Questo commento vi rovinerà la giornata.
giramenti di testa, secchezza delle fauci e se siete estremamente fortunati,
morte.
della serie di libri per ragazzi, “A Series of Unfortunate Events” scritti da Lemony
Snicket (pseudonimo di Daniel Handler), sono gli orfani Baudelaire protagonisti
di tutti i libri originali. 13 libri, un numero che mi porterà malasorte come
questo commento.
prodotto e distribuito da Netflix e dal produttore esecutivo Barry Sonnenfeld,
il famoso regista de “La famiglia Addams” (1991) e “Men in Black” (1997), film
pieno di persone vestite di nero, a lutto, come voi poveri lettori se mai
arriverete alla fine di questo commento. Recidivo Sonnenfeld, che nel 2004
aveva già prodotto l’adattamento cinematografico diretto da Brad Silberling
con Jim Carrey che, nel corso di questo commento, tornerà utile. Lasciate l’icona aperta, quindi, sempre se non caleranno gli avvoltoi a
divorarla…
della serie di sfortunati eventi che mi hanno portato
senso una serie che si chiama una serie di… Oh, insomma! Avete capito basta con
sta baggianata della voce narrante da menagramo, che non riesco a scrivere con
una mano impegnata a grattarmi!
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“Potrebbe anche essere un commento altamente infiammabile”. |
Atterrata con squilli di tromba sul paginone
di Nettflix, l’adattamento televisivo dei fortunati (ma allo stesso tempo
sfortunati) romanzi di Lemony Snicket, racconta le vicende dei tre orfani Baudelaire,
Violet (Malina Weissman) che quando si lega i capelli può costruire qualunque
oggetto meglio di MacGuyver, Klaus (Louis Hynes) intelligentone dalle
conoscenze enciclopediche e la piccola Sunny (una bimba che per la maggior
parte del tempo è animata in CGI posticcia), con la capacità di mordicchiare
degna di un Critters.
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Gli orfani Baudelaire nella versione di Netflix, bel ciuffo comunque. |
Nel tentativo di mettere le mani sull’eredità
dei tre orfani, il parente alla lontana, il malvagio Conte Olaf, li porta nella
sua sgangherata casa, trattandoli come servitù per se stesso e per la sua
compagnia teatrale di scombinati attori scarsi almeno quanto lui. Esperto di
travestimenti tanto audaci quanto facili da smascherare, il Conte Olaf è un
cattivo da operette che qui sotto il trucco, ha il volto e la voce di Neil
Patrick Harris.
il ruolo di Barney Stinson nella serie tv “How i met your mother” dove, di
fatto, era già un Conte Olaf, che a colpi di mosse sul suo “Playbook” e “True
Story” si mangiava ogni episodi in cui compariva, cioè tutti.
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True Story (Cit.) |
La prima stagione di “Una serie di sfortunati
eventi” composta da otto episodi di 50 minuti l’uno, copre i primi quattro
libri, ognuno presentato con un episodio in due parti, s’inizia con l’incontro
tra gli orfani e il conte Olaf e poi i vari passaggi agli altri tutori dei ragazzi,
tutti insidiati dai tentativi di Olaf di riprenderseli e con loro la sua
agognata eredità. Facce note come se piovesse, in alcuni ruoli spuntano Don
Johnson, ma anche Cobie Smulders che arriva anche lei da “How i met your
mother” e Will Arnett, voce e inventore di BoJack Horsemen.
dirlo. Neil Patrick Harris è il solito
mattatore, il ruolo poi gli concede d’inventarsi altri tre personaggi assurdi,
tutti travestimenti del Conte Olaf, uno più matto dell’altro, anche se il
migliore resta Stephano, a cui Harris applica una vocina che vi resterà
incollata in testa, personaggio arricchito da un serie di strizzate d’occhio
comunque divertenti, come l’occhiolino rivolto agli spettatori, quando Stephano
dice che al cinema, preferisce stare a casa a guardare una serie tv.
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Poi dipende anche dalla serie tv che si guarda caro Stephano. |
Notevole anche la (martellante) sigla
iniziale, ovviamente cantata da Stephano, ehm, no scusate Neil Patrick Harris
che in questa specialità eccelle, anzi strano, ero già pronto a sorbirmi molti
più numeri musicali da parte sua, in realtà, si limita a cantare la canzone dei
titoli di testa e poco altro, ma quella basta, la lugubre sigla vi resterà
incollata addosso con il suo ritornello “Look away, look away”.
risulta davvero troppo ripetitiva, di fatto, è sempre Olaf travestito che cerca
di insidiare i pargoli, che lo sgamano al primo colpo, ma non vengono ascoltati
da nessuno. Divertente una volta, la seconda si sopporta, alla terza comincia
davvero a diventare troppo. Inoltre, i momenti simpatici ci sono, ma non sono
mai esaltanti sul serio, otto ore per una trama del genere, risultano davvero
eccessive.
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Sembra sempre che stia per dire “Challenge accepted!”. |
Il ritmo della serie rischia di spezzare le
gambe anche a chi non avesse mai visto il film del 2004, ma se per caso vi è
capitato di vedere la versione con Jim Carrey, mettetevi l’anima in pace:
questa serie non sarà altro che una noiosa ed eccessivamente prolissa replica.
sacco di anni ho ignorato il film di Brad Silberling poi, complice un passaggio
televisivo, mi è capitato di vederlo l’anno scorso e devo dire che mi è anche
piaciuto, la voce narrante che preannuncia disastri, l’ottima prova da
trasformista di Jim Carrey e, soprattutto, una messa in scena davvero ben fatta,
mi hanno fatto apprezzare la storia. Per altro, ho visto tutto il film
pensando: “Cacchio! Ha una fotografia davvero bella”. Arrivo alla fine e nei
titoli di coda leggo direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, eh ecco! Ora
capisco molte cose.
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Cinema batte televisione! Non una cosa che accade spesso ultimamente. |
Il problema è che la prova di Neil Patrick
Harris non è sufficiente a salvare lo spettatore dal tedio di una serie
eccessivamente lunga, il confronto diretto con il film poi è impietoso: in 108
minuti la pellicola copriva in modo più riuscito a brioso sei episodi da 50
minuti l’uno, fatevi un po’ due conti voi.
vi avrebbe rovinato la giornata, ma tranquilli, le cose possono sempre
peggiorare, se la serie verrà confermata, avremmo altri episodi, quella sì che
sarà una serie di sfortunati eventi.