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Tra cielo e terra (1993): il via col vento di Oliver Stone

La parte complicata di un post dedicato a “Tra cielo e terra” consiste nel non passare tutto il tempo a canticchiarmi un pezzo dei Dhamm, anche perché anche questa settimana gli argomenti non mancheranno, ben tornati al nuovo capitolo della rubrica… Like a Stone.

La guerra privata dell’ex soldato ora cittadino Oliver Stone si è consumata in modo drammatico, anche sul suolo americano, non solo il suo JFK ha scosso parecchie coscienze, ma la risposta alle polemiche sollevate dal suo film sono state gestita dal nostro Oliviero esattamente come ci si sarebbe atteso da uno con il suo sanguigno carattere. Stone non si è tirato indietro di fronte a NESSUNA, ribadisco, nessuna discussione o tribuna politica scatenata dal suo film. Indistinguibile dal procuratore distrettuale di “JFK”, Stone ha difeso a spada tratta la sua posizione, risultato? Sei mesi di lotta verbale come, il protagonista di Talk Radio, lo avevano consumato, quando in ritiro spirituale qualcuno ha portato alla sua attenzione i due libri autobiografici di Le Ly Hayslip, il nostro si è gettato di nuovo nella mischia, aveva un’altra tornata di rinnovate motivazioni a smuoverlo.

Dopo aver raccontato il Vietnam dal punto di vista dei soldati, da quello della sua colonna sonora e aver con le unghie e con i denti difeso l’origine storica del conflitto, a Stone mancava davvero solo un punto di vista su quella guerra maledetta che ha segnato la sua vita e la sua carriera. Quel punto non poteva che essere quello di coloro che come occidentali, indottrinati anche da tanto cinema americano, abbiamo istintivamente imparato ad additare come i cattivi, perché per noi, occhi non a mandorla abitanti di questa porzione del pianeta, quella guerra è stata quella del Vietnam, per loro laggiù è stata solo quella contro gli invasori americani, quella che loro considerano ancora oggi la guerra del Vietnam è stata quella combattuta prima, contro i francesi, giusto per darvi la dimensione di quanto il punto di vista possa cambiare tutto, anzi, va proprio detto che i francesi hanno un ruolo chiave, anche nella genesi di quest’opera.

L’uomo La donna con la mimetica nera, Drugo, quello sì che era un avversario (quasi-cit.)

Dopo aver dedicato un film al padre, “Heaven & Earth”, da noi uscito come “Tra cielo e terra” è dedicato dal regista a sua madre Jacqueline, che sognava di vederlo dirigere qualcosa della portata e dello stile di “Via col Vento” (storia vera). Stone non si è mai nascosto dietro ad un dito, un budget di trentatré milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, le riprese in Thailandia con un cast quasi interamente orientale e per la prima volta, una protagonista femminile, anche per andare testardamente contro chi lo accusava di fare solo film ad alto contenuto testosteronico, il risultato? Il titolo che ho visto meno volte di Stone, non perché sia un brutto film anzi, indubbiamente con alcuni problemi strutturali, ma decisamente massacrato più del necessario alla sua uscita.

Anche perché parliamoci chiaro, poco meno di sei milioni di dollari portati a casa nel primo fine settimana di programmazione rendono tutto leggermente in salita, a questo poi aggiungeteci il quantitativo, non voglio risultare troppo crudo usando l’espressione nemici, ma la feroce difesa della sua posizione messa su da quello Spartano di Stone per il suo JFK ha avuto come effetto collaterale un plotone di recensori Persiani pronti ad infilzarlo con le loro penne, specialmente aizzati da un film ad una prima occhiata “tenerone” come questo “Heaven & Earth”. Che poi oh! Parliamo sempre delle tenerezza di cui è capace uno schietto, diretto e il più delle volte crudo come Oliver Stone, ma dopo le polemiche, erano tutti in cerca di un osso da sgranocchiare.

Tornato nel ‘Nam, questa volta alle sue condizioni.

“Tra cielo e terra” è barocco, anche nel suo voler ritrarre il Vietnam come un luogo da sogno, all’inizio sembra Hobbiville prima dell’arrivo delle orde di Saruman, quasi un luogo da sogno a cui contribuisce largamente anche la colonna sonora di Kitarō, lo dico, bellissima, sul serio, non solo si sposa alla perfezione con le immagini, ma accompagna alla perfezione tutta la tormentata vita della protagonista, l’esordiente totale Lê Thị Hiệp, scelta da Stone consapevole del suo non aver mai preso mezza lezione di recitazione in vita sua, ma perfetta nel bucare lo schermo, il film si espone a diverse critiche, ma questo dettaglio (si fa per dire) è decisamente passato troppo inosservato, Phùng Thị Lệ Lý è un personaggio che non si dimentica.

Che sia un film pensato per le madri questo “Tra cielo e terra” è chiarissimo, di norma quando una trama prevede una protagonista che attraversa una serie di sfighe clamorose, siamo subito in zona titoli da pomeriggio di Canale 5, uno di quelli che potrebbe piacere tanto alla mia di madre, da qui il paragone, con la sola differenza che Stone non rinuncia mai a mordere e lo fa fin da subito. Non solo il regista ci riassume la storia del Vietnam meglio degli ultimi dieci documentari che (forse) avete visto dedicati a questo tema, ma lo fa dal punto di vista della sua protagonista, che prima nella sua personale Hobbiville vede arrivare i francesi invasori, seguiti a ruota dai Vietcong pronti ad indottrinare e arruolare tutti (anche i suoi fratelli) e per finire, gli americani, che riescono immediatamente nell’impresa di far sembrare tutti quelli arrivati prima di loro, non dico dei santarellini (anzi!) ma immediatamente il male minore.

Dottor Scotti!

Difficile trattare “Heaven & Earth” senza trasformarlo nella cronaca dei maltrattamenti subiti dalla povera protagonista, tra torture con i serpenti, una violenza sessuale visivamente drammatica tanto quanto la criticatissima scena di stupro di Salvador, e tutta la sua trasformazione, da concubina e madre del figlio bastardo di un nuovo “padrone”, fino al vendere per strada, non per forza solo le sigarette ai soldati americani. Insomma, valgono le immortali parole di Aldo, Giovanni e Giacomo sul neorealismo che è pesante da digerire quanto la peperonata.

“Tra cielo e terra” è barocco nel suo voler raccontare la vita sospesa di una Rossella O’Hara alta, a voler essere generosi, un metro e cinquanta e proveniente dal sud, non degli Stati Uniti ma del mondo, tanto che viene davvero da pensare che ad un certo punto la sentiremo esibirsi nel classico «Domani è un altro giorno», perché anche lei si ritroverò più volte a dover raccogliere i pezzi della sua vita, metaforone di un Paese massacrato e più volte invaso, ma mai davvero spezzato. Dopo aver raccontato la guerra del Vietnam da tutti i punti di vista, per Stone era ora di rendere onore a quello che in un film dei Coen definivano “L’uomo con la mimetica nera” che in questo caso, è una donna che della guerra, avrebbe fatto volentieri a meno, proprio come il suo Paese d’origine.

«Get to the choppa!»

Inutile girarci attorno, qualcuno spesso accusa Oliver Stone di peccare di retorica, a mio avviso è una critica a cui il suo cinema espone il fianco perché il nostro, ci crede, spesso ci crede molto in quello che racconta e va molto “de panza” su certi argomenti, tanto riesce a risultare crudo, diretto e sembra alla ricerca della verità, quando tante volte lo stesso approccio lo porta ad esporsi a momenti che qualcuno può percepire come retorica. Tutto questo è amplificato da quello che è quasi universalmente riconosciuto come il suo film più tenero, anche se mi viene da aggiungere, tenero un bel cazzo visto che il Rhett Butler della situazione qui, è impersonato da Steve Butler, Tommy Lee Jones al secondo film con il regista (e il tassametro corre) alle prese con un personaggio tutt’altro che semplice.

Ad una prima occhiata, quasi romantico, almeno pensando a quante ne ha passate la protagonista fino a quel momento, il soldato Butler è almeno sospetto, anche nel suo sembrare tanto una sorta di salvatore bianco venuto per portare via la protagonista dalle sue miserie. Grazie anche alla prova intensa (anche troppo a tratti) di Tommy Lee Jones, Butler non Rhett ma Steve rappresenta il lato oscuro del reduce, l’altra faccia della medaglia rispetto a Nato il 4 luglio se vogliamo. Trovo interessante poi il punto di vista di Stone sull’altezza, lui stesso, 1,83 dichiarato, nella sua autobiografia (“Cercando la luce” edita da la nave di Teseo, 2020) si descrive come un gigante, nel libro non parla affatto di “Heaven & Earth”, visto che si ferma molto prima a raccontare la sua produzione, ma nelle varie interviste ha dichiarato di aver scelto l’attore Texano anche perché rispetto alla protagonista, sembrava un gigante. Per curiosità ho verificato, anche Tommy Lee Jones è 1,83 dichiarato quindi gente è ufficiale, posso bullarmi di essere un gigante anche io, almeno secondo il sistema metrico-ego-decimale di Oliver Stone.

Meglio stare seduti, almeno siamo tutti alti uguali.

Sarà anche un personaggio al limite, sopra le righe come spesso Stone ha chiesto a Tommy Lee Jones di recitare nei suoi film, ma è anche il viatico alla porzione di film che preferisco, lo sbarco negli Stati Uniti della protagonista che sembra il sogno del topolino Fievel, dove il regista si diverte a ritrarre i suoi connazionali pingui, alla faccia della costante fame della protagonista hanno frigoriferi doppi enormi, volutamente inquadrati dal basso e possono fare spesa in supermercati che agli occhi della protagonista sono un sogno, con venticinque tipi di cereali per fare colazione anche se su questo punto devo dire che condivido l’estasi di Phùng Thị Lệ Lý, nel mio primo supermercato oltre oceano ho reagito più o meno allo stesso modo (storia vera).

Rivedendo “Tra cielo e terra” in occasione di questa rubrica, devo dire che mi ha colpito il modo in cui anche Stone racconti la sua storia con un tono a sua volta in sospeso, proprio come il titolo del suo film sa passare da scarti quasi romantici a momenti di crudo realismo sbattuto in faccia allo spettatore, perfettamente in linea con lo stile che lo ha reso amato e odiato, tra cielo e terra appunto.

Il terzo ideale capitolo della sua trilogia sul Vietnam dopo Platoon e Nato il 4 luglio, anche se in realtà buona parte della sua filmografia parla di quella guerra, risulta essere un film a cui il suo regista, testardo e orgogliosissimo considera ancora uno di quelli che più ha amato dirigere, ma è indubbiamente stato un flop sanguinoso al botteghino, su cui ai tempi qualche penna al curaro si è scagliata con uscite infelici del tipo: ma i Vietnamiti non hanno già avuto abbastanza problemi? Anche Stone che fa il carino con loro ora? (Storia vera).

Born in the USA Vietnam.

Nulla mi toglie dalla testa poi che l’anno 1993 sia un momento chiave per Oliver Stone, non voglio fare il Freud della bassa padana, però nello stesso anno in cui è uscito con questo film, il suo secondo matrimonio con Elizabeth (ex) Stone è terminato. Siamo diventati un sito di pettegolezzi? Proprio no, perché nel 1996 il nostro Oliviero è convolato a giuste nozze con una nuova moglie, Sun-jung Jung, come potete intuire orientale. Avete presente l’arco narrativo del tenente Dan di Forrest Gump? Ecco, per certi versi ricorda molto la vita di Oliver Stone.

Per la rubrica invece, passiamo dal titolo meno ricordato, oltre a quello che ho rivisto meno volte, a quello che invece è forse il suo film più famoso… O famigerato. Ci vediamo qui tra sette giorni, non mancate!

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