Finisce sempre così, butto giù una lista di compleanni per l’anno in corso e concludo di corsa cercando di coprirne quanti più possibili, ovviamente ne restano fuori sempre troppi ma di norma, uno degli ultimi compleanni dell’anno è quasi sempre un film di Clint Eastwood, anche perché avrei passato le feste a maledirmi se avessi perso i primi cinquant’anni di “Thunderbolt and Lightfoot”.
Andiamo a passo leggero indietro, ho scritto proprio film di Clint Eastwood e non me lo rimangio, perché formalmente “Thunderbolt and Lightfoot” sarà eternamente l’esordio alla regia di Michael Cimino, fino a qui non ci piove, però se avete dimestichezza con entrambe le filmografie, vi sarà chiaro che questo film contiene dosi abbondanti di ingerenze da parte di Eastwood, ovvio che fosse così, Cimino era lo sceneggiatore del precedente film del buon Clint, Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan, che colpito dalla sua abilità di scrivere i dialoghi, lo ha voluto per costruirsi intorno un film dove il 90% delle inquadrature è Eastwoodcentrica, uno strambo “Buddy movie” dove il secondo violino questo doveva essere, qualcuno senza ancora lo status per oscurare Eastwood, anche se a rivederlo oggi, “Thunderbolt and Lightfoot” si gioca solo due dei miei attori preferiti di sempre o giù di lì.
Jeff Bridges aveva una già nutrita sfilza di titoli per altro diretti da registi di livello, una sua prova precedente notevole resta “L’ultimo spettacolo” (1971), ma diretto da Cimino il nostro Goffredo Ponti si è portato a casa una nomination come miglior attore protagonista (storia vera), ma prima di continuare, dobbiamo per forza affrontare l’adattamento italiano del film.
Tecnicamente “Una calibro 20 per lo specialista” non è nemmeno un titolo così sbagliato, Clint Eastwood interpreta davvero uno specialista che ad un certo punto del film, maneggia un cannone calibro 20, roba anticarro perché dopo la 44 Magnum era l’unico altro ferro più grosso in circolazione. Certo, è un titolo acchiappone figlio dei nostri anni ’70, dove il film lo vendevi al pubblico non grazie a Tik Tok ma con un poster, un titolo chilometrico che fornisse un’idea della trama e perché no, un gancio con altro, in questo caso la connessione immediata tra Eastwood, le armi da fuoco di grosso calibro e l’ispettore Callaghan.
Come lo adatti “Thunderbolt and Lightfoot” in italiano? Oggi non ci sarebbero problemi, resterebbe così contando sul fatto che l’inglese parlato male (e compreso peggio) è la lingua ufficiale in uno strambo Paese a forma di scarpa, cinquant’anni fa si è optato per questo, un adattamento, Thunderbolt diventa l’Artigliere e Lightfoot, nel tentativo di suggerire una connessione con le sue origini native («Sei indiano?», «No americano purosangue» anche se su questo ci sarebbe da discutere) si è optato per Caribù, una stranezza sensata, non la più matta di un film che parliamoci chiaro, trasuda anni ’70 dal primo all’ultimo fotogramma, il che è allo stesso tempo un bene e un male. Storicamente si inizia dai lati negativi no? Pronti, via.
“Thunderbolt and Lightfoot” è una spremuta di anni ’70 perché non esiste uno straccio di personaggio femminile che non faccia qualcosa che non sia bella presenza, si va da Melody (resa in italiano Melina e impersonata da Catherine Bach) e la sua amica “con il bel culo” che servono per far ballare il mambo degli orsi ai due protagonisti, passando poi per la biondona cameriera a cui Lightfoot ordina solo piatti dai nomi ambigui nel tentativo di farle capire qualcosa, per arrivare alla tipa del personale, quella che chiede a Eastwood il numero di previdenza sociale ed è super sexy fino alla vicina di casa, che si mostra nuda per il gusto di farlo mentre il personaggio di Bridges lavora al giardino.
Menzione speciale per la bionda in moto, quella che prende a martellate il furgone di Lightfoot e che sembra arrivata sgommando da un altro film. Ok che i due protagonisti sono liberi e che negli anni ’70 l’ormone lo era altrettanto, ma qui a tratti si esagera, ci si ferma sempre ad un passo dal film di Russ Meyer e per vedere una bionda fare qualcosa in questo film, bisogna aspettare il travestimento (in tutti i sensi) di Jeff Bridges che mette in chiaro di essere la spalla della coppia, perché Eastwood vestito da donna, nemmeno nei tuoi sogni.
Ma se il contributo dei personaggi femminili è più che altro ormonale e poco altro, l’apparizione più folle resta quella del pazzoide, che concede un passaggio ai nostri protagonisti, quello con l’orsetto lavatore nell’abitacolo e il bagagliaio pieno di conigli bianchi a cui sparare (perché!!?) che sembra il cugino sciroccato del Nightrider di Mad Max. Ci sono davvero tanti anni ’70 in questo film, anche parecchi di quelli che sperimentavano con le sostanze.
Dal lato positivo degli anni ’70, “Thunderbolt and Lightfoot” prende la totale libertà nell’andamento della trama, il film inizia all’insegna dei colpi ad effetto, Clint che fa il sermone vestito da prete in una chiesa di provincia e Jeffone che ha un problema ad una gamba, quella con cui accelera mentre sgomma via con una Trans Am rubata, sembrano due eventi separati, ma di colpo si uniscono quando un sicario sulle tracce di Clint Thunderbolt viene preso in pieno dal cofano dell’auto di Jeff Lightfoot, qui inizia la loro amicizia in fuga, malgrado la differenza di età i due hanno molto in comune e finiranno per condividere l’obbiettivo di rimettere le mani sulla refurtiva di un vecchio colpo dell’Artigliere.
Sono chiare le ingerenze eastwoodiane anche nel resto del cast, George Kennedy nei panni dell’ex commilitone, reso in italiano come Leary il Rosso, era una faccia ultra nota del cinema americano degli anni ’70, Geoffrey Lewis invece era una presenza semi fissa dei film di Eastwood del periodo, non potete mancarlo, il futuro papà di Juliette era l’altro con gli occhi azzurri ad Ovest di Clint.
La refurtiva nascosta nel muro dietro ad una lavagna di una chiesa diventa l’occasione per mettere su un piano, una rapina che prevede Jeffone vestito da bionda e Clint a maneggiare il cannone, forse anche il momento in cui qualcuno (molto probabilmente lo stesso Eastwood) deve aver preteso da Cimino un modo, uno qualunque per far concludere questo film.
Ecco che di colpo un film che inizia come lo strambo incontro tra due anime affini e continua svolazzando di fiore in fiore, imbocca la via dell’Heist Movie, giocandosi un cannone calibro 20 e il momento in cui Cimino la zampata la manda a segno. Si perché se la chimica tra i due protagonisti funziona, distaccati ma uniti, insomma tipico esempio di amicizia maschile virile (anche se poi uno finisce vestito da donna), l’ultima parte del film testimonia il passaggio di testimone tra il solito titolo alla Eastwood ad Ovest di Callaghan e dei suoi film Western, per lasciare finalmente spazio al Cimino che sarà, quello che canta non per forza le lodi del suo Paese. Doveroso SPOILER nel prossimo paragrafo, cercherò di restare vago ma un po’ nel dettaglio ci dovrò andare.
Il film iniziato in una chiesa dove predicava il finto Padre Artigliere, potrebbe finire in una chiesa, spostata perché? «Non lo so, capita» (testuali parole) quindi il caso che ci mette di nuovo lo zampino proprio come durante l’incontro di Thunderbolt e Lightfoot iniziale. Cinematograficamente parlando il film potrebbe terminare con Artigliere che fa il ritrovamento e Caribù già mal messo, invece Cimino “prolunga l’agonia” (passatemi il termine) per far esaudire il desiderio della Cadillac bianca, il film svolta e mette in chiaro che per Cimino, il fantasma di un America libera e ancora lì, lungo le strade del Paese a vagare, non si sa per dove, un po’ come l’andamento di “Thunderbolt and Lightfoot”.
A distanza di cinquant’anni dalla sua uscita, resta l’occasione migliore per vedere due dei miei preferiti a recitare insieme, il primo passo di Cimino nel sogno americano in rovina, un tema che di lì a poco, avrebbe affrontato ancora, auguri all’Artigliere e a Caribù!
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