiche, anche se da “scimmiologo” non posso che avere una predilezione per la scimmia con i piattini d’ottone, che sembra uscita dritta dalla locandina di un film di George A. Romero e che veglia sulle telecamere di sorveglianza pronta a dare l’allarme.

Anche per oggi, lo “scimmiologo” in me può considerarsi soddisfatto.

Lotso, poi, non fa altro che tenere viva la grande tradizione dei direttori di carceri stronzi, pronti a farsi odiare dal pubblico e a torturare i protagonisti dietro le sbarre con tutto quello che hanno, questa specie di Donald Sutherland, oppure Patrick McGoohan all’odore di fragola, ha una storia dolorosa quanto quella dei nostri protagonisti, che lo rende il loro perfetto lato oscuro, anche se è rosa e tenerone. Un bastardo senza possibilità di redenzione che, anzi, quando ne ha la possibilità in una scena in particolare, se ne esce con una frase da cattivo che davvero ti aspetteresti di sentire ringhiata contro Sylvester Stallone, oppure Clint Eastwood («Dov’è il tuo bambino adesso, sceriffo?») che mette in chiaro che di cattivi più riusciti di Lotso al cinema ne abbiamo visti pochi. A casa Cassidy è diventato una mascotte che a suo modo asseconda la nostra (insana) passione per i cattivacci (storia vera).

Prove del fatto che a casa Cassidy si fa il tifo per i cattivi (storia vera)

“Toy Story 3” cambia lo scenario per sempre, perché il primo film era una corsa contro il tempo per riportare a casa Buzz, il secondo per far tornare Woody, ma questa volta? Questa volta non c’è più una casa e un bambino da cui tornare perché quel bambino è cresciuto, il massimo che si può fare è cercare di resistere e restare insieme, perché l’unica famiglia rimasta ai protagonisti è quella che si sono costruiti loro, composta da cani a molla, dinosauri di plastica, sceriffi di pezza e Mr. & Mrs. Potato con i loro alieni verdi adottati.

Se in tre film e quindi anni dal primo capitolo, abbiamo imparato a voler bene a Woody e compagni, in 102 minuti “Toy Story 3 – La grande fuga” regala una corsa contro il tempo come solo alla Pixar sanno fare, una di quelle che ti fa aggrappare ai braccioli della poltrona anche se il film lo riguardi tutti i Natali quando lo replicano in tv. L’ultimo quarto d’ora del film è perfetto, riesce ad essere un bellissimo omaggio all’infanzia e alla sua fine, una coinvolgente presa di coscienza sulla morte e su come affrontarla anche con una certa dignità, ed un elogio a quanto sia giusto e anche bello, lasciarsi il passato alle spalle senza doverlo per forza dimenticare.

«Ora capisco perché piangete» (Cit.)

Non mi sono stupito tanto scoprendo che per i primi test relativi alla scena della fornace, come musiche abbiano preso temporaneamente in prestito quelle di Terminator 2 – il giorno del giudizio, perché insieme al film di Jimmy Cameron, “Toy Story 3” si guadagna il titolo di film con più alto rischio di “palpebre che sudano” in una scena che prevede fiamme ad alte temperatura. Una scena talmente riuscita da farti dimenticare il “Deus ex machina” con la quale si conclude, perché ha una carica emotiva e una gravitas non indifferente. Mostrarla quasi tutta dal punto di vista di Woody è la dimostrazione che Lee Unkrich questi personaggi li conosce davvero, perché lo sceriffo è quello che più di tutti fin dal primo film, ha sempre tenuto fede alla sua natura di Cowboy cercando di tenere insieme, sani e salvi i suoi amici, infatti qui è letteralmente l’ultimo ad arrendersi alla fine inevitabile.

«Più le cose cambiano, più restano le stesse» (Cit.)

In qualche modo, “Toy Story 3” è un film quasi circolare, non solo perché questo è il modo migliore per raccontare al cinema il tempo che passa, ma anche perché inizia con le immagini del piccolo Andy intento a giocare con i suoi giocattoli che sfumano e si sovrappongono con quelle del se stesso cresciuto e il finale fa quasi lo stesso, però al contrario, perché Andy prima di partire per il college, gioca un’ultima volta con i suoi amici rifacendo gli stessi movimenti che faceva da bambino, perché alla fine siamo tutti fatti della somma delle nostre esperienze, di quello che mangiamo, beviamo, leggiamo, ascoltiamo e guardiamo e… Perché no? Anche di quello con cui abbiamo giocato, l’importante è non dimenticarselo mai e, magari, ogni tanto riguardarsi “Toy Story”.

Questo è un colpo basso lo so, ma siamo alla fine perdonatemelo.

Sepolto in precedenza mercoledì 19 giugno 2019

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