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Unsane (2018): Stalkerbergh

C’è qualcuno che sa dirmi in che razza di mondo stiamo vivendo? Dove uno come Steven Soderbergh che mi è sempre stato suo maroni, si mette in testa di fare un film usando un iPhone 7? E gli esce fuori anche piuttosto bene?

No sul serio, ancora devo riprendermi dall’idea che il film precedente di Soddy-Boy, ovvero “La truffa dei Logan”, non mi avesse provocato la solita crisi violenta di prurito condita da dosi abbondanti di parole ben poco gentili, e lui cosa fa? Viene a giocare nel mio campo da gioco. Si perché nel suo saltellare da un genera all’altro, Soderbergh si era tenuto alla larga dagli horror, o gli horror/thriller come questo “Unsane”. Però il ragazzo non si smentisce mai, in quanto regista più fighetto del mondo secondo voi poteva fare una regia come tutti gli altri? Ma va! Lui deve dirigere tutto il film con uno Smartphone, e non uno di una marca a caso, ma della marca più fighetta in commercio, si proprio un iTelefono con la mela morsicata sopra, vedete che lo fa apposta per irritarmi? È lui che provoca!

Quanto devi essere fighetto per pensare una roba del genere dai? Capisco perché lo abbia fatto, in fondo è coerente con la sua filmografia, che alterna titoli grossi come i vari “Ocean’s” (26, 27 o 28 quanti sono) a robe in cui cerca a suo modo di sperimentare, tipo l’esperimento di distribuzione contemporanea in vari formati di “Bubble” (2005), che però non ha visto quasi nessuno lo stesso.

Ma è abbastanza chiaro che se annunci che dirigerai un horror con un iPhone 7 ottieni una certa attenzione, e magari qualche soldino, non credo sia un caso se nel film tutti i (pochi, a causa della trama) telefoni che ci sono hanno proprio la mela morsicata sopra, però parliamoci chiaro, sarei credibile come uno Smartphone taroccato se giudicassi il film sulla base delle mie antipatie, quando si tratta di Soderbergh faccio un respiro forte, mi armo di santa pazienza e mi guardo il film, e devo dire che “Unsane” è quello, forse della sua intera filmografia, che è riuscito a coinvolgermi e quasi nemmeno a farmi venire voglia di strangolare il suo regista, che si in un paio di momenti fa un po’ il fighetto, ma rispetto alla sua media è davvero poca roba.

Ora tutti quelli con un’asta da Selfie penseranno di essere dei grandi registi!

Non ho mai apprezzato il modo in cui Soderbergh si approccia ai generi cinematografici, ho sempre avuto l’impressione che lo facesse con la spocchia di chi è convinto di poter fare di meglio, come se un po’ in fondo, i film di genere per lui fossero robaccia, e che solo il suo talento potesse renderli qualcosa di autorevole, parere mio, siete liberi di non condividerlo.

In “Unsane” non ho quasi mai avvertito questa puzza sotto il naso, e inoltre devo dire che il soggetto mi sta molto a cuore, perché l’idea di un personaggio che sfida un sistema coercitivo mi trova sempre molto ben disposto, da Nick mano fredda, giù fino a titoli “Ospedalieri” (quindi più vicini per ambientazione ad “Unsane”) come “Il corridoio della paura (1963) di Samuel Fuller, per arrivare fino a Qualcuno volò sul nido del cuculo, è il tipo di soggetto che mi piace, inizio a sospettar che Soderbergh conosca i miei gusti, forse mi segue se non per strada almeno qui sul blog. Avverto una certa ansia generale.

Ansia non paragonabile a quella provata da Sawyer Valentini (visto che modo di cambiare argomento? Sembri quasi Enrico Mentana), ragazza di Boston costretta a cambiare tutto, casa, lavoro, città, numero di cellulare per liberarsi di uno Stalker. Sola e ancora affetta da attacchi di panico, un non tanto gradito lascito delle attenzioni del suo ammiratore troppo espansivo, Sawyer chiede aiuto ad una terapeuta, e confessandole un po’ alla leggera di aver avuto vaghi e generici pensieri di suicidio BAM! Per il suo bene, e per evitare di diventare un pericolo per sé stessa e per gli altri, viene rinchiusa in un istituto di cura, ricovero cautelativo di 24 ore dicono, ma se avete visto più di due film in vita vostra saprete che no, non sarà solamente una giornata.

«Produzione di The Crown? Si volevo avvisare che farò un po’ tardi per la terza stag… Come mi avete già sostituita!?!»

“Unsane” mette sul tavolo due argomenti di un certo peso, il primo, quello dell’internamento senza consenso di pazienti ignari da parte di vari istituti psichiatrici americani, una faccenda da Horror purtroppo reale, scheggia impazzita di un sistema per cui, finché l’assicurazione paga, tu resti ospite, che tu lo voglia oppure no. L’altra questione, ovviamente la piaga degli Stalker, un bravo a Soddy-Boy e ai suoi due sceneggiatori Jonathan Bernstein e James Greer per essere riusciti a sfornare un film con una donna come protagonista, senza farne un santino condito di cliché, Sawyer Valentini non è una Madre Teresa che aiuta le vecchiette a scendere dagli alberi o i gattini ad attraversare la strada (o qualcosa del genere) è una che chiama sua madre una volta ogni tanto, che sul lavoro non esista a trattar male il cliente se pensa di aver ragione, e che gradirebbe pure farsi una scopata con uno sconosciuto ogni tanto, senza doverlo per forza sopportare il giorno dopo, a tratti è sgradevole e pure un po’ acida, insomma è una persona normale, con i suoi pro e i suoi tanti contro che però non si merita di certo di essere perseguitata o internata contro la sua volontà.

L’intuizione azzeccata del direttore del casting (che per questo film si è decisamente guadagnato la pagnotta) è far interpretare Sawyer Valentini e Claire Foy, fenomenale nei panni della Regina Elisabetta II in The Crown che qui posa scettro e corona per vestire i panni di una che per sopravvivere dovrò tirare fuori la “cazzima” e non credo che sia un caso se finisce il film in canotta da Final Girl, del tutto poco regale.

«Non sono pazza! Vi ho detto che sono la regina Elisabetta!»

“Unsane” è un film bello tirato, 97 minuti di (in)sanissima angoscia diretti in modo asciutto, con tutte le inquadrature giuste, selezionate in maniera rigorosa, si inizia con una scena del bosco illuminata con luce blu che mi ha fatto subito pensare a “Traffic” (2000), per poi passare dritti a dei titoli di testa in cui Claire Foy viene seguita dall’obbiettivo, spiata come se quello che vediamo fosse il punto di vista del suo persecutore, una soluzione visiva degna di un film Horror in cui Soderbergh non solo dimostra di aver fatto i compiti studiando i classici (tenetemi l’icona aperta su questo punto che più avanti ci torniamo) ma anche di avere un buon occhio e di saper quando vuole raccontare per immagini.

Le inquadrature selezionate sono tutte molto ravvicinate, a volte troppo, ed in questo senso anche l’idea di dirigere tutto con un iTelefono perde la sua componente di fighetteria ma diventa sensata ai fini della trama, d’altra parte nel 2018, qual è l’oggetto che meglio rappresenta l’invasione della nostra sfera privata se non proprio lo Smartphone? Quello che ti tiene sempre collegato, reperibile, online e tracciato da un GPS, ma anche quello con cui condividi foto e informazioni personali che qualcun altro guarderà, magari anche qualcuno non proprio ben intenzionato. Fate ciao ciao con la manina a tutti i fanatici della Selfie, ciao amici!

Per quanto arrogante e continuamente altezzosa anche una volta rinchiusa, è impossibile non provare empatia per Sawyer Valentini, costretta ad assumere pillole di natura ignota e sempre più incapace di distinguere la realtà dalla finzione. Sawyer è pazza oppure lo sta diventando per via della sua permanenza forzata? Quell’infermiere così gentile è davvero il suo Stalker infiltrato sotto falsa identità nella strutta per perseguitarla ancora, oppure è solo la follia di Sawyer a parlare? Per buona parte del film Steven Soderbergh ci lascia sul filo, si gioca un paio di facce note (Juno Temple è una delle altre pazienti ma compare anche Matt Damon per qualche minuto) poi ad un certo punto deve aprire la scatola per poter concludere la storia, sarebbe stato più sfizioso mantenere il mistero fino alla fine, magari mescolando realtà e finzione, nel finale invece Soderbergh fa una scelta più convenzionale ma che centra comunque il bersaglio.

Sarà, ma secondo me i bianchi le treccine dovrebbero proprio scordarsele.

Verso metà film arriva un flashback che aggiunge davvero poco a quanto non sapevamo già fino a quel punto, ma sono i personaggi di Jay Pharoah e di Amy Irving nei panni della mamma di Sawyer quelli che rappresentano una speranza per la protagonista, e siccome vi ero debitore di un’icona lasciata aperta parliamone!

Fin dalle scelte di casting si vede che Soderbergh ha fatto i compiti, basta dire che lo Stalker è interpretato da Joshua Leonard, lo stesso che è diventato famoso interpretando sé stesso in un altro horror girato all’insegna del risparmio come questo (pare che Soddy Boy abbia speso un milione e mezzo di ex presidenti spirati stampati su carta verde, per dieci giorni di riprese totali) ovvero The blair witch project, quindi una scelta tutto sommato coerente.

Uno che non si è mai ripreso dalla gitarella nel bosco di Blair.

Ma non mancano nemmeno qualche strizzata d’occhio, stranamente non urticante trattandosi di quel fighetto di Soderbergh, ad altri classici dell’horror, tipo non vuoi fare un’inquadratura dal basso, con la protagonista che sbraita contro la porta chiusa che ricorda volutamente quella celebre di Shining? Ma a dirla tutta tra martellate alle caviglie e in particolare l’azzeccata ultima scena, penso proprio che Soddy-Boy sia andato a rivederli Misery non deve morire, d’altra parte Annie Wilkes cos’era se non una delle più spaventose Stalker della storia del cinema? Se poi volessimo proprio prenderla larga, uno Stalker non è uno che ti succhia via la vita come farebbe il peggiore dei vampiri? Ecco, tenente a mente questo e guardatevi il finale del film, che rispetta in pieno i canoni del genere.

Insomma, devo ammettere che questa operazione ad altissimo livello di fighetteria si è tradotta in un film che fa decisamene il suo dovere, forse per essere davvero perfetto, avrebbe dovuto mordere un po’ di più in alcuni momenti, ma stiamo sempre parlando di Soderbergh è già tanto che non ho terminato il film con un reflusso di bile!

Devo dire però che ho la sgradevole sensazione che Soddy-Boy le stia provando tutte per far colpo su di me, lo so che ora passerò per paranoico, però cavolo, guardate, nel suo film ha messo pure una scena con un Bro-Fist! Dai! Questo è un chiaro caso di “CaSStatio benevolentiae”!

Visto? Visto!? Soderbergh è diventato il mio Stalker!

Alt! Ci sono arrivato solo ora, quindi dopo “Solaris” di Andrej Tarkovskij, ora Soderbergh ha rifatto anche… Stalker! Non lo vedete! Fa parte del suo piano criminale! No lasciatemi! Non sono pazzo! Non sono pazzo!!

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