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Uomini veri (1983): schiena dritta, testa alza, palle quadre

Cosa vuol dire
essere un uomo. Avrei potuto decidere di toccarla più piano per l’inizio di
questo pezzo. Ma il film ispira riflessioni alte, molto alte, in orbita attorno
alla stratosfera, quindi cercate di starmi in scia.


In questo mondo
essere uomini ti apre parecchie porte, l’altra faccia della medaglia è il dover
continuamente fare i conti con giudizi e aspettative, dal momento in cui vieni
al mondo fino al giorno in cui ti porteranno via con i piedi avanti sarai
sempre impegnato in una costante gara per essere all’altezza del titolo di
Uomo, con la “U” maiuscola. Per farlo avrai davvero poche cose su cui contare,
perché in questo giro della morte a Mach 2 nessuno ti consegna il casco e il
libretto di istruzioni alla partenza, la biologia e il cromosoma Y ti daranno
giusto un paio di palle che serviranno per sempre ad identificarti come maschio
della tua specie, ma per dimostrare di meritarle sul serio, oppure di averle
per davvero e non solo biologicamente, avrai lo spazio più o meno lungo, a
seconda della fortuna e della spericolatezza, di una vita.
Il resto sarà un
costante giudizio su quanta caparbietà utilizzerai per raggiungere gli
obbiettivi che ti sei posto o quelli che ci si aspetta da te, su quanto
riuscirai a farti rispettare quando l’occasione lo richiederà, ma anche su
quanto riuscirai a restare freddo, distaccato e lucido quando sarebbe lecito
perdere la testa ed andare nel panico. Insomma un lungo volo, dall’esito incerto e dagli scossoni assicurati.
Non aiuta
nemmeno (oppure aiuta tantissimo, questo lo lascio giudicare a voi) l’essere
messo a confronto con modelli maschili totalmente a prova di errore, il più
delle volte appartenenti all’immaginario, per i nomi anche qui lascio a fare a
voi, di solito variano da soggetto a soggetto, tra gli intramontabili il Duca
John Wayne, Clint Eastwood, che so, John McClane o magari Rambo se siete appassionati di attività all’aperto.

“Beh ragazzo, il mio è un po’ più adatto al volo di quella tua Bara Volante”.
Aspirazione, ma
anche confronto impari, facendo parte dell’immaginario questi esempi sono quasi
esenti da difetti a differenza di voi o specialmente di me. Poi arriva un film
come “Uomini veri” che non solo ti fornisce sette esempi di Uomini con la “U”
maiuscola filtrati dalla magia del cinema sì, ma anche reali, uomini, pardon,
Uomini che hanno fatto la storia sul serio. Sì, perché questo film non solo
riesce ad ispirare questo tipo di riflessioni al limite del filosofico, ma allo
stesso tempo racconta alla grande una storiella da nulla, ovvero tutta la
clamorosa galoppata dell’aviazione militare, a partire dai primi aerei
supersonici fino al programma spaziale, quello destinato a portare l’uomo a
giocare a golf sulla Luna, soltanto vent’anni di storia della razza umana,
perché parlare solo di riflessioni sulla mascolinità era troppo facile,
mettiamoci dentro anche la corsa allo spazio, altrimenti sono buoni tutti!
Per raccontare
tutto questo “Uomini veri” impiega 193 minuti, tre temibili ore che forse sono
anche la ragione per cui il film non è mai passato in televisione (per la versione integrale dovrete cercare il Blu-ray, evitate il DVD dal minutaggio monco), o perché
avrete preferito spendere questo tempo a fare tante altre cose. Ho rivisto
questo film qualche settimana fa, dopo la (brutta) notizia della scomparsa di
uno dei suoi protagonisti, anche se forse il più iconico di tutti, il grande Sam
Shepard. Bene, per la seconda volta posso dirvi di essermi trovato davanti un
film clamorosamente bello, arrivato ai titoli di coda mi sono sentito
fisicamente deprivato di almeno un’altra ora di racconto (storia vera), perché
queste tre temibili ore volano come i protagonisti del film e fanno volare in
alto il cinema e gli spettatori, da un film così si può solo lasciarsi
ispirare, perché contiene tutto il meglio e il meglio qui alla Bara Volante ha
un nome: I Classidy!



Più passa il
tempo è più mi rendo conto di amare i soggetti realisti, tratti da eventi
davvero accaduti e proprio per questo esenti da svarioni e buchi di
sceneggiatura, ma da spettatore quello che desidero è sempre essere strabiliato
dal cinema, poter sognare ad occhi aperti ed entrambi piazzati sullo schermo.
“Uomini veri” appaga entrambi questi due miei schizofrenici lati della
personalità, incarnando alla perfezione la cura per il realismo e l’esposizione
dei fatti come avvenuti tipica dei documentari, allo splendore e la gloria che
solo il grande cinema può offrire. Un equilibrio delicatissimo è raramente ripetibile
che può essere portato in scena solo da chi ha la stoffa giusta per farlo.

Già la stoffa
giusta… Che poi sarebbe anche la traduzione più corretta e meno smarmellata del
titolo originale, “The Right Stuff”, ovvero il titolo del romanzo di Tom
Wolfe del 1979 che sta alla base di questo film. Il lungo e dettagliato
racconto dei (magnifici) sette astronauti del progetto Mercury Seven, una
storia talmente da cinema che prima di arrivare al cinema sul serio, ha intrapreso
un intricato percorso. A districare la complicata matassa ci ha pensato uno che
la stoffa giusta ce l’ha davvero, ovvero Philip Kaufman.


“Belli gli occhiali Philip, sembri tu il pilota tra noi tre”.
Non si parla mai
abbastanza del talento di Philip Kaufman, lo frega sempre la seconda metà della
sua carriera, arrivata (non credo a caso) dopo lo sforzo magistrale di produrre
proprio questo film. Philip Kaufman armato di una motivazione evidentemente
superiore e del tutto degna dei protagonisti del suo stesso film, dal libro di Tom
Wolfe ha tirato fuori una lunghissima sceneggiatura, per poi presentarsi
da tutte le case di produzione a portare di tiro armato della sua foga
creativa. Ma questo film sembra un’impresa troppo titanica per tutti, tranne all’allora quasi neonata
The Ladd Company, tra i film prodotti da questa casa di produzione, un solo grosso incasso al botteghino
(“Scuola di polizia” 1984) e tanti titoli che levati, ma levati proprio: “Momenti
di gloria” (1981), Blade Runner
(1982) e “C’era una volta in America” (1984), insomma robetta di respiro
piuttosto ampio, no?

“Senti cervellone, davvero le nostra tute sono state fatte con gli avanzi dei costumi di scena di Cher?” , “Ehm, storia vera”.
Un budget tutto
sommato non esagerato, poco meno di 30 milioni di ex presidenti defunti
stampati su carta verde, che lo so non sono bruscolini, ma per un film di
questa portata sono una limitazione che, però, non si nota affatto, “The Right
Stuff” sembra costato quattro volte tanto e tutto questo lo dobbiamo solamente
all’incredibile lavoro svolto da Philip Kaufman sul set del film e in fase di
regia.
Guardando “The Right
Stuff” non crederete mai che gli attori non abbiano davvero pilotato degli aerei supersonici a velocità Mach 2, davvero, nemmeno per un minuto. Invece 
le
riprese degli attori sul set o dentro l’abitacolo sono state abilmente mescolate
con un sapiente e centellinato utilizzo del green screen e dei modellini. Il
film, inoltre, utilizza veri filmati d’epoca e gli attori, quindi non è strano
vedere il cast del film recitare accanto al vero presidente John Fitzgerald
Kennedy, il tutto dieci abbondanti anni prima di “Forrest Gump” (1994) ed ora
ve lo dico: iniziate ad appuntarvi tutti i titoli che verranno citati da qui
alla fine del post, servirà a capire il peso specifico di questo film sul
cinema moderno.

Se gli aerei sono quelli, allora avranno miniaturizzato gli attori!
La bellezza di
“The Right Stuff” sta nel fatto che anche il miglior documentario sulla storia
del progetto Mercury Seven non sarà mai in grado di raccontare con questo tipo
di coinvolgimento un arco temporale di quasi vent’anni. Ogni volta che uno dei
sette piloti viene spedito in volo l’obbiettivo da raggiungere diventa sempre
più ardito e complesso da raggiungere, nello loro sfida personale c’è tutta la
competizione tipica maschile, quella che a livello istintivo non manca mai in
noi primordiali possessori di cromosoma Y. A livello di cervello rettile, le
dinamiche maschili sono tutte basate su un costante mettere alla prova e
mettersi alla prova con gli altri e questo signore e signorine alla lettura
(tutte e quattro), spiega perché noi maschietti siamo tutti più o meno
impallinati con questo o quello sport.

Fun fact: Nella scena del test della capacità polmonare, gli attori si sono messi a gareggiare davvero!
La costante
tensione a competere e a misurarsi tra di loro spinge i sette piloti ad
raggiungere ad ogni missione un obbiettivo sempre più ardito, quello
finale per tutti è essere il primo: il primo a volare a Mach 2, il primo a
volare in solitaria nello spazio, il primo a raggiungere la Luna. Certo, sullo
sfondo ci sono gli imprendibili Russi e il loro Sputnik, ma il fuoco è tutto su
questi uomini che ad ogni missione portano l’umanità un passo più vicina a
fare la storia, ma anche a far evolvere la tecnologia dei viaggi spaziali.
 
Si passa da cose
semplici come il problema di urinare quando hai addosso un’ingombrante tuta
spaziale, nella esilarante scena che vede Scott Glenn scontrarsi sulla sua vescica, pura commedia, di quella buffa fatta
davvero bene. Ma si affrontano anche problemi tecnici molto più gravi, come
l’apertura automatica dei portelloni in caso di emergenza, che passa attraverso
la scena drammatica del grande Fred Ward,
che da sola è un film dentro il film, uno dei dieci incredibilmente
appassionanti che troverete dentro queste tre straordinarie ore.

Il meglio che l’anno 1983 aveva da offrire, ottima annata per altro.
I singoli drammi
personali dei personaggi e delle loro famiglie non sono certo secondari, ma
anzi trasformano “The Right Stuff” in un grande film corale, perché noi pazzi
maschietti potremmo anche essere sempre in corsa per restare all’altezza del
titolo guadagnato con la nascita, ma senza affetti, amici, famiglia, moglie e
fidanzate non avremmo nessuno da cui tornare, da proteggere o da cui farci
consolare. Puoi anche essere matto abbastanza da sfidare il demonio che vive
dentro Mack 1, ma senza tutto questo saresti solo un motore senza benzina, le
storie di chi aspetta con il fiato sospeso sono importanti tanto quanto chi
vola lassù nello spazio. Se poi, per caso, tutto questo vi ricorda “Apollo 13”
(1995) tranquilli, Ron Howard ha pescato a piena mani da qui, Ed Harris
compreso!
Ho perso il conto dei film strafighi in cui ha recitato Ed Harris in carriera.
Sì, perché oltre
che raccontare alla grande la corsa allo spazio, “The Right Stuff” tratteggia i
suoi protagonisti in maniera grandiosa, c’è il tempo per un po’ di satira
politica (il presidente Lyndon Johnson, Texano puro sangue che impreca robe
tipo “Vacche peperoni!”) e stoccate contro la celebrità e il successo che
la fama porta con sé e poi ci trovate anche una scimmia! Una scimmia che va
nello spazio! Ma cosa volete di più da un film!
Il cast è
davvero straordinario, raduna tutte insieme le facce migliori possibili la crema
della loro generazione: Sam Shepard, Scott Glenn, Ed Harris, Dennis Quaid, Kim
Stanley, ma ci sono anche la grande Barbara Hershey e giusto per dirvi quanto
alto sia il livello, “The Right Stuff” può permettersi di prendere un mito come
Jeff Goldblum e fargli fare una particina da reclutatore con il mal di mare
e addirittura avere nel cast un gigante
come Lance Henriksen e fargli recitare giusto un paio di battute! Ecco, se
dovessi proprio trovare un difetti al film è questo, ma vi dice anche a che altezze
stiamo volando.

“Se non mi fanno volare vuol dire che allora inventerò il Teletrasporto“.
Un affresco
estremamente lucido sul periodo storico che anche a distanza di trenta e passa
anni dalla sua uscita riesce ancora a essere superiore alla vostra posizione
politica, sociale o etica sugli Americani e sulla corsa allo spazio, ma la
bellezza di questo film sta nel suo riuscire ad essere ripieno di testosterone
senza mai scadere nel maschismo più becero, i protagonisti dentro le loro tute
camminano in parata uno accanto all’altro su note epiche (molto prima di
“Armageddon!” del 1998, state segnando i titoli vero?), eppure
neanche per un momento a nessuno passa per l’anticamera del cervello di parlare
di film patriottico o peggio, di usare la terribile parola (“americanata” Brrrr), perché qualunque buzzurro con il cromosoma Y si sforzerà di atteggiarsi
a maschio dominante, ma chi ha la stoffa giusta, sparge carisma tutto intorno a
sé e calamita sguardi senza bisogno davvero di altro.
Camminare in parata come i veri eroi, ma con largo anticipo anche su Bruce Willis.
Chi spargeva
carisma sul set era sicuramente quello che è il vero baricentro morale di tutto
il film, il mitico Chuck Yeager, voluto da Kaufman sul set come consulente, compare nei panni di uno dei baristi del bar per piloti del film. Ma la
sua funzione principale è stata quella di fare da ispirazione a tutti, a
partire proprio dal grande Sam Shepard che per interpretarlo ha passato un
sacco di tempo con lui.
La coppia più
assurda del mondo: da una parte un eroe di guerra, un asso dell’aviazione che
per essere sicuro di non conoscere il significato della parola “Paura” ha
venduto il dizionario, probabilmente in cambio di un coltello con cui da
bambino andava a caccia di orsi (storia vera, degli orsi non del dizionario).
Dall’altra Shepard, commediografo rinomato, attore intenso, anima inquieta che
da ragazzo picchiava le pelli della batteria in una band Punk e da adulto ha sempre combattuto
con la bottiglia e fino alla sua dipartita, ha sempre avuto una fifa blu di
volare (storia vera).

Non potevano essere più diversi e più uguali tra loro questi due.
Eppure, in Chuck
Yeager, Sam Shepard trova, a mio avviso, la sua interpretazione migliore e a sua
detta quella figura paterna che aveva sempre cercato, perché è proprio il
personaggio di Chuck Yeager l’altimetro morale di tutta la pellicola. Ad inizio
film corre a cavallo fino a schiantarsi contro un albero, poi da lì in avanti va
sempre e solo più veloce di così, fino ad essere il primo a volare a Mach 1.
La bellezza del
personaggio sta proprio nel suo fare da metronomo alla storia, quando i voli
dei jet supersonici passano di moda e Yeager si vede sorpassato a destra dal
programma spaziale, comunque tutti ancora lo considerano il miglior pilota del
mondo senza, però, mai pronunciarlo, in questo senso la scena con Gordon Cooper
(Dennis Quaid) è esemplificativa.

I due Chuck Yeager si fanno una bevuta tra una ripresa e l’altra.
Chuck Yeager lo
spericolato, il guardiano di un mondo al tramonto, che quando rischia di
restare per sempre a terra, prende un aereo destinato agli astronauti, si fa
dare una Beemans da Ripley (la gomma da masticare porta fortuna dei piloti, ricordate “Le avventure di Rocketeer” del 1991?) ed entra nella
storia, anche del cinema con una scena che sa di leggenda, perché il messaggio
del personaggio è cristallino: se sei un Uomo con la “U” maiuscola devi tenere
fede a te stesso e ai tuoi obbiettivi anche a costo di schiantarti, per poi
ritrovarti a camminare nel deserto (ben prima di Independence day, grazie Sergio!), con la schiena dritta, la testa
alza, le palle al loro posto e la stoffa giusta.
Eccolo qui il VERO “Ballo della vittoria” altro che balle!
“The Righ Stuff”
è un film magnifico, un
risultato grandioso, un’unità di intenti e cuori che al cinema si manifesta
(troppo) poco e che è ben rappresentato dal compositore Bill Conti, ci tengo a
sottolinearlo, questo pezzo è stato completamente scritto con in cuffia il tema
principale del film (storia vera).
Bill Conti, in
realtà, non doveva nemmeno esserci, è arrivato come sostituto di John Barry
esasperato dalla richieste di Philip Kaufman troppo difficili da interpretare,
comprensibile quando il tuo regista ti chiede di comporre una colonna sonora
che suoni come quando cammini nel deserto, vedi un cactus, per errore ci metti
il piede sopra, ma quello continua a crescere attraverso il tuo piede. Non so
cosa diamine voglia dire, ma sono state le specifiche parole di Kaufman, che
Bill Conti in una trance agonistica degna di Chuck Yeager deve aver capito
molto bene considerando l’epico risultato finale, giustamente premiato con
l’Oscar.

Se non vi piace QUESTO, non vi conosco e non vi voglio conoscere.
Ancora oggi a
trenta e passa anni dalla sua uscita, “The Right Stuff” non gode del credito
che merita, nemmeno gli elogi spietati di registi come George Lucas o Christopher
Nolan (da dove pensate arrivino le scene di volo di Dunkirk?) sono serviti a molto contro quelle tre micidiali ore. Se
nemmeno personaggi di questo calibro sono riusciti a fare abbastanza pubblicità
al film, di sicuro non ho nessuna speranza di riuscirci nemmeno io che, però, me
ne frego e ve lo dico, anche forte se necessario: raramente vedrete cinema più
grande, bello, epico e in grado di ispirare di così.
Tre ore del
vostro tempo non sono niente in confronto a quello che potreste avere in cambio
da un film del genere, perciò: andate, sfidate, osate. Volate.
«Hey, Ridley, ya got
any Beeman’s? Loan me some, will you, I’ll pay you back later»

Questo post fa parte dell’omaggio tra Blogger cinefili per ricordare i (purtroppo) tanti attori e registi che ci hanno lasciato in questo 2017, qui trovate l’omaggio di Pietro Saba al grande Martin Landau.

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