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Tron (1982): combattere per i creativi

Il 1982 è stato un anno interessante, una serie di film oggi considerati dei classici hanno raccolto risate al botteghino, una convergenza creativa forse troppo avanti per il pubblico di allora, nella lista dei fallimenti destinati alla grandezza, metteteci anche “Tron” che compie i suoi primi quarant’anni.

Per anni mi sono sentito come Homer Simpson, in quella puntata dove chiedeva a tutti se avevano visto il film “Tron” incassando un’infilata di no come risposta. Ho sempre ammirato quel breve e coraggioso periodo in cui alla Disney provarono a puntare sui film con attori in carne e ossa (e in questo caso lucine al neon), ma il tonfo al botteghino di “Tron” ha relegato il film in un limbo che prevedeva pochi o quasi nessun passaggio televisivo, io stesso l’ho scoperto tardi, quando la rivalutazione si era già messa in moto (probabilmente una Light cycle) ma ancora l’inutile seguito era lontano dall’uscire, no, non fatemi domande su quella roba, non ne voglio parlare.

Le moto più iconiche viste al cinema, ad ovest di quella di Kaneda.

Per Steven Lisberger “Tron” è stato il film della vita, certo in carriera è stato attivo nel campo dei videogiochi e ha diretto qualche altra commedia su commissione, ma è chiaro dai vari contenuti speciali che trovate tra gli extra della versione home video (o su Disney+) che Lisberger a questa storia aveva dedicato tempo e cura, mette malinconia il fatto che molti degli oggetti di scena originali, siano sopravvissuti solo perché il regista ne ha conservati alcuni nel garage di casa, immagino con somma tristezza, in quel lungo periodo in cui il suo progetto, era considerato solo un costoso buco nell’acqua.

Steven Lisberger sul set molto analogico, del suo film molto digitale.

Eppure quell’amore e quella cura quasi da artigiano, trapela ancora tutta riguardando “Tron” anche oggi, dove l’alta definizione non fa altro che rendere più implacabili gli effetti del tempo sul film, ma che per quello che mi riguarda, sono come le rughe su una bella donna (o bell’uomo, lascio scegliere a voi), tutto fascino aggiuntivo. Lisberger cresciuto artisticamente nella scuderia Disney, per certi versi è stato il Kevin Flynn della situazione, quello che ha creduto nel sistema che poi si è ritrovato a combattere, solo che invece di lavorare per la ENCOM, era sotto contratto con la casa del Topo, il suo progetto del cuore non sarà stato capito, ma era davvero avanti con i tempi.

Avete presente i globuli rossi di “Esploriamo il corpo umano”? Loro sono quelli bianchi (prima della ricolorazione)

Parliamo di un’epoca in qui quegli enormi scatoloni chiamati Computer erano ancora guardati con sospetto, Wargames sarebbe uscito un anno dopo e il sentimento attorno a quegli affari era ancora tra la minaccia e una stramba magia impossibile da distinguere, parafrasando la celebre massima di Arthur C. Clarke. Il termine “Tron” identifica un comando del linguaggio di programmazione BASIC, contrazione dei termini “TRace ON”, impiegato per la ricerca di errori nelle linee di un programma, tutto questo però Lisberger non lo sapeva, a lui suonava bene perché era la contrazione di “elecTRONics” (storia vera), questo per dirvi di quanta carica naif avesse il suo progetto, che però è stato curato davvero nei minimi dettagli.

Per raccontare la sua storia ambientata all’interno di un computer, Steven Lisberger ha dovuto dare un aspetto digitale al tutto utilizzando trucchi e tecnologia che invece erano del tutto analogici, buona parte della soluzione al problema è stato risolto con un approccio da veri ingegneri, le immagini virtuali erano tutti in “wireframe” filmate su sfondo nero con pellicola 70mm, anche perché al tempo era impossibile creare un modello 3D solido utilizzando il rendering digitale, poi la smetto con gli anglicismi giuro.

Ironia della sorte: Tron è stato tenuto fuori dalla categoria migliori effetti speciali agli Oscar, perché con tutti quei trucchi al computer, sembravano quasi come barare (storia vera)

Per gli attori invece si è ricorso a trucchi ancora più vecchia scuola, infatti sono stati tutti ripresi in bianco nero con indosso i loro caschetti e le loro tutine, tutte ricolorate in post produzione da una banda di Taiwanesi probabilmente pagati a cottimo, che un fotogramma alla volta hanno dovuto ricolorare ogni singolo fotogramma della pellicola, un lavoro certosino per cui i novanta stagisti schiavi artisti sono stati accreditati con ideogrammi cinesi nel titoli di coda del film (storia vera).

Allora è il caso di dirlo: made in Taiwan. 

Se siete appassionati come me di contenuti speciali dei film, “Tron” è una vera manna, anche perché la banda di gatti senza collare capitanati da Steven Lisberger erano giovani pionieri in marcia verso un nuovo modo di fare cinema, dei volenterosi matti sostenuti dai soldi della Disney e da beh, alcuni dei creativi migliori del mondo, come Jean “Moebius” Giraud, una leggenda del fumetto francese a dare supporto alla banda di gatti senza collare capitanati da un giovane ed entusiasta Lisberger, anche se mi immagino che in questa banda di nerd, spiccasse quello vestito di nero, ricciolone che rispondeva al nome di Tim Burton, uno degli animatori che si è fatto le ossa proprio grazie a “Tron” (storia vera).

Rifatevi gli occhi con qualcuno dei bozzetti di Moebius.

Anche se senza ombra di dubbio il contributo maggiore è arrivato dal genio di Syd Mead, molti dei futuri cinematografici più iconografici mai visti nella settima arte, erano frutto del suo lavoro, per “Tron” ha creato motolabirinti, molti degli sport mortali della temibile sezioni giochi del Master Control Program e soprattutto le mitiche Light Cycles, con il loro aspetto che sembrava uscito direttamente dal futuro.

Tzè! Altro che monopattini, questo è il genio di Syd Mead.

Eppure allo stesso tempo “Tron” è stato uno degli ultimi grandi film realizzati con un quintale di trucchi cinematografici usciti dritti dalla vecchia scuola, i cubicoli della ENCOM, quelli dove in uno di loro è possibile notare la citazione appesa “Klaatu barada nikto” (…Neeeeeerd!) era un vero microscopico set, gli altri cubicoli che vediamo dietro in realtà erano realizzati con fondali dipinti e i cari vecchi trucchi di prospettiva, perché il cuore di “Tron” sta tutto qui, un’anima analogica per un film digitale, proiettato nel futuro. Anche se le strizzate d’occhio Nerd nel film non mancano, se aguzzate la vista potreste trovare Pac-Man ma anche Topolino fare una comparsata nel film.

Da dove pensate abbiano preso l’idea per “Automan”, telefilm del 1984?

Tra gli attori in tutina fin troppo aderente (per andare a pranzare, era stato imposto loro l’accappatoio, per evitare chiappe e pacchi in bella vista, storia vera) troviamo uno dei miei preferiti, Jeff Bridges che accettò il ruolo di buon grado perché la sceneggiatura così innovativa lo esaltò fin dalla prima lettura, infatti qui interpreta il personaggio più figo del film, quel Kevin Flynn che vorrebbe solo rimettere le mani sui giochi da lui creati, rubati dal viscido collega Ed Dillinger (David Warner) e nascosti da qualche parte dentro la pancia del sistema informatico della ENCOM, che Kevin ogni giorno prova ad attaccare utilizzando i programmi da lui scritti, che letteralmente prendono vita e forma davanti ai nostri occhi.

Alicio nel Paese dei mega pixel.

La vera forza di “Tron” sta davvero tutta qui, il film è una sorta di “Siamo fatti così” però ambientato dentro un computer invece che all’interno del corpo umano, l’idea di rappresentare ogni singolo elemento che regola il funzionamento di una di quelle macchine allora sconosciute ai più è un lavoro di pura creatività, il film risulta invecchiato? Da un certo punto di vista sì, con gli occhi dello spettatore moderno è chiaro che Bruce Boxleitner e Jeff Bridges recitino con in testa una sorta di caschetto da bici, ma nell’ottica del racconto, la storia e la sua messa in scena funzionano ancora benissimo perché con lo spirito di una favola tecnologica, il film ci porta all’interno di un computer, il tutto potrà risultare invecchiato, solo nella misura in cui ci può sembrare vecchio un Personal Computer del 1982 visto oggi, quella che nel film viene descritta come grande tecnologia, oggi non allaccia nemmeno le scarpe al telefono dalla quale probabilmente, mi state leggendo in questo momento, ma il concetto, l’idea di rappresentare l’interno di un computer con quel tocco retrò e naif ha reso “Tron” un classico, anzi, un Classido!

Quello che apprezzo moltissimo di “Tron” oltre ad un quantitativo esagerato di creatività, è il modo sottile di suggerire fantascienza e temi non per forza piccoli, all’interno di una confezione da videogioco, l’idea di far interpretare i programmatori e i programmi che hanno scritto dagli stessi autori, sottolinea senza doverlo urlare ai quattro venti il processo di creazione, il passo successivo più logico è che i programmi, vedano chi li ha creati come delle divinità, infatti si rivolgono a loro chiamandoli creativi, la mia scena preferita? Quando Kevin Flynn, intrappolato nell’area giochi dell’MCP e negli aderenti panni luccicanti di CLU, rivela a Tron di essere uno dei creativi. Il programma davanti alla possibilità di parlare con una divinità in persona, gli dice che per i programmi è normale fare cose all’apparenza assurde, perché sono programmati per farlo, Flynn lo consola dicendogli che per gli umani è la stessa cosa, in parole povere incontro Dio e scopri che non ha le risposte, proprio come te. Niente male per un film con gente in tutina e casco prodotto dalla Disney no?

«Quando qualcuno ti chiede se sei un Dio, tu gli devi dire sì!» (cit.)

Questo sottolineare come il mondo reale e quello dei computer siano un riflesso uno dell’altro, viene suggerito da Steven Lisberger attraverso scelte visive interessanti, se i cattivoni sono identificati dalle lucine rosse, anche quando David Warner atterra sul tetto della ENCOM, si vedono gli stessi riflessi rossi sulla fiancata del suo elicottero, inoltre Warner è la scelta migliore possibile per il doppio ruolo di Ed Dillinger e di Sark, una sorta di Darth Vader per l’Imperatore del film, il temibile Master Control Program, d’altra parte Warner aveva giù interpretato il male personificato per Terry Gilliam, quindi nessuno poteva essere più azzeccato.

Warner ha rischiato di essere Freddy Krueger, prima di diventare un incubo informatico.

Bisogna dire che la trama di “Tron” è piuttosto naif, da una parte abbiamo un programmatore alla ricerca del suo lavoro occultato nei meandri di un computer, dall’altra una grande laser, che per comodità chiameremo “Laserone” (cit.) che trasforma la materia da reale a virtuale, una volta introdotto questo elemento diventa subito chiaro come andrà avanti questa favola tecnologica targata Disney, ma il senso di avventura rende “Tron” un film davvero creativo, tutti i pericolosi giochi di morte sono realizzati con cura, una partita a racchettoni può risultare mortale per i programmi intrappolati e persino i Frisbee appiccicati sulla schiena degli attori, ad un certo punto smettono di essere dei Frisbee con pezzi di nastro adesivo attaccato sopra (anche se proprio di quello si trattava, storia vera) e diventano ai nostri occhi dischi di memoria, armi mitiche con cui sconfiggere la dittatura dell’MCP, la scena in cui Tron solleva il suo al cielo è di diritto una dei momenti più iconici del film, per quella sua natura quasi da posa Biblica.

«Ehi, Frisbee! Tostissimo» (cit.)

Certo, nei suoi 96 minuti il ritmo, specialmente nel secondo atto a volte un po’ s’incarta su se stesso, ma trovate come l’acqua, che invece è energia per i programmi, oppure Bit, che in quanto programma binario si esprime solo attraverso risposte affermative o negative («Un’altra bocca da sfamare»), sono momenti di pura creatività proprio come la metallica e digitale colonna sonora di Wendy Carlos, composta utilizzando un sintetizzatore modulare Moog, condita dall’uso di un pezzo dei Journey (“Only solutions”) sui titoli di coda.

A differenza del suo ben poco creativo seguito, “Tron” è ancora un film che rende onore alla sua missione di combattere per i creativi, piuttosto che quella roba con le musiche dei Daft Punk, se volete un titolo che ha davvero onorato il lavoro della vita di Steven Lisberger, vi consiglio la bella serie d’animazione “Tron – Uprising”.

Sempre pronto a combattere per i creativi.

A distanza di quarant’anni la tecnologia avrà anche fatto un balzo quantico in avanti, eppure “Tron”, questo film costato diciassette milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, capace di portare a casa solo trentatré nel mondo (comunque troppo poco per le aspettative della Disney), ha contribuito a suo modo a rendere i computer più familiari, la sua influenza sulla cultura popolare è stata ben più grande che una divertente gag in una puntata dei Simpson, prima dei vari Ralph spacca internet o Ready Player One, solo “Tron” ci aveva portato all’interno di un computer utilizzando nastro adesivo, Frisbee, il genio di Syd Mead e Moebius ma soprattutto il cuore lanciato oltre l’ostacolo di Steven Lisberger, uno che con questo film ha davvero reso onore alla frase di battaglia del protagonista: «Mi chiamo Tron e combatto per i creativi.»

Magari il cinema osasse sempre così tanto, mettendo la creatività davanti a tutto, il risultato forse sarebbero più Classidy come questo, intanto, auguri di buon compleanno Tron! C:>exit

Sepolto in precedenza lunedì 20 giugno 2022

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