Non volete scegliere? L’abbiamo scelto per voi questo trip, l’overdose giornaliera di parole e cinema. Vi lascio al vostro pusher di fiducia. La vostra Madre Superiora, il vostro Quinto Moro.
Scegliete la Bibbia. Ma anche no.
C’era questo prete dico. Non era proprio un prete. Stava in borghese, in incognito o come si dice. Un professore ecco, delle superiori. Teneva gli occhialini da nazista, anche se non sembrava tanto vecchio né cattivo, non come un nazista. Anzi, un pezzo di pane. Di quello morbido, da farci i toast. Certe uscite non te le aspetti da un cristocattolico in borghese che a una classe di quindicenni dice: “mi raccomando ragazzi, non dite ai vostri genitori che vi faccio vedere Trainspotting.” Storia vera.
Ve lo devo dire. Ho sempre avuto un gran bel culo. Dico sul serio. Vi mando una foto se non ci credete, o ve la pubblico in fondo al post. Perché ci vuole un gran bel culo a beccare per tutta l’infanzia e adolescenza un branco di adulti che smettono d’essere cristocattolici bacchettoni al momento giusto: quando si parla di cinema. Non è che me li sparassi in vena di nascosto, erano loro a prepararmi la dose, giuro. A tutte le età. Questi gatti ammansiti con la croce al collo e i santini appesi dappertutto, non erano proprio permissivi, neanche per il cazzo dico. Ma coi film era diverso. E questo prete mancato qui è l’ultimo della lista: un cristocattolico stitico autentico che ci fece vedere Trainspotting, a noi quindicenni, quel randagio. Un cinefilo incallito. Storia vera cazzo. Ora di religione significava film. Questo cristocattolico magari non tirava di boxe come Padre Karras, però la garra era quella, se al verbo stampato sulla Bibbia preferiva sermoni stampati in vhs. Così mi sono fatto discepolo della parabola Trainspotting, la mia preferita cazzo, anche perché il vecchio non voleva menarcela con la morale sulle droghe. Per lui tanto bastava il film. Forse perché c’era nato in quella generazione fottuta dall’ero. Amen e alleluia cazzo.
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Il mio prof. vestiva uguale a Begbie. E non per il colletto alla V for Vangelo. Il suo guardaroba rispecchiava Begbie in ogni scena del film. Storia vera. |
Scegliete la Scozia. Se proprio volete.
C’è stato Sean Connery giusto? Uno scozzese coi fiocchi, dico io. Ha pure vinto l’Oscar ma questo non significa un cazzo, dice Sick Boy. Sick Boy è un tossico fissato con Sean Connery, ed è il miglior amico di Mark Renton, ma solo nel libro, perché nel film Sick Boy è un vero stronzo. Chi cazzo è Renton? Il tossico protagonista, ma solo nel film. Perché sì, rota anarchica e mezzo dislessica di film viene da un libro parecchio incasinato, ma ci guadagnate sul velluto a guardare prima il film.
Sick Boy non è che sia proprio fedele allo spirito originale. Non è la personalità, è che Johnny Lee Miller che lo interpreta è inglese. Insomma, se un inglese può passare per scozzese, datelo a lui l’Oscar di Sean Connery cazzo. Ma con Renton ci è andata di culo, perché Renton lo fa uno scozzese vero. Perciò non potevano fare i migliori amici cazzo, e infatti le scene dove sembrano un cuore e una canna ZAC! segate in sala montaggio. Meglio così dico io. ‘Fanculo alle scene di troppo e alle versioni estese. Qui si va dritti a 90, che non è la posizione ma il minutaggio. Si lavora di sottrazione per tenere il ritmo. Alleluia e amen cazzo.
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Dose pronta sotto il tacco e carisma da 007 per far fuori ogni perbenismo antidroga. |
Sick Boy è un ossigenato del cazzo in fissa per Sean Connery, che Dio l’abbia in gloria, ma Sean ha speso metà carriera a fingersi un inglese al servizio di Sua Maestà. La cosa peggiore di Sean? L’avete visto
Highlander? E’ la storia di questo scozzese cazzuto, Connor MacLeod, ma lo fanno interpretare a un francese. E il suo mentore Sean-leggenda-vivente-Connery, scozzese fino al midollo, fa il ruolo del fottuto spagnolo!
Voglio dire, che cazzo deve fare un povero scozzese per avere un po’ di sano orgoglio in questo stronzo mondo del cinema? Non venitemi a dire William “Braveheart” Wallace. Il nostro eroe nazionale a chi lo lasciamo? Agli americani. E poi si sa che agli americani piacciono di più gli irlandesi, o gli italiani perfino! Nemmeno questo sono riusciti a fare gli scozzesi, neanche arrivare terzi alla colonizzazione del Nuovo Mondo. Sono rimasti al palo, a farsi di ero e guardare i treni.
A questo punto tanto vale guardare in faccia la realtà. Altro che grande orgoglio scozzese. Quando mai ci cagano dal resto del mondo civilizzato? Per ‘sto romanzo che non è un romanzo ma un cacatoio di storie di perdenti, stronzi, patetici, violenti e drogati. Perché Trainspotting è un successone. Ok cazzo. Va bene anche così. Ma quando leggi il nome dell’autore ti cascano le palle: Irvine Welsh. Sul serio cazzo? Irvine “il Gallese”. Quando poi fanno il film a chi lo fanno dirigere? A Danny stramaledettoinglese Boyle. Che di faccia poi, sembra un crucco.
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Tenny Poyle esipisce sgvardo cattifo pronto a sparare a qvesti drocaten, jawohl Mein Fuhrer! (in realtà Danny è un pacioccone, ma resta pur sempre un inglese) |
Scegliete una patria. Sceglietela meglio.
Va a finire che è una merda essere scozzesi, parola di Mark Renton. Renton, ecco l’eroe che ci meritiamo. Lo ruggisce forte al cielo delle Highlands quanto è merda essere scozzesi, e c’è da credergli se a interpretarlo c’è uno scozzese doc – alleluia cazzo – Ewan McGregor.
Il monologo di Renton che sputa sull’identità nazionale è un dritto e rovescio alla Andy Murray, la sveglia per non stare a raccontarsela che il tuo appartenere a questo o quel buco di culo del mondo sia chissà quale meraviglia, ma devi essere onesto nel riconoscerlo per quel che è. E per quanto ficcarti un ago in vena o strafarti di questo o quello non risolva uno stracazzo di niente, beh, è meno ipocrita che raccontarsi d’essere speciali per essere parte di un insignificante gruppo sociale cui appartieni solo per una bandiera piantata su per il culo, giusto perché sei nato qui o lì.
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Le Highlands. L’alcol. La droga. La depressione. Gli amici stronzi. Bella la Scozia, ma non ci vivrei. |
Scegliete il romanzo, critici da pipa e monocolo del cazzo.
Si, si, lo so che leggere è bello e salutare. Sono fantastici, i libri, perché ci puoi menare gli stronzi che è una bellezza. Al massimo stropicci qualche pagina, e se restano macchie di sangue vai di acqua ossigenata e candeggina. Il sangue sbiadisce ma l’inchiostro di stampa resta.
Trainspotting-libro è un romanzo-che-non-è-un-romanzo, un’accozzaglia di situazioni buttate una addosso all’altra, così come i personaggi che a volte non capisci di chi cazzo stai leggendo. Ma il film non si perde per le viuzze secondarie, ti ruggisce dritto in faccia con la sua fiata alcolica, ti prende per le palle e strizza forte. Non ti sei ancora ripreso che corri alla scena dopo, ingoiato nel vortice di eventi. Parti con “Lust for life” di Iggy Pop, e giù col monologo storico, su come si sceglie la vita giorno per giorno per tirare a campare. Ti punta il dito sul naso, questo film, te lo schiaccia forte come a un clown del cazzo. E ti ride in faccia, ti scherza e ti scopa senza preservativo. È il film che ti si fa, come un anarchico viaggio lisergico che sputa e ride in faccia alla società conformista, poi ti sbatte in faccia neonati morti e bravi ragazzi con ascessi al cervello. Fai giusto in tempo a renderti conto delle goccioline umide che ti sei ritrovato in faccia, gli sputazzi perché ‘sto film rideva in faccia proprio a te. Ma già si sta correndo al finale, brillante e ipocrisiaco. È qui il film si mostra per quel che è: costruito nel suo essere anarchico, un racconto bizzarro ma coerente che arriva quasi a negare se stesso, nel trionfo di chi vuol scegliere la vita. Perché Renton alla fine fa la sua scelta.
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“Se non stai un po’ zitto te la pianto nel cuore. Hai visto Pulp Fiction?” (Cit.) |
Scegliete un eroe. Scegliete una maschera.
Caro Mark Renton. Alla fine hanno scelto proprio te. Quasi il più sfigato del gruppo a far da protagonista. Ma è sempre così nei romanzi di formazione, o come cazzo li chiamano gli intellettuali con la pipa e gli occhiali (e la sciarpa, usano la sciarpa quelli, per darsi un tono del cazzo). Insomma, non è che il fottuto libro girasse tutt’intorno a questo Renton come nel film, ma va bene così cazzo. Abbiamo un tossico eroe al centro della storia, ma meglio di Sick Boy, o di Begbie, o di Spud. Ok, forse Spud meritava qualcosa di più, ma chi gli sta dietro a quello. E come cazzo parla poi. Renton invece, oh, lui è perfetto per fare il narratore protagonista. Non è così stronzo. Sbaglia, soffre, scopa, ride, strilla. È come noi. Bucato come una gruviera, ma a posto cazzo.
Renton è lo sfigato scozzese di provincia che va al centro della storia, perché questa Scozia è la provincia della provincia del mondo, ed ogni provinciale o diseredato figlio di periferia può dirsi un po’ scozzese e un po’ intossicato. Mark “Rent-boy” Renton è il ragazzo in affitto per tutte le stagioni, per tutte angosce dei diseredati, la coscienza in affitto dei debosciati, dei falliti, di tutti gli intossicati del mondo. Intossicati per la merda sparata in vena, ingoiata via bocca o ascoltata via orecchie, o dalla cancrena dei lividi incassati ogni giorno. Il “trainspotter” per eccellenza, coi trenini sulla carta da parati nella sua cameretta del cazzo (un tocco di classe, quando la scenografia fa il suo cazzo di dovere).
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Un fottìo di treni e nessuno che possa portarti lontano da quello che sei. |
Scegliete una cricca. Scegliete gli amici.
Quella di Trainspotting non è solo la cricca di Renton, Spud e Sick Boy, è pure quella di Danny, Ewan e John. Boyle, McGregor e Hodge. S’erano già fatti dei trip in giro, piccoli omicidi tra amici. Un po’ ad ammazzare un po’ a rubare, solite cose. Ma per completare la banda mancava il vecchio Christopher Eccleston. Danny gli fa tipo “Chris ci torni a lavorare con me?” e Chris gli risponde tipo “
non in questo secolo”. Ma io vi dico che è stata fortuna, che il futuro
Dottor-Chi-Cazzo-6 aveva troppo lavoro, l’attorone di stirpe, per tornare in sella con quegli sfigati. Eccleston era un dritto, l’aveva capito il vecchio Boyle, fissato a merda con la sterlina. No dico, un altro film con degli amici pronti a scannarsi per una borsa di contante? Al vecchio Boyle gli hanno fatto mancare la paghetta da piccolo, da piccoli omicidi a piccole overdose tra amici, passando per “Millions” e “Millionaire”, c’ha il feticismo per le reginette stampate su fogli di carta verde. Meglio uscire dal giro, avrà pensato il vecchio Chris, prima di finire a fare softporn con letti coperti di sterline che neanche
Mario Bava.
Insomma, finisce che Boyle ripiega su uno scozzese vero. E cazzo se era vero, il nuovo-monumento-nazionale-scozzese Robert “Begbie” Carlyle. Carlyle ci si è messo sulla mappa geografica con questo ruolo cazzo, urlando forte a tutto il fottuto mondo del cinema:
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«Io sono io, e tu chi cazzo sei?» |
Scegliete Begbie. E poi son cazzi vostri.
Se Begbie era solo un cazzone stronzo nel romanzo-che-non-è-un-romanzo, qui è… beh, è Begbie cazzo. È un metro e settanta di cazzo duro che ringhia, beve e mena su schermo. Ha dato a tutti una lezione di Scozia vera cazzo, parlando il vero scozzese cazzo. Quei fighetti della produzione hanno dovuto ridoppiare le sezioni con Begbie perché parlava troppo scozzese. Storia vera. Questo è Franco Carlyle Begbie, prendere o lasciare. Troppo scozzese? Certo, te lo rifaccio il tuo sporco ridoppiaggio per quei pallemosce butta-thé-ammare stellestrisce del cazzo. E te lo ridoppio peggio, chiaro? Slang Made in Scotland, e se non capisci un cazzo fattelo doppiare il tuo sporco film. Solo così puoi capirci qualche cazzo. E bacia le mie nobili palle scozzesi, dice Begbie.
Begbie è violento compagnia e tutti lo considerano uno stronzo ma hey, è un tuo amico, e non puoi farci niente. L’amicizia non è un’orgia di unicorni e orsacchiotti che si vogliono bene e s’aiutano. Manco per il cazzo. Far parte di una compagnia è la sopportazione gli uni degli altri, lo stare insieme nonostante tutto, anche quando sai che chi chiami amico ha torto marcio, perché pesta qualcuno senza senso. Oppure perché si buca, e per farlo ruba e fotte chiunque può. O ruba e fotte anche senza la scusa dell’ero. Oggi fotti qualcuno, domani qualcuno ti fotte. Capita. Sei cresciuto qui, in mezzo a questo schifo. Che vuoi fare? È così che va. Un po’ te lo meriti, un po’ no, ma è così che va cazzo. Spud lo beccano, Renton se la cava. È così che va in questi sobborghi scozzesi fatti di famiglie-bene cattoliche scandalizzate per il figlio scoppiato. Le giornate passano così tra una rota a una lite, tra una partita di calcio e una rissa da bar, una scopata e un buco in vena.
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Quando ti dicono che sei un bravo ragazzo, e ti senti sprofondare. |
Scegliere gli amici. Sceglietevi un ruolo.
Scegliete un protagonista: Ewan McGregor è lo scozzese che ce l’ha fatta. Scegliete un cattivo. Il menù offre Begbie il violento, o Sick Boy il cinico egocentrico. Spud è il contorno, monumento al disagio, il cervello bruciato dalla roba da far tenerezza. Scegliete una vittima. Allerta spoiler: è Tommy il bravo ragazzo che deve finir male, che un povero stronzo va sacrificato sull’altare della cattiva scelta della droga. Ma niente moralismi, anzi la si faccia così com’è, sporca e subdola: perché cos’è essere tossici, se non la caduta nell’oblio, nel disinteresse per tutto ciò che non è la roba, il distacco da tutto e tutti, compreso il gattino che ti caga per casa e ti infetta con le sue malattie? Magari ti cacavi sotto per l’HIV eh? E non pensavi al gatto che ti cacava per casa.
Sembra di stare al supermercato. Maxi offerta Gusti-Disagio. Tanti gusti di stronzo diversi, sottoprodotti da provincia, cacati fuori da un racconto antiromantico sull’amicizia fatta di risse, sostegni temporanei, abbandoni, tradimenti. Un branco di underdog, di anti-Beatles che si muovono in un mondo di mitologie perse, cambiando formazione come cambiano le stagioni, quando qualcuno muore o viene inghiottito e divorato dalla depressione o dall’alcol. Come le rock-band, ma senza le folle strepitanti e milioni di dischi venduti. E senza nessuno che si ricorderà di te. Perché se non sei Iggy Pop, non gliene frega un cazzo a nessuno di cosa ti spari in vena.
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Dilemmi di provincia: Passerà mai il treno? Diventerò qualcuno? Se il treno passasse ora, almeno mi vedrebbero al notiziario. |
Scegliere
la vita.
‘Ste storie di tossici e disadattati hanno sempre esercitato
fascino su di me, un sottogenere di cinema, dimenticato come quelli che sono morti o finiti ingabbiati nell’ispirarlo. A vedere – o leggere – Trainspotting non ci sono cazzi. È un trip. Ma se il romanzo-che-non-è-un-romanzo sembra una supposta d’oppio che ti sale lenta, il film è un tiro di coca a buon mercato che ti manda su di giri, ti esalta, deprime e poi rilassa nell’ineluttabilità della vita che hai scelto. O che ti ha scelto, qualunque cazzo di cosa voglia dire. Ti viene voglia di farti un altro giro, di rivederlo. Sotto con un’altra dose. L’incipit ti folgora e prende a sberle con quel “scegli la vita”, scegli questo e quello. Da come scegli di campare scegli pure come morire. Pensare che quel monologo doveva arrivare a metà film, ma col cazzo che avrebbe avuto lo stesso effetto. Allora meglio spararselo subito per mettere le cose in chiaro, sulle note di Iggy Pop, che ci butta nel tour di deliri e musiche che viaggiano su schermo, con questi falliti scozzesi di due generazioni: personaggi degli anni ’80 – nel libro – ancora vivi e presenti nei ’90. Prima di morire o sopravvivere e svanire tra una scelta di vita e l’altra. Prima di diventare ex tossici padri di famiglia, arrivisti assicuratori e venditori d’auto usate. Cosa credete, che tutti i tossici di allora siano morti e sepolti? I sopravvissuti si sono scelti la vita. Essi vivono – o sopravvivono – tra noi. Sono diventati i nostri vicini di casa e parenti. I nostri padri, i nostri zii, i nostri fratelli. Per qualcuno più giovane, addirittura i nonni.
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Un goccio alla salute delle tossiche anime perdute. |
Alcuni ci sono morti, a fare il Trainspotting, aspettando il loro treno, guardando i vagoni passare e portar via gli altri, i loro amici e compagni. Alcuni sono rimasti a guardare come se non ci fosse nient’altro da guardare, come uno spettacolo che era l’unico possibile, sognando dove sarebbe andato quel treno. A portarli via da una parte o dall’altra, senza sapere da che lato fosse la strada giusta, se in fondo al buco dell’ultima pera o alla redenzione dopo l’ultima rota, lasciata indietro nella speranza che fosse per sempre. A dividersi tra chi andava al cimitero e chi andava a scegliersi la vita. A scegliere un altro brano di Iggy Pop o di Bowie da ascoltare, magari un libro da leggere e un film da guardare. A ripetersi in silenzio, come ignari del sussurro sottopelle, di rigar dritto lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.
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A scanso di equivoci, sia chiaro che La Bara Volante non incoraggia in nessun modo il consumo di pere. Men che mai per curare il male di vivere. |
Grazie a Quinto Moro per averci portati tutti in Scozia, vi ricordo qualcuno dei suoi lavori, che potete trovare comodamente
QUI.