Home » Recensioni » Tulsa King – Stagione 1 (2023): il ritorno del Re (sul piccolo schermo)

Tulsa King – Stagione 1 (2023): il ritorno del Re (sul piccolo schermo)

Quando Francis Ford Coppola vacillava all’idea di gettarsi nell’impresa di trasformare Il Padrino in una trilogia, qualcuno ai tempi provò a farsi avanti. Rifiutato dopo un provino per il ruolo di Sonny, il volontario aveva idee tutte sue su come portare avanti la saga, ne abbiamo parlato, quel signore si chiamava Sylvester Stallone (storia vera), uno che in linea di massima, sarebbe finito dentro un completo da gangster italo americano poco dopo.

Ci pensavo ai tempi in cui la saga dei Mercenari sembrava marciare sui binari giusti, se zio Sly e tutte le vecchie glorie, mettessero da parte per un momento (l’enorme) orgoglio, quello che solo chi è stato IL divo degli anni ’80 potrebbe avere, il piccolo schermo sarebbe pronto ad accoglierli tutti a braccia aperte. Considerando che le ultime sortite al cinema del nostro sono state ben poca cosa, per essere servo in paradiso, tanto vale essere il Re nell’inferno dorato delle moderne serie tv. Per diventare il Re di Tulsa, Stallone si è scelto i migliori nomi su piazza.

Taylor Sheridan, che con la sua Yellowstone macina ascolti da capogiro e spin-off uno via l’altro negli Stati Uniti. La leggenda vuole che l’attore passato con successo alla regia e soprattutto alla sceneggiatura, abbia buttato giù il soggetto di “Tulsa King” in meno di una giornata, non stento a crederlo perché per nostra fortuna, questa è una serie dal ritmo bello spedito, ma ci torneremo tra poco.

«Bella Tulsa ma non ci vivrei. Anzi, forse si»

Produttore? Un nome grosso, Terence Winter quello de I Soprano e del mai abbastanza ricordato “Boardwalk empire”, una volta di queste dovrò decidermi a scriverne. Insomma zio Sly ha scelto di dormire tra due guanciali, ma come si sposa l’amore per il West di Sheridan con la lunga tradizione dei Gangster del piccolo schermo di Winter? Così, con “Tulsa King”, che sa mescolare Est e Ovest (o meglio West) fin dalla riuscita sigla della serie che qui da noi in uno strambo paese a forma di scarpa, trovate su Paramount+, così lo sapete.

La storia sembra il perfetto punto di equilibrio tra Sheridan e Winter e per altro, riesce a sposarsi perfettamente con le vecchie voglie da Gangster di zio Sly. Per certi versi il suo Dwight “il generale” Manfredi è “Snaps” Provolone indurito, ingrigito, un ruolo perfetto per uno nato a New York, quartiere di Hell’s Kitchen, che finalmente non ha più bisogno di tingersi i capelli o doversi coprire i tatuaggi, anzi, ne sfoggia anche qualcuno aggiuntivo, perché come per Titus Welliver in “Bosh” (altra serie di cui un giorno mi deciderò a trattare) sono parte del personaggio e dell’attore che li interpreta.

«Hai una faccia nota, ti ho già visto da qualche parte?», «Forse la cinema, ho fatto. qualcosina»

Manfredi è sempre stato fedele, non ha mai spifferato nemmeno durante i venticinque anni che ha passato dietro le sbarre, per quella fedeltà alla famiglia ha perso il rapporto con la sua, tanto che la figlia Tina (Tatiana Zappardino) non la sente da diciotto anni e i suoi nipoti, non li ha mai visti.

In cambio di tale fedeltà di ferro, l’uomo chiamato dai genitori come il presidente e generale, cosa ha ottenuto? Un esilio, invece di Sant’Elena però Tulsa, Oklahoma, gli Stati Uniti più profondi, quelli della “Bible belt” dove se il vecchio ronzino bianco di nome Pilot, gironzola da solo nel centro della città, regalando apparizioni animali quasi Felliniane, nessuno si stupisce perché tanto è da sempre terra di Cowboy.

Stallone & Stallone (perdonatemi, non ho potuto resistere)

All’arrivo all’aeroporto, solo un tassista spiantato affascinato dalla vita da “gangster”, il giovane Tyson (Jay Will), subito promosso ad autista privato, perché Dwight è qui per portare un po’ di Grande Mela a questi vaccari, anche se come potete intuire, i suoi piani a lungo termine sono riassunti nel titolo della serie.

Per la prima volta Sylvester Stallone accetta un ruolo da protagonista sul piccolo schermo e il risultato ve lo dico subito è meno della somma delle sue parte, o meglio, meno della somma delle aspettative che i nomi coinvolti potrebbero aver generato. “Tulsa King” non ha il passo di Yellowstone e non è destinato a fare la storia come I Soprano, il suo parente più prossimo a ben guardare è l’altra costola dei Soprano, ovvero Lilyhammer: togli la Norvegia metti l’Oklahoma, togli Little Steven Van Zandt metti zio Sly e il gioco è fatto.

La fibbia della cintura con la testa di Raptor sarà il mio prossimo regalo di Natale.

I momenti comici generati in automatico, quando un vecchio Gangster si lancia nella sua versione di “Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche” (1991) ci sono e nemmeno pochi. Dwight mette subito le mani sul dispensario locale offrendo protezione al ricco giro d’erba (non per cavalli) della zona, da lì non si ferma più. Si mangia bene in questo locale, quasi quasi me lo compro e via, tutto per rendere onore al titolo della serie.

“Tulsa King” ha momenti leggeri e comici riusciti, ma rende ovviamente onore anche ai trascorsi da duro di zio Sly, che ci carica la serie sulle spalle e se ancora foste tra quelli che hanno qualche pregiudizio sul suo talento di attore, potrebbe essere l’occasione buona per rivederli. Chiaro che Stallone abbia un numero di ruoli limitato, ma parliamo di un attore in grado di dosare bene carisma e intensità, qui recita davvero con tutto quello che ha, persino le rughe e i ritocchini (di chi era IL divo degli anni ’80) sono gli strumenti che utilizza per delineare Dwight “il generale” Manfredi, che è a tutti gli effetti un Gangster, su questo non ci piove, ma uno come lo potrebbe interpretare Stallone, con una sua etica, con il senso dell’onore che negli anni, abbiamo ritrovato nei suoi personaggi simbolo. Ironico e dolente, pieno di sensi di colpa e orgoglio per via di un quarto della sua vita sprecata dietro alle sbarre, ma anche con la volontà di risolvere, passare ad altro. Se Rocky ha sempre avuto solo cuore e pugni e Rambo la sua capacità di fare la guerra, Manfredi ha i suoi metodi da Gangster e il carisma di uno che si carica nove puntate sulle spalle e trascina la serie oltre la linea di meta, non ci riesci se non sai recitare, fatevene una ragione detrattori storici.

Nespresso what else? (e Clooney… MUTO!)

Quello che rende “Tulsa King” un’ottima serie oltre alla prova di Stallone è proprio il suo ritmo, a differenza della maggior parte delle serie contemporanee, qui non si perde tempo in inutili chiacchiericci allunga brodo, Manfredi ha già perso troppo tempo al “gabbio” e i suoi metodi sono spicci come il ritmo della serie. Anche i personaggi di contorno hanno tutti il loro spazio senza mai trasformare le puntate nel trionfo della chiacchiera inutile, tanto che ad esclusione dei primi episodi introduttivi, la serie si attesta su puntata da 35 minuti l’una, tempo ideale dove puoi raccontare tutto senza annoiare nessuno, enorme punto a favore della serie.

Gli avversari si distinguono tra il nemico della prima stagione e quello che lo sarà sulla lunga distanza, iniziamo dal primo, l’irlandese Caolan Waltrip (Ritchie Coster) che sembra il capo dei SAMCRO se questi fossero stati assassini senza cuore, o meglio lo erano, ma in quanto protagonisti della loro serie (di cui dovrei decidermi a scri… vabbè basta) noi spettatori tendevamo a notarlo meno. Mentre se vi può sembrare strano trovare Domenick Lombardozzi (direttamente da “The Wire”) con i capelli, sappiate che il suo Don Charles “Chickie” Invernizzi è l’equivalente moderno dei vecchi criminali come Dwight, che completa il suo arco narrativo mentre zio Sly si prende Tulsa. Alla fine della prima stagione sembrerà un giovane Kingpin il che ha perfettamente senso, visto che Stallone è nato nel quartiere di Hell’s Kitchen. Scusate questa piccola deriva da lettore di fumetti.

Fa strano vederlo con i capelli, lo so.

Forse gli avversari sembrano spazzati via con un po’ troppa velocità, ma almeno uno dei due tornerà a dare filo da torcere al protagonista, nel caso di riconferma della serie. Di sicuro il ritmo spedito di “Tulsa King” ci regala momenti d’azione, in cui zio Sly è perfettamente credibile quanto manda qualcuno al tappeto con un sinistro (vecchia abitudine) e si lancia in sparatorie, una in particolare sulle note di un pezzo piuttosto famose di Phil Collins (arrgh! Il maledetto) che sembra messo lì per strizzare volutamente l’occhio e l’orecchio ad una certa serie del piccolo schermo piuttosto famosa.

Insomma “Tulsa King” non è affatto un corpo estraneo alla filmografia di Stallone, forse non si è ancora impossessato di tutto come l’Autore (“A” rigorosamente maiuscola) dentro di lui tende da sempre a fare, ma è sicuramente una prova notevole da parte sua: a fuoco, dedito a storia e personaggi. Vi va bene che Paramount+ centellini le puntate una a settimana, perché grazie all’ottimo ritmo, queata è la classica serie che potreste fumarvi in due o tre serate sul divano, per poi passare il tempo come me, a consumarsi in attesa della riconferma della prossima stagione.

It’s good to be the King (cit.)

Ci ha messo un bel po’ zio Sly a decidersi, ma ora che il Re è sbarcato sul piccolo schermo, finalmente lo ha fatto nel modo migliore possibile, meglio tardi che mai. All Hail to the King, baby!

Sepolto in precedenza lunedì 23 gennaio 2023

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
2 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Star Trek – Section 31 (2025): Michelle Yeoh, dall’universo dello specchio a Paramount+

La maledizione dei numeri dispari, sembra che la saga di Star Trek non possano svincolarsi da questa piaga, anche se tecnicamente il film di oggi, dopo un breve conto, dovrebbe [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing