Home » Recensioni » Triple Frontier (2019): ricercati ufficialmente Netflix

Triple Frontier (2019): ricercati ufficialmente Netflix

Lo ammetto candidamente: ormai penso che Netflix lavori più sulla quantità che sulla qualità. Credo che sia opinione abbastanza diffusa che sul paginone del popolare canale streaming, sia obbligatorio selezionare come si faceva un tempo al videonoleggio, certo, poi sparando nel mucchio, ogni tanto qualcosa di buono viene fuori, tipo questo “Triple Frontier”.

Bisogna dire che questo film girava ad Hollywood da parecchio, attorno al 2010 con i soldi della Paramount, nel cast ci sarebbero dovuti essere Tom Hanks e Johnny Depp, mentre alla regia Kathryn Bigelow (scusate se è poco) rimasta a bordo come produttrice esecutiva accanto allo sceneggiatore e compagno nella vita, Mark Boal. Mettiamola così: mi spiace più per non aver visto la regia di Katrina che il faccione di Jonny, ecco.

Nel 2015 la regia viene affidata a J. C. Chandor e con lui arriva Oscar Isaac, riformando così la coppia di “1981: Indagine a New York” (2014) un film di cui avevo apprezzato le prove degli attori e il tentativo, tutto italiano, di rendere il titolo simile ad un film di Carpenter che mi piaciucchia.

«Cassidy non avrà per caso citato John Carpenter anche in questo post?», «Credo che lo abbia appena fatto»

Nella girandola di attori chiamati a recitare, i nomi sono stati molteplici, ad esempio dei due fratelli Affleck, l’unico rimasto davvero a bordo è stato Ben, Casey ha pensato di passare la mano. Non sapremmo mai come sarebbe stato questo film se a dirigerlo fosse stata Katrina, azzardo decisamente più impegnato nei temi (visti gli ultimi titoli della filmografia della Bigelow), ma per una volta va bene così, perché J. C. Chandor imprime al film il ritmo giusto e se i film moderni devono durare tutti due ore per forza (125 minuti per la precisione) questo “Triple Frontier” scivola via come se durasse mezz’ora in meno, non è roba che accade spesso ultimamente.

La trama prende luogo nella zona della “triplice frontiera” tra Paraguay, Argentina e Brasile, Santiago “Pope” Garcia (Oscar Isaac) è un acciaccato agente delle forze speciali che dopo aver intrecciato una relazione, a metà tra il professionale e lo sbaciucchioso con la bella informatrice Yovanna (Adria Arjona) viene a conoscenza del luogo dove si nasconde un famigerato narcotrafficante, ma soprattutto dove il “Pablo” della situazione nasconde buona parte dei soldi guadagnati. Gli intenti sulla carta sono nobili, un “Vado… l’ammazzo e torno” (cit.) che serve e tenersi buona la coscienza, consapevoli di non aver eliminato proprio Madre Teresa, ecco.

«Raga ordiamo un’altra birra o andiamo ad uccidere un narcotrafficante?», «Narcos», «Narcos», «Narcos», «Ma un’altra birretta io l’avrei bevuta volentieri»

Ma se poi riuscissimo a portarci a casa un po’ di quei bigliettoni verdi con sopra le facce di tanti ex presidenti defunti per garantirci una ricca pensione? Sarebbe davvero un male? Per fare questo Pope rimette insieme la vecchia banda, proprio come facevano Jake ed Elwood Blues, perché in fondo ci sono molte forze speciali a spasso che dopo aver servito per il loro Paese, ora si barcamenano per arrivare a fine mese.

Tra questi l’idealista del gruppo, William “Ironhead” Miller (il Charlie Hunnam di “Sons of Anarchy” che per fortuna ogni tanto lavora, non solo con Del Toro), uno che fa bei discorsetti ai neo soldati appena addestrati ed è pronto a tornare in azione se a bordo ci sarà anche Tom “Redfly” Davis, l’ex capitano, quello con il super potere di pensare le strategie migliori per entrare, colpire e uscire senza vittime, ma, a ben guardarlo, anche quello che se la passa peggio.

Kathryn “Dirige come un uomo” Bigelow, anche da produttrice, riempie i suoi film di manzi.

Non solo perché ad interpretarlo è un Ben Affleck più bolso che mai (basta guardarlo per capire perché è stato licenziato, altro che Batfleck nel prossimo “The Batman”), ma anche perché ha dovuto reinventarsi venditore di case, per pagare gli alimenti e provare e non perdere le sue amate figlie. Più incasinato di lui solo il pilota di elicotteri Francisco “Catfish” Morales (Pedro “labbrino” Pascal, unico con esperienza di Narcos) al quale è stata ritirata la licenza di volo per la sua sperimentazione con le sostanze, oppure Ben Miller l’unico del gruppo senza un soprannome, è anche quello più sfigato di tutti. Voi direte: “Perché gira con il berretto girato al contrario come Jovanotti ad inizio carriera e ride come un cretino per tutto il tempo del film?”. Sì, anche, ma soprattutto perché era il protagonista di “Tron: Legacy” (meglio noto come “Tron: LEVATI”) e certe cose ti segnano la carriera a vita.

«Potevo essere Batman, invece sembro Shrek insieme a Ciuchino»

Seguire le vicende di questa banda di bastardi (al soldo dell’uomo del Giappone di Netflix) è piuttosto coinvolgente, bisogna dirlo, lo sceneggiatore Mark Boal non perde troppo tempo ammorbandoci con lunghi spiegoni, per illustrare le caratteristiche principali di tutti i personaggi, Oscar Isaac e Charlie Hunnam sono gli idealisti del gruppo, mentre uno tra loro nel momento chiave alla pari di Sméagol si lascerà corrompere dall’avidità mettendo tutti i suoi compagni nei guai, perché “nella merda” mi dicono essere troppo volgare per un blog di classe come questo (in questi casi si aggiunge: Ba dum, tss!).

In questo senso, J. C. Chandor ci racconta una storia molto tipica del suo genere, fatta di fedeltà e fratellanza, ma anche di spirito di sopravvivenza e avidità, tutta roba molto in linea con i suoi precedenti film, in particolare “Margin Call” (2011) e “All Is Lost” (2013).

Ma quello che funziona meglio di “Triple Frontier” è un buon ritmo, una serie di scene efficaci che ogni volta aggravano la condizione dei nostri protagonisti, facendoci guadagnare in termini di coinvolgimento, ad ogni dollaro speso, bruciato, regalato o perso dai nostri (anti) eroi, mi sentivo come se stessero dilapidando il mio di conto in banca.

Ma che mi frega, tanto le monetine in spiccioli non prendono fuoco, tiè!

L’azione è diretta in modo più che onesto, Chandor si esibisce in un sacco di classici da film d’azione, si passa dalla sparatoria iniziale, per passare poi all’inseguimento a piedi, ma anche a quello in auto nel finale, tutta roba che non cambierà la storia del cinema d’azione per sempre, ma che risulta efficace e ben fatta, forse giusto nelle scene con l’elicottero in volo la CGI mostra un po’ il fianco, ma Chandor è bravo a tenere alta la tensione, alternando le scene all’interno della cabina, alle panoramiche in volo fuori.

I personaggi per essere così schematici, sono stati assegnati all’attore giusto (complimenti al direttore del casting), questo fa di “Triple Frontier” un intrattenimento che si rifà a parecchio cinema di genere, perfetto per la platea del pubblico di Netflix e, per una volta, non appesantito da un’infinità di scene in cui i personaggi BLA BLA BLA parlano e basta.

«Io avevo firmato per uno di quei film Netflix dove parlano solo, cos’è ‘sta storia che qui si spara!?»

Anche se i protagonisti del film sono dei militari alle prese con dei narcotrafficanti, “Triple Frontier” abbraccia tematiche care agli “Heist movie”, anzi, se proprio devo dirla tutta, questa mescolanza di generi cinematografici, applicata a militari che si reinventano rapinatori, mi ha fatto pensare al maestro Walter Hill, non proprio “Ricercati: ufficialmente morti” (1987), non dico vicino a quei gloriosi livelli di sparatoria, però con un occhio di riguardo per il cinema di genere, quello sì.

Aiuta essere prodotti da Netflix anche per il reparto musicale, nel film si sentono le belle, ma inflazionate “The Chain” dei Fleetwood Mac e “Run Through The Jungle” (poteva mancare in un film così?) dei Creedence, a cui non si dice mai di no. Una menzione speciale la merita la bellissima “Masters of wars” di Bob Dylan che si sente anche troppo poco, per l’effettiva bellezza del pezzo. Ma la colonna sonora di Richard Vreeland (in arte Disasterpeace, incredibile che lo facciano lavorare con un nome così) il compositore di It Follows fa il suo dovere, accompagnato da alcune parti di batteria curate da Lars Ulrich dei Metallica che ha anche dato in prestito un paio di pezzi del gruppo… Dato in prestito col cavolo! Parliamo di Lars Ulrich quello che ha fatto chiudere Napster, col cavolicchio che da via delle sue canzoni gratis, si sarà fatto pagare a peso d’oro!

«Vuoi venire a casa mia a vedere la mia collezione di dischi di Metallica scaricati da Napster? Non dirlo a Lars però»

In ogni caso, J. C. Chandor utilizza “For Whom The Bell Tolls” e “Orion” in maniera molto azzeccata: la prima viene ascoltata in cuffia dal personaggio di Oscar Isaac all’inizio del film e con il suo titolo hemingwayano fa un po’ da coro greco all’entrata in scena di un personaggio, il cui destino sarà in bilico fino alla fine. Il secondo pezzo, invece, è perfetto per la “coda strumentale” del film.

Insomma, non m’illudo che “Triple Frontier” sia il film che porta il vento del cambiamento su Netflix, però se ancora non avete disdetto l’abbonamento troppo delusi da [INSERIRE-QUI-TITOLO-CHE-VI-HA-DELUSI] un’occhiata la merita. Fossero tutti così i film che escono in pochissime copie in sala e che Netflix decide di mettere nel suo catalogo.

Sepolto in precedenza lunedì 25 marzo 2019

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Small Soldiers (1998): sarà battaglia senza pietà (war, what is it good for?)

Da qualche tempo ho rimesso mano alla vecchia collezione di giocattoli, che per me principalmente vuol dire mostriciattoli di vario tipo e un fottio di G.I.Joe, se poi ci aggiungiamo [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing