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Undisputed (2002): Quando eravamo re (della collina)

Clint Eastwood in “Million Dollar Baby” (2004) ci ha insegnato
che il pugilato è uno sport che funziona al contrario: se vuoi vincere ti
devi avvicinare al dolore anzichè indietreggiare, se vai per terra, ti devi
rialzare. Questa è la storia di un re che si rialza, questo è il nuovo capitolo
di… King of the hill!

Come abbiamo visto la scorsa settimana, Supernova è stato un disastro colossale: incassi ridicoli e una
produzione ben oltre il travaglio. Walter Hill è arrivato a tanto così da
gettare la spugna e mollare per sempre, per sua ammissione, il tentativo di
Francis Ford Coppola di salvare il suo film è stato onorevole, ma ha peggiorato
una situazione quasi disastrosa. Dopo un anno passato senza lavorare, Gualtiero
decide che è il momento di rimettersi i guantoni.

Evidentemente a casa senza nulla da fare, Walter Hill ha
guardato molta televisione ed essendo un fanatico di sport (baseball in particolare)
la risposta è arrivata dal via cavo, la boxe in tv e l’incarcerazione per
stupro di Mike Tyson solleticano la mente di Hill e del suo socio di fiducia, David
Giler, l’uomo con cui Gualtiero ha scritto il soggetto dei prime tre film di Alien, ma anche Southern Comfort e alcuni episodi di I racconti della cripta.
Quello che interessa a Hill è raccontare un’altra storia di
pugilato, proprio come in L’eroe della strada, perché per il maestro di Long
Beach la Boxe ha tanti lati negativi e uno solo positivo (quando vinci),
soprattutto è uno sport incredibilmente cinematografico, ma per Hill il cinema
ha sempre usato il pugilato come metafora d’altro, lui non voleva fare Rocky, voleva un film sulla boxe vero e
proprio che avesse come protagonisti altri due guerrieri, quelli che popolano
tutta la sua formidabile filmografia.

Walter “questa mano può esse fero o
piuma” Hill.

Per farlo Walter Hill racimola un budget di circa diciotto
milioni di fogli verdi con sopra le facce di alcuni presidenti passati a
miglior vita, ottenuti da quattro case di produzione medio piccole, come la
famigerata Millennium Entertainment e la A Band Apart di Quentin Tarantino che,
idealmente, ripaga qualche debito con uno come Hill, senza il quale molto del
suo cinema non esisterebbe nemmeno.

La Miramax che distribuisce il film, fa parecchie pressioni
per addolcirne i contenuti e imporre almeno un attore bianco ad interpretare
uno dei due pugili protagonisti, Walter Hill se ne frega e tiene duro, lui che
è lo stesso che ha diretto I trasgressori,
sa bene che per un film così ci vogliono due attori veri, ma soprattutto neri,
per dare spessore e credibilità alla storia, il primo che trova è Wesley Snipes
all’apice della fama.
Snipes è un po’ “Mr. Sport” al cinema, ha una preparazione
marziale, è appassionato di calcio e soprattutto sa giocare a basket come ha
dimostrato in un capolavoro.
Contattato crede nel progetto (infatti figura tra i produttori insieme a Hill)
appena incontra il regista, l’attore fresco fresco del successo dei primi due “Blade” (1998 e il suo seguito del 2002),
capisce di che pasta è fatto Hill, le sue parole sono state più o meno: «Per me
tu puoi interpretare qualunque dei due personaggi, ma indipendentemente da
quello che sceglierai, il finale non cambia, la storia è questa» (storia vera).

Nell’angolo rosso, il campione da sempre dietro alle sbarre di Sweetwater, Wesley Snipes!

Wesley Snipes si prende il ruolo di Monroe Hutchen, il
campione della prigione di Sweetwater, ora ci vuole qualcuno che interpreti il
campione dei pesi massimi che in carcere ci arriva per scontare la sua pena, George
“Iceman” Chambers e qui gli astri si allineano, perché Ving Rhames
aveva passato gli ultimi due anni ad allenarsi per interpretare la parte di Sonny
Liston in una biografia sul pugile che, però, non ha mai visto la luce (storia
vera). Hill per una volta è l’uomo giusto che arriva al momento giusto.

Nell’angolo blu, il campione appena arrivato dietro alle sbarre di Sweetwater, Ving Rhames!

“Undisputed” è una figata, perché è Yankee fino al midollo ed
è la quintessenza del cinema di Walter Hill, a ben guardarlo, spogliato anche di
quei pochi fronzoli a cui il maestro di Long Beach non è nemmeno avvezzo. L’idea
del campione del mondo dei pesi massimi è quanto di più americano ci possa
essere, l’uomo che si costruisce il proprio successo battendo tutti gli
avversari, un guerriero che come tutti i guerrieri di Hill, finisce a trovarsi in
una situazione pericolosa… E cosa c’è di più pericoloso per gli Americani di un
carcere di massima sicurezza? Ora, immaginatevi Mike Tyson che arriva ad Oz e scopre che dietro le sbarre esiste
un programma clandestino di pugilato, con tanto di imbattuto campione locale.
Per uno che si autodefinisce un gladiatore («Si può giocare a baseball ma non
alla boxe») è un’altra occasione per fare l’unica cosa che sa fare, i guerrieri
combattono sempre e comunque.

“Dovresti darmi ascolto ragazzo, non ho mica fatto tutte quelle puntate del tenente Colombo per niente”

Non vi piace l’idea di un torneo clandestino di Boxe organizzato
illegalmente tra prigioni? Pensate che sia un “buco di sceneggiatura” che il
campione incarcerato finisca a combatterci? Mi sa che avete sbagliato film e
forse anche blog, perché “Undisputed” è girato per essere un unico match di
pugilato, 96 minuti spaccati, un’ora di preparazione in vista dell’ultima mezz’ora
finale, in cui si decide tutto, dimenticatevi la struttura a cui ci ha abituato
Sylvester Stallone con i suoi Rocky,
con match preparatori in vista di quello finale, enorme e glorioso, qui ci si
gioca il tutto per tutto in un solo incontro, tutto organizzato dal carcere da
un mafioso finito dentro per evasione fiscale (come Al Capone) che ha la faccia
del tenente Colombo di Peter Falk che qui cristona e snocciola
parolacce come nelle repliche del telefilm che lo ha reso celebre nei pomeriggi
su Rete 4 non ha mai fatto, ma soprattutto è un po’ l’alter ego di Walter Hill
nel film: un appassionato di boxe, uno storico dello sport che organizza l’incontro
facendo da regista, nemmeno tanto occulto.

Sweetwater è un posticino che di tenero ha solo il nome, un
carcere di massima sicurezza nel bel mezzo del deserto del Mojave, un posticino
dove come compagno di cella puoi trovarti Wes Studi e il capo delle guardie, quello che controlla la situazione (e il
sistema di tornei clandestini) ha la faccia di Michael Rooker. Giusto per darvi
l’idea di un posto che le carezze te le da a mano aperta, sulla faccia però.

“Perché sei dentro?”, “Ho rubato il cappello ad un Puffo. Solo che quello lo rivoleva, una cosa tira l’altra…”

Nei film di Walter Hill la distinzione tra buoni e
cattivi non è mai netta, ma sempre sfumata, accade anche qui dove il campione
del mondo, si ritrova ad essere improvvisamente lo sfidante del campione locale,
quello che da dieci anni sta lì, collezionando 42 vittorie di fila. Gualtiero ci
presenta questi due guerrieri con fermo immagine, bianco e nero e sentenza
conquistata sul campo, ma senza mai fermare l’azione e il ritmo, quello che
scopriamo su di loro, lo facciamo in movimento e sempre con una certa
componente di dubbio che impedisce di rendere i due contendenti completamente
buoni oppure completamente malvagi.

Monroe Hutchen è il campione della prigione, uno che tiene
un profilo basso, che passa il tempo costruendo modellini con i fiammiferi e
masticando stuzzicadenti (simbolo universale di cazzuta “ignoranza” al cinema da sempre), è l’antieroe proletario
che non ha i privilegi del campione del mondo e nemmeno la sua spocchia,
verrebbe istintivamente da etichettarlo come “buono”, ma Hill è più intelligente
di così e ci racconta il suo passato, di quell’unica volta che il personaggio
nella vita ha perso il controllo ed, infatti, è finito dietro le sbarre. Wesley
Snipes ha il fisico e l’approccio giusto per la parte, come vedremo più avanti,
non poteva esserci attore migliore per questo film, tenetemi l’icona aperta su
questo argomento, più avanti ci torniamo.

Wesley si aggiunge alla grande tradizione dei personaggi con stuzzicadenti.

L’altro guerriero è il campione dei pesi massimi George
“Iceman” Chambers, quello “borghese”, ricco che potrebbe avere tutte
le donne del mondo, ma è finito in cella per colpa della accuse di una. Per
tutto il tempo “Iceman” si professa innocente e forse lo è anche, ma in fondo
le prigioni non sono piene di persone che sono state fregate dall’avvocato? Insomma,
non abbiamo mai la “pistola fumante” per etichettarlo definitivamente come il
cattivo, anche se lui le prova davvero tutte. Arriva a Sweetwater a testa alta
e passa il tempo a litigare con tutti, quando il “Saladino”, il capo della gang
dei Mussulmani della prigione lo convoca a colloquio, lui in tutta risposta lo smonta
di pugni al primo tentativo di amicizia, così, giusto per mettere le cose in
chiaro da subito.

Quando i suoi avvocati cercano di tenerlo calmo («Il
direttore sta cercando di spiegarle il concetto di buona condotta», «No, lei non
capisce il concetto di sopravvivenza») lui spiega loro tutta la sua filosofia
di vita: «Quando sei il campione tutti vogliono batterti / per tutta la vita ho
risolto i problemi con questi pugni».

I can change fight the world, with my own two hands (quasi-cit.)

Con le parole a distanza dei due guerrieri, Hill prepara il
loro scontro, Monroe Hutchen (più pragmatico) dice che «Prima o poi tutti i
pugili vengono battuti» e questo si spiega perché “Undisputed” è il cinema di
Walter Hill ridotto all’essenza.

Da una parte abbiamo George “Iceman” Chambers, il
campione del mondo dei pesi massimi, un re tra gli uomini il cui regno può
cadere in un attimo, per un’accusa di stupro o per un KO. Sarà anche diventato
il re della collina con il sudore, la fatica e i suoi pugni, ma da quella
collina può rotolare giù in ogni momento, perché tutti vogliono batterlo per
poter dire di aver battuto il migliore e perché, in fondo, anche la fama è solo
una collina, non un granché come altura, anche se molto difficile da conquistare.

“Vuoi buttarmi giù dalla collina?”, “Ehm, no, anzi guarda, se non ti dispiace rotolo a valle da solo, grazie”

Dall’altra Monroe Hutchen, anche lui un imbattuto re di una collina
che nel suo caso è una prigione piena di assassini, ladri e stupratori. Giusto
per quello combatte, per il rispetto di una prigione, un successo ancora più
effimero, perché tanto qui in palio non c’è la libertà, una stratosferica borsa
in denaro oppure il riscatto sociale come in Rocky, qui non c’è niente, solo un
match che come ci ricorda il titolo, anche se viene combattuto non verrà mai
ricordato se non da chi lo ha visto («Se avessi saputo che avrei dovuto finire
dentro per vedere un incontro così, mi sarei fatto beccare prima!»), qui ci
sono solo due guerrieri che fanno quello che sanno fare: combattere. Qui c’è
solo la boxe nella sua forma più pura e proprio così Walter Hill decide di
raccontarla, con una mezz’ora finale che è il coronamento di un film che non
molla un colpo a livello di ritmo.

Se la varietà delle inquadrature durante i combattimenti di L’eroe della strada resta un apice
assoluto della regia di Hill, il nostro Gualtiero qui non è da meno, ad esempio,
a me fa impazzire il modo che ha di inquadrare i due pugili, intenti a
gonfiarsi come zampogne, anche attraverso le sbarre, un modo sottile di
ricordarci la loro condizione.

Narrare per immagini, una lezione da parte del nostro Gualtiero.

Il duello finale in cui l’unico modo per vincere è mandare
KO l’avversario è coinvolgente, diretto tenendo la macchina da presa alla giusta
distanza e, soprattutto, si lega naturalmente al finale del film, anche se l’incontro
termina con un vincitore, Walter Hill è bravissimo a tenere alta la tensione, perché
questa è la storia di due campioni che per la storia ufficiale della boxe non
hanno mai incrociato i guantoni, ma in realtà erano destinati a farlo per ribadire
il loro ruolo di re delle rispettive colline.

Ormai a questo punto della rubrica dovreste avere capito l’andazzo:
Walter Hill fa cinema sublime, cinema da uomini, senza fare concessioni alla
spettacolarità a tutti i costi, il botteghino nemmeno questa volta lo ripaga, persino
la colonna sonora Hip Hop del film,
incassa più soldi della pellicola (storia vera).
Ma dovreste aver capito anche che il nostro Gualtiero
è il re della collina perché è il padre nobile di tutto il cinema giusto, un
pioniere in grado tracciare per primo percorsi che gli altri seguiranno. “Undisputed”
è diventato un buon successo sul mercato dell’home video, inaugurando un filone
spesso ignorato dai cinefili colti – quelli con gli occhiali e la pipa – ma che
esiste e ancora scalcia, quello dei seguiti DTV (direct to video) di titoli usciti al cinema, è
successo con i vari Death Race, ma è iniziato tutto con Walter Hill, a cui
dobbiamo anche “the most complete fighter in the world”, sto parlando di Yuri Boyka, se mai Scott Adkins decidesse
di figliare, il primo genito dovrebbe come minimo chiamarlo Walter.

Il più celebre tra i “nipotini” di Walter Hill (ecco perché parla come Danko)

“Undisputed” ha generato un seguito per il mercato dell’Home video in cui il ruolo di George
“Iceman” Chambers è stato raccolto e portato avanti dal grande Michael
Jai White e sempre seguendo la divisione non manichea tra “buoni” e “cattivi”,
in Undisputed III – Redemption il protagonista
assoluto diventa proprio lo sfidante Yuri Boyka e il film è uno dei migliori
film “di menare” contemporanei, uno di quelli che non viene mai citato da
nessuno, a suo modo, anche lui un re della collina.

Ma vi ero debitore di un’icona lasciata aperta, la chiudo
qui nel finale: quando dico che Walter Hill è un pioniere in grado di sbirciate il futuro prossimo venturo, non scherzo mica, in questo film ha di
fatto anticipato la fedina penale di Wesley Snipes, finito in carcere nel 2008
per alcune tasse non pagate e diversi casini con gli avvocati, ma questa è una
storia (vera) che è già stata raccontata con dovizia di dettagli, quello che vi
dico io è: Non scherzate con Walter Hill, è più inflessibile dell’agenzia delle
entrate!

L’arte, che imita la vita, che imita l’IRS.

Prossima settimana, la rubrica continua, sellate il cavallo,
si va tutti verso Ovest, anzi, nel vecchio West!

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