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Un piedipiatti a Beverly Hills – Axel F (2024): il vero nemico è il sistema pensionistico

Funziona così, sul calendario la data si legge 2024, ma in realtà è un 1984 travestito. Non voglio che questo inizio sembri una deriva orwelliana perché a ben guardare ci sarebbe materiale anche per questo punto, però parliamoci chiaro, abbiamo avuto un nuovo pianeta delle scimmie, un nuovo Ghostbusters ed ora a quarant’anni dalla sua prima avventura e a trenta dall’ultima, anche un nuovo Beverly Hills Cop, dal titolo italiano che fa valere la proprietà transitiva.

Non lo avevo mai fatto prima, ma è stato un esperimento interessante che ero curioso di fare, a parità di post già pronti, non sapevo quale pubblicare prima relativamente a due titoli usciti in contemporanea, mi fa molto piacere che il piccolo sondaggio che ho lanciato sui Social-Cosi della Bara abbia avuto come vincitore Horizon che si è guadagnato il palcoscenico del lunedì mattina sulla Bara Volante.

Il palinsesto di questa settimana qui alla Bara lo avete deciso voi (storia vera)

Cosa vuol dire tutto questo? Che i miei contatti sono personcine che amano il Western? Kevin Costern? Entrambi? Forse, ma vuole anche dire che c’è una certa predisposizione, a parità di soggetti datati, verso qualcosa che sia creativo, nuovo, anche ardito come il sogno matto del KEV di sfornare un enorme Western in quattro parti nel 2024, che è il 1984 trasvestito, oppure l’anno per i malinconici, non del vecchio George ma dei titoli che uscivano nel decennio delle spalline larghe e i jeans a vita alta.

«Sai dove posso procurarmi delle banane? Sono tornato in azione»

Perché sono tristemente sicuro che fuori da questo loculo volante, a “vincere” tra i due film sarà probabilmente Axel Foley, la comodità del divano e di un film che esce dritto su Netflix, una commedia d’azione con un simpaticone contro un Western al cinema con un musone testardo, l’andazzo è questo gente, non ho la pretesa di aver davvero cambiato qualcosa con questa mia Bara, ma per lo meno ho attirato pubblico che come il KEV, va in direzione ostinata e contraria. Almeno questo concedetemelo.

Detto questo il nuovo “Beverly Hills Cop” l’ho visto anche io, lo attendevo? Nemmeno un po’, anche perché parliamoci chiaramente, lo stesso Eddie Murphy dopo aver annusato l’aria ha capito che la passione per la malinconia e il culo pesante del pubblico (e il costo dei biglietti del cinema, lo so, un fattore) possono essere l’unico, se non l’ultimo colpo di coda della sua carriera. Dopo averne sganciata sul mondo una bella grossa, fumante e maleodorante come Il principe cerca figlio, si è spostato su Netflix per regalare l’avventura numero quattro di Axel Foley.

La locandina provvisoria era meglio del film finito.

Budget considerevole messo in mano ad un regista esordiente come Mark Molloy, che giustamente è un Muppet con il braccio di Eddie Murphy infilato su per il, uno che svolge il compitino senza sporcare troppo il foglio e che complice quel cognome che sa di molliccio, che non aiuta in una saga che ha comunque potuto giocarsi registi di grande, se non enorme personalità come Tony Scott.

Molloy o per lo meno, l’algoritmo alle sue spalle, combina per un film che cerca di recuperare le atmosfere del primo capitolo, ovviamente mica puntiamo all’azione pura e alla cura di fotografia e montaggio dello Scott giusto, chi può garantirla quella nel 2024 travestito da 1984? Il risultavo va detto è meglio de Il principe cerca figlio, ma ci voleva anche poco.

Siamo passati da “Il principe cerca figlio a “Il poliziotto trova figlia”

Grazie alla sequenza iniziale ambientata a Detroit, alla rapina durante la partita di Hockey e il primo inseguimento sullo spazzaneve, l’inizio di “Un piedipiatti a Beverly Hills – Axel F” per lo meno è arzillo, peggiore di quello del film di Landis ma comunque almeno vispo abbastanza da non farti scendere immediatamente la catena. Se una volta Axel Foley poteva permettersi battute sul suo essere nero in linea con la pancia del pubblico degli anni ’80 (quelli veri), nel 2024 vestito da 1984 il nostro Axel deve ricalibrarsi, per lo meno così facendo vengono fuori battute anche frizzantine, tipo quando le due sbirre sull’auto della Fisher Price gli puntano l’arma e intimato a fermarsi, il nostro può rispondere: «Sono uno sbirro da trent’anni e nero da molto più tempo, credetemi lo so bene.»

Come unire Black e Blue life matters in una sola gag.

Purtroppo molto presto “Un piedipiatti a Beverly Hills – Axel F” (da qui in poi solo “Axel F”) cala la maschera, bene riprendere l’atmosfera del primo capitolo, ma quando in scena arriva l’avvocatessa Jane (Taylour Paige), figlia di Axel che non vuole usare il suo cognome per via del pessimo rapporto tra i due, il film si attesta su un ritmo e un’atmosfera a metà tra una puntata a caso di una serie Netflix e un “Legacy sequel” come amano chiamarli i nostri amici Yankee, un tentativo di imitare Top Gun Maverick ma in maniera fiacca, in un modo che purtroppo si accartoccia nel ritmo, procedendo con luuuuunghi dialoghi e tre scene d’azione in croce, la migliore quella già citata dello spazzaneve, la più spettacolare sulla carta resta quella dell’elicottero, ma solo sulla carta perché il montaggio non si sforza poi tanto di creare un’idea di movimento intorno ad un elicottero fatto svolazzare a bassa quota.

In generale “Axel F” risulta il quarto classificato in una gara con quattro partecipanti, nettamente migliore a parità di prole coinvolta degli ultimi due Bad Boys, almeno questo l’ho seguito senza sprofondare in fase smaronamento, anche se per quanto mi riguarda questo film si riassume tutto in due momenti chiave.

RISATONE!

Quando il caso, che ovviamente si incrocia con quello della figlia, riposta Axel in California, abbiamo un’altra occasione per vedere il nostro poliziotto esibirsi nelle sue uscite da irriverente ultimo arrivato, quello palesemente fuori posto che invece di essere intimorito, spiazza tutti con le sue uscite, lo ha fatto per tre film, il suo marchio di fabbrica. Qui Axel in un passaggio chiave, invece di truffare l’hotel e guadagnarsi ospitalità gratis in un posto di lusso, se ne esce con la frase: «Lo sa che c’è? Chissenefrega sono troppo stanco» mettendo mano al portafoglio per pagare il conto. Se siete alla ricerca di un momento rivelatore o un METAFORONE su tutta la produzione di questo seguito, non dovrete cercare più lontano di così.

L’altro punto chiave riguarda i lunghi dialoghi, quelli che tirano in ballo l’agente locale, ex fidanzato della figlia, impersonato da Joseph Gordon-Levitt che non so a chi abbia pestato i calli per finire a fare nuovamente la spalla di un altro attore veterano che ovviamente lo oscura. Il suo contribuito è fondamentalmente quello di “alzare” palloni per Murphy che prontamente, va a schiacciarli in battute che vanno dal divertentino al simpatichino, nulla di più, ribadisco, il nostro Giuseppe Gordone dovrebbe seriamente ripensare all’andamento della sua carriera.

Attori che riflettono su cosa sia andato storto nelle rispettive carriere.

Detto questo, mentre guardavo il film, conti alla mano pensavo che Murphy ai tempi del primo capitolo era poco più che ventenne, una dinamo umanoide, esplosivo come un candelotto di dinamite instabile, se a questa premesse aggiungi quarant’anni, cosa ottieni? Uno sbirro sulla sessantina, con ancora indosso il giubbottino da giovanotto dei Detroit Tiger (che avrà cambiato, almeno per la taglia) che quando va bene fa uno scatti no di corsa e che durante l’apice di una sparatoria viene assistito dai rinforzi e spesso, guida un mezzo a motore (o fa da passeggero) durante un inseguimento, insomma cerca di dare un’idea di movimento attorno al protagonista, meno dinamo di un tempo, il tutto mentre il film si sforza per riportare in scena quante più facce note possibili, il tutto per far leva sull’effetto malinconia, visto che le facce nuove sono spesso carisma-lese.

Buona parte della trama ruota intorno a Billy Rosewood (Judge Reinhold) ancora fanatico di Rambo in una gag che ormai ha diluito il suo valore, perché lo ricordiamo in quattro che un tempo Axel Foley avrebbe dovuto essere Stallone (storia vera), John Taggart (John Ashton) che era già il “vecchio” nel 1984 (anche se l’attore aveva trentacinque anni) è il personaggio più maltrattato, perché è stato richiamato in servizio forse solo per apparire nel film, ad un certo punto di gira male contro i protagonisti, tanto da sembrare un piano di Axel quando invece no, è solo un passaggio pigro di sceneggiatura ma soprattutto è proprio Taggart quello che ci ricorda che no, in pensione non ci andremo mai.

Se Axel Foley, ormai ha sforato sopra i sessanta e ancora gli toccano trasferte in California e inseguimenti, se Billy è entrato nel settore privato, ma è ancora sul campo, Taggart addirittura, va in ufficio per non stare a casa con la moglie (ma questo lo fanno in tanti che conosco…) cosa dobbiamo dire di Serge? Bronson Pinchot lavora ancora? Qui lo hanno preso per i capelli platinati per infilarlo a forza in maniera del tutto pretestuosa nella trama per fargli gridare un paio di volte «ACQUEL!», proprio lui che con il suo Serge ormai è un personaggio non più in linea con la “pancia” del pubblico di questo 2024 travestito da 1984, che però cerca di far finta che sia ancora tutto sensato e credibile, come ricomprare lo stesso giubbotto dei Detroit Tiger due taglie più largo.

Immagini che potete sentire.

L’unico che parla davvero di pensione è il capitano Jeffrey Friedman interpretato da Paul Reiser, ma comunque anche lui, è ancora in giro, quindi l’unica spiegazione che mi sono dato è che “Axel F”, se non è una critica al sistema pensionistico americano, allora è la fotografia perfetta di questo 2024 che finge di essere il 1984 e di una buona fetta di pubblico, che in realtà vuole proprio questo, in nome dei vecchi tempi. Se non altro, senza nulla togliere al leggendario Tonino Accolla, solo stima per lui, ma finalmente il pubblico potrà – o sarà costretto – ad ascoltare il vero Axel Foley, a cui Accolla ha regalato la mitica risata ma ha piallato tutto il resto, visto che stanno su Netflix, fatevi un piacere e provate per una volta a guardarli in lingua originale.

Non voglio sembrare più duro del necessario con un film che in realtà è appena un po’ meglio della media dei titoli da piattaforma streaming e comunque meno peggio dei tanti (troppi) seguiti di saghe storiche, usciti fino a questo momento, almeno non risulta urticante, però dimenticabile quello sì, tra qualche mese nessuno si ricorderà per davvero che ci sono quattro “Beverly Hills Cop” o forse sì, ma la domanda è legittima: esiste un punto in cui tutto questo inizia a risultare patetico?

Cioè, non cambierà nulla, Horizon non farà soldi e vincerà solo nei sondaggi sulla Bara, perché tanto il grosso pubblico è attratto magneticamente dai titoli che conosce, se stanno comodi su Netlflix, la piattaforma ufficiale dei quaranta/cinquantenni malinconici, ancora meglio. Però sul serio, di quanti altri seguiti con anziani abbiamo bisogno prima di realizzare che il 2024 è diverso dal 1984? Domanda retorica, state tutti già in fotta nera per il prossimo “Alien” diretto da un noto paraculo. Io ci provo a scuotervi con le mie uscite giocosamente irriverenti stile giovane Axel, ma questo gioco si fa in due, rendersi conto del tempo che passa (e che è già passato) aiuterebbe. Per tutti, tranne che per Kevin Bacon, lui resta sempre uguale anche se qui ha il più ingrato ruolo visto di recente, essù dai! Davvero dobbiamo continuare a farci del male così?

Quanta assordante malinconia per gli anni ’80 riuscite a percepire da questa singola immagine?
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