Lo sanno tutti gli appassionati di Horror che il 21 settembre compie gli anni il Re, la scelta del post per fare gli auguri di compleanno a Stephen King quest’anno è stata semplice, ho un ciclo licantropo in corso e con il film di oggi prendo due lupi mannari con una sola pallottola d’argento, ma prima di iniziare un po’ di musica a tema.
Mi conoscete, mi piace essere spudoratamente sincero perché è l’unica politica che conosco, ho letto tutti i romanzi di zio Stevie e ancora oggi, quando lo scrittore del Maine pubblica qualcosa, sicuro come la morte e le tasse che me lo leggerò, ma “Unico indizio la luna piena” per anni è stato la mia Kryptonite, per un semplice fatto: non si trovava una copia del libro nemmeno a pagarla argento oro. Anzi se la volete per la vostra collezione, preparatevi a rompere il salvadanaio perché resta l’unico King mai ristampato e quindi, ancora oggi rarissimo.
Ne trovai una scalcinata copia nella mia vecchia biblioteca, diciamo che l’attesa è stata più interessante della lettura, certo mi sono rifatto gli occhi con le illustrazioni di Bernie Wrightson ma il romanzo è uno degli esperimenti Kinghiani più strani. Attorno al 1983 zio Stevie ricevette la stramba offerta di scrivere una storia breve sotto forma di calendario, dodici capitoli, uno per ogni mese dell’anno che ben si prestavano per struttura alle fasi lunari, quindi il tema mannaro è stato quasi una scelta automatica per King, che in quel periodo con una mano batteva sui tasti della macchina da scrivere e con l’altra svuotava bottiglie come se non ci fosse un domani.
La “Fase Rockstar” di zio Stevie è stata amplificata da Hollywood, perché poco dopo lo scrittore del Maine, venne preso sotto l’ala protettiva di un signore che aveva fatto i soldi vendendo pasta porta a porta e che al cinema, due cose in linea di massima le avrebbe anche fatte, mi riferisco a Dino De Laurentiis che aveva scoperto il filone d’oro dello scrittore del Maine e non aveva nessuna intenzione di abbandonarlo. “Fenomeni paranormali incontrollabili” (tratto da “L’incendiaria”), La Zona Morta, “L’occhio del gatto” (1985), tutti prodotti da De Laurentiis che quando si ritrovò per le mani una copia di quello strano libro illustrato, non poteva crederci di poter mettere insieme King e la rinnovata moda dei lupi mannari, riportata in auge da Joe Dante e John Landis.
Non a caso di lì a poco De Laurentiis avrebbe assecondato tutte le richieste di King pur di tenersi buona la sua miniera d’oro umanoide: produrre il seguito di quel film che gli era piaciuto tanto? Fatto! Farlo esordire come regista? Fatto! Ma intanto con il titolo originale di “Silver Bullet”, anche “Unico indizio la luna piena” venne messo in produzione, non con poche difficoltà.
Il primo regista scelto fu il migliore possibile, uno dei prediletti di questa Bara, quel genietto di Don Coscarelli cominciò a girare un film con alcuni punti in comune con Lo Squalo nella trama – la cittadina che interrompe i festeggiamenti per il 4 di luglio, a causa di alcuni morti causate da un “mostro” – ma anche nelle condizioni lavorative di Spielberg, ovvero senza il suo “Bruce”. Già, perché Carlo Rambaldi non aveva ancora finito di costruire il mamozzone del lupo mannaro che avrebbe dovuto essere l’asso nella manica del film, ma siccome Coscarelli potrebbe tirare fuori un capolavoro inquadrando due rape e mezzo melone, cominciò a girare tutto quello che poteva lasciando il mostro fuori campo. Con il senno di poi, la scelta migliore per tutto il film e anche se è impossibile constatare la paternità delle singole scene, io credo che gli omicidi migliori (come la scena dell’aquilone) siano farina del sacco di Coscarelli, ho indagato ma conferme in merito non se ne trovato, bisognerebbe chiedere al buon vecchio Don Cosca in persona, se lo incontrate al bar provate a chiedergli.
Con Rambaldi che continuava a prendere tempo, a fare la fine dell’agnello sacrificale fu proprio Coscarelli, che abbandonò il film per via delle solite “differenze creative” con De Laurentiis, uno dei produttori più invasivi della storia del cinema, che lo sostituii al volo con il primo disponibile, nello specifico Daniel Attias, una vita da regista per il piccolo schermo, con ancora oggi all’attivo un solo film per il cinema nel suo Curriculum, questo (storia vera).
Il motivo dell’allontanamento di Coscarelli? Il lupo mannaro di Carlo Rambaldi faceva palesemente schifo a tutti, a partire dallo stesso De Laurentiis che per non sentire lamentele, scelse un regista più facile da manipolare ma se ad una storia originale che, parliamoci chiaro, non rientra certo tra le migliori mai scritte da King, aggiungiamo degli effetti speciali pezzenti, cosa possiamo ottenere? Niente di davvero memorabile e bisogna essere onesti, “Unico indizio la luna piena” funziona quando il lupo mannaro resta fuori scena, ma è un film in cui la tensione latita e anche l’indagine sull’identità umana del mostro, non richiede troppo sforzo, insomma un filmetto con pochi assi nella manica, ma forse quelli giusti.
Adattano lui stesso per il grande schermo il suo racconto sotto forma di sceneggiatura, Stephen King ha avuto modo di migliorare alcuni elementi del racconto, forse perché non era particolarmente legato a quella storiella in dodici capitoli scritta su commissione, in pratica l’opposto di quello che ha fatto nel recente miniserie “La storia di Lisey”, il modo peggiore per adattare un gran ben libro. Se gli omicidi e l’indagine resta più o meno la stessa della storia, nella versione cinematografica King gioca molto di più sull’effetto malinconia dei tempi andati.
La scelta di rendere la sorella del protagonista Jane Coslaw (Megan Follows) la voce narrante che da adulta ricorda “l’estate del lupo mannaro” è brillante e azzeccatissima, non solo ricorda i lavori migliori di King arrivati anche al cinema, da IT (più il romanzo che gli adattamenti) fino a “Stand by me – ricordo di un’estate” (1985), ma è il vero valore aggiunto di “Silver Bullet”, che nella versione cinematografica ha un colpo di genio che dà il titolo al film, la canonica pallottola d’argento con cui uccidere il lupo mannaro certo, ma più che altro mi riferisco alla leggendaria “Silver Bullet”, la sedia a rotelle motorizzata del protagonista, un incubo a livello di sicurezza stradale che farebbe impallidire i monopattini moderni, ma che è entrata nell’immaginario collettivo di un paio di generazioni di (quasi ex) ragazze e ragazzi che questo film lo hanno visto e rivisto, quasi ogni estate della loro vita, complici i numerosi passaggi televisivi, di solito su Italia 1 (storia vera).
Tra i tanti talenti anche nostrani che hanno contribuito a rendere questo film un bel ricordo per tanti di noi, non posso non citare la bellissima locandina dipinta dal maestro Enzo Sciotti, ma “Unico indizio la luna piena” resta un fiero rappresentante del filone “licantropo” proprio perché non sovverte nessuna regola, ma anzi rispetta tutti i canoni della letteratura sui lupi mannari, giocandosi anche alcuni omicidi notevoli, come la decapitazione lungo i binari del treno, oppure la morte dell’aspirante suicida (che riscopre il piacere della vita un attimo prima di perderla), omicidi anche piuttosto cruenti per un film che alla fine, le repliche televisive hanno fatto diventare per ragazzi.
Sulle morti indaga lo sceriffo Terry O’Quinn anche se una delle scene più memorabili resta l’incubo in chiesa, con la trasformazione collettiva in lupi mannari che introduce quella vaga sensazione di “Cloro al clero” che striscia lungo tutto il film. Ma la verità è che “Unico indizio la luna piena” non si guarda tanto per scoprire la vera identità del lupo mannaro, colpito all’occhio dal fuoco d’artificio del protagonista Marty Coslaw (il mitico e sfortunato Corey Haim), anche perché parliamoci chiaro, il cast popolato di facce note non prova nemmeno a mescolare le carte inserendo qualche falsa pista.
Di sicuro zio Stevie non ha il monopolio dei bambini al cinema, Spielberg che continua ad aleggiare su questo post ad esempio, sull’argomento ha detto parecchio negli anni ’80, ma King qui riesce a rendere per assurdo quasi più interessante il complicato rapporto tra Marty e sua sorella, ma ancora di più la stramba figura paterna, l’unico adulto che crede alla versione dei fatti dei ragazzi, che qui è davvero tutto un programma, visto che ad interpretarlo è quell’adorabile pazzo di Gary Busey.
Il suo zio Red è un alcolizzato senza possibilità di recupero, uno di quelli a cui sale la “ciucca allegra”, ma anche il responsabile di quella meraviglia che è Silver Bullet, la super sedia a rotelle motorizzata che l’amorevole zio regala al nipote. Da un certo punto di vista il personaggio di Red è a suo modo molto tenero, perché di fatto è l’unico personaggio del film che tratta Marty con rispetto e non come un ragazzino con una disabilità da trattare come se fosse l’ultimo degli ultimi. Dall’altra gli mette sotto il culo un trabiccolo che consuma e inquina come un motore V8, sprigionando gli stessi cavalli vapore e per non farsi mancare niente, lo arma anche con alcuni fuochi d’artificio che al confronto, i botti illegali di capodanno sono innocue miccette. Padre putativo dell’anno a mani basse!
Insomma “Unico indizio la luna piena” sa davvero dare valore ai personaggi più che ai lupi mannari, che ammettiamolo qui non allacciano nemmeno le scarpe a quelli rilanciati e resi popolari da Dante e Landis, rivedendolo in occasione di questo compleanno (e di questa non-rubrica licantropa) è chiaro che ancora oggi “Silver Bullet” potrebbe essere un ottimo film per iniziare i più giovani al genere horror, anche se il lupo di Rambaldi non fa paura nemmeno per sbaglio, ma proprio zero, nisba, nada, zip, sembrava un grosso pupazzone con la bocca aperta nel 1985 come oggi.
Per assurdo un film prodotto come pura merce, tratto da uno strambo racconto scritto su commissione, nel corso degli anni è diventato un piccolo film di culto per una generazione (e mezza) di spettatori, perché in giro ci sono sicuramente film di lupi mannari più rappresentativi di questo (uno arriverà la prossima settimana su queste Bare, restate in zona) ma anche in un film dalla produzione disgraziata come questo, il fattore King fa la differenza. Quella capacità di rendere credibili e realistici i personaggi è davvero l’arma segreta di zio Stevie, molto più di una pallottola d’argento.
Per un film che parla così bene di malinconia per le estati dell’infanzia, complice il triste destino di Corey Haim, viene quasi da pensare che Jane, la voce narrante della storia, sia cresciuta (non invecchiata dai, diciamo cresciuta) come abbiamo fatto noi con questo ricordo condiviso reso tale da innumerevoli repliche, King è capace anche di questo, auguri zio Stevie!
Per il resto del compleanno, non perdetevi gli auguri a King da parte di Vengono fuori dalle fottute pareti alle prese con Creepshow e dal Zinefilo che ci parla di I sonnambuli con tanto di copertina d’epoca dalle pagine di IPMP.
Sepolto in precedenza martedì 21 settembre 2021
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