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V for Vendetta di Alan Moore e David Lloyd (1985): ricorda, ricorda, il 5 novembre

Finisco per rileggere “V for Vendetta” piuttosto spesso, non proprio una volta l’anno ma quasi, quando ho messo giù il volume dopo l’ennesima rilettura e ho guardato il calendario, sulla mia faccia si è disegnato da solo un sorriso, quasi come quello sulla maschera di V.

Ancora oggi Alan Moore è considerato il burbero padre del fumetto americano, ma l’opera che lo ha lanciato è stata senza ombra di dubbio “V for Vendetta”, lo so che è stata pubblicata quasi in contemporanea con il suo già maturo ciclo di storie di Miracleman, ma viene quasi istintivo considerare la celebre opera con tante lettere “V”, come il suo primo lavoro, perché al suo interno contiene uno spirito di giovanile ribellione, puro nei suoi intenti per quanto già parecchio cinico. Rispetto ai suoi lavori successivi altrettanto famosi, “V for Vendetta” sembra un ragazzo Punk o Goth sceso di buon umore dal letto per allacciarsi gli anfibi. Cioè intendo dire, buon umore per i suoi standard, che sia chiaro.

Apparso per la prima volta tra le pagine della rivista Inglese “Warrior” nel 1982, “V for Vendetta” per stessa ammissione di Moore è stato il suo primo tentativo di condurre una serie regolare a cadenza periodica, questo spiega alcuni dettagli nei primi numeri, che non vengono più ripresi nel resto della storia. Tutto è filato liscio fino al 1985, ma con la chiusura anticipata di “Warrior”, l’opera è rimasta senza conclusione fino al 1988 e alla prime pubblicazioni in volume.

Per l’occasione avrebbero potuto chiamare la rivista VVarrior.

La storia ha avuto una genesi semplice, molto istintiva, come scendere dal letto con il piede giusto e la voglia di usarlo sulle chiappe che contano. “V for Vendetta” è un opera fortemente critica nei confronti dell’Inghilterra della Lady di Ferro Margaret Thatcher e della sua politica, scritta con in testa tutti i riferimenti giusti, da “1984” di George Orwell fino a Thomas Pynchon, infatti in una scena il protagonista V, legge il suo romanzo del 1963 intitolato, beh “V”, lo avreste mai detto?

Nell’intervista contenuta nella ristampa Italiana di questo fumetto, edita dalla Magic Press, il mago di Northampton non ha problemi ad ammettere certe sue leggerezze giovanili. Secondo Moore l’idea che la società possa accettare una dittatura in risposta ad una guerra nucleare è una leggerezza. Molto più modestamente, di mio penso che una buona parte di umanità è spesso pronta a piegarsi al bastone anche per minacce molto meno consistenti, perché passano gli anni ma “V for Vendetta” resta un fumetto attualissimo. Puro nei suoi intenti e strutturato così tanto, da risultare ancora una lettura variegata e virtuosa. Dovessi diventare troppo fastidioso con tutte queste parole con la “V” fatemelo sapere ok?

Intanto beccatevi una delle copertine originali più belle di sempre.

L’ossessione per la simmetria, i riferimenti colti utilizzati in maniera costruttiva e creativa per dare corpo alla storia e perché no, anche la decostruzione delle classica figura del (super) eroe, sono tutti temi cardine delle opere di Moore che non mancano nemmeno qui, ma è stato solo grazie al notevole contributo del disegnatore David Lloyd, che il personaggio di V ha trovato la sua iconica forma.

L’idea originale di Moore era parecchio progressista, un terrorista transgender, a tutti gli effetti l’incubo del regime pseudo-fascista che combatteva. Quelli di “Warrior” lo hanno guardato come se fosse l’uomo caduto da Marte, ma tracce di quell’idea sono rimasti all’interno del personaggio. Ma i vari tentativi di trasformarlo in una specie di Ninja con una “V” sulla maschera non funzionavano nemmeno dal punto di vista grafico. La svolta arrivò grazie all’idea di David Lloyd di disegnare al personaggio un cappello e una maschera, plasmata sulle fattezze del volto di Guy Fawkes.

Guy Fawkes nella cultura Inglese è un personaggio quasi leggendario, il sinonimo del traditore per eccellenza, un po’ come per gli americani Benedict Arnold. Un anarchico Irlandese che il 5 novembre del 1605 ha cercato di far saltare per aria il parlamento Inglese utilizzando trentasei barili di polvere da sparo. Da quel giorno il 5 novembre è passato alla storia come un giorno d’infamia da ricordare. La congiura delle polveri viene festeggiata ogni anno, dando fuoco a dei “mamozzi” con le sembianze di Guy Fawkes, se vi è capitato di essere in terra di Albione il giorno giusto, vi sarà capitato di vederlo.

…E noi a Gino lo menamo Guy Fawkes lo bruciamo!

L’idea è semplice ma rivoluzionaria, Alan Moore e David Lloyd prendono un simbolo Inglese d’infamia e lo trasformano nell’eroe della loro storia, facendo quasi una decostruzione della figura dell’eroe, anzi proprio del super eroe. Con mantello e maschera, V ha tutti gli elementi classici del super eroe americano, ma i suoi modi sono diretti, se non proprio esplosivi, coltelli con cui uccidere le vittime e bombe per far saltare il parlamento. Con tutte queste “V” e parole che iniziano con la stessa lettera, è impossibile dimenticarsi che stiamo assistendo alla sua vendetta contro un sistema che è comunque molto più malvagio di lui.

“Make Britain great again”, poi ditemi che questo fumetto non è ancora (paurosamente) attuale.

Nel 1988, l’anno in cui Moore ha completato l’ultimo numero di “V for Vendetta”, l’autore ha anche scritto un’altra pietra miliare come The Killing Joke, quindi prendiamo proprio Batman e il Joker come modelli di riferimento fumettistici. Al pari dell’Uomo Pipistrello, V ha un mantello e una maschera che diventa un simbolo per portare il terrore nel cuore dei suoi nemici, ma tutto è capovolto perché V non vuole proteggere lo status quo ma alterarlo, per far crollare come tessere del domino un regime fascista.

Proprio come l’Uomo Pipistrello, anche V ha un rifugio, una specie di Bat-Caverna che lui chiama la galleria delle ombre, un luogo in cui salvaguardare tutta quell’arte considerata sovversiva dal governo: libri, musica, dipinti, cultura senza distinzioni tra alta e bassa, sono quello che V utilizzerà anche per risvegliare le menti di una popolazione soggiogata. Al suo fianco, una personale versione di Robin, vera e propria spalla nella sua missione, una ragazza di nome Evey. Occhio alla pronuncia, non è un caso se suona un po’ come “V”.

Tipo la Bat-caverna, ma arredata meglio.

A pagina uno Moore ci presenta entrambi i suoi protagonisti, due facce della stessa medaglia, usando la simmetria che maneggia così bene nelle sue opere a fumetti. Da una parte abbiamo V impegnato a vestirsi di tutto punto per entrare in scena, dall’altra Evey, che si trucca (troppo) il viso trasformandolo idealmente in una maschera, per uscire fuori nelle strade a vendere il proprio corpo per la prima volta, perché i tempi sono duri per tutti e questo regime non fa sconti ai più deboli.

Il salvataggio della ragazza da parte di V non è tanto diverso da un qualsiasi fumetto di super eroi, ma è tutto il contesto e il piano del mascherato protagonista a rendere speciale “V for Vendetta”. Ho citato il Joker lassù, di cui Moore ha raccontato un capitolo importante della sua storia, quando si tratta di “V for Vendetta” anche chi non ha mai letto il fumetto sa che la maschera del personaggio è diventata, anche grazie allo scarso adattamento cinematografico del 2005, molto popolare nelle manifestazioni di protesta, un po’ come sta accadendo oggi con il trucco del Joker, dopo il film con Joaquin Phoenix.

Oh figo, Lucca Comics! Ehm, no devo aver sbagliato qualcosa.

La differenza sostanziale tra queste due icone fumettistiche, è che V agisce con un ordine incredibilmente metodico, quasi un sistema ossessivo, anche se in comune hanno l’indecifrabilità iniziale, un modo di pensare talmente laterale rispetto al sistema rappresentato dalla voce di Londra di Lewis Prothero (e gli altri organi del governo, identificati con altrettante parti del corpo, in base alla funzione di spionaggio) da risultare impossibile da intercettare. In parte ci riuscirà solo il capo del Naso (la polizia scientifica) Eric Finch, ma soltanto quando avrà vissuto una – lisergica – esperienza nel campo di prigionia che ha dato idealmente i natali a V, Larkhill. Un posto che per altro è stato inserito della storia da Moore, dopo averci passato la peggior vacanza della sua vita (storia vera), quindi se mai un giorno scriverò una storia con il campo di prigionia di Mestre, sapete il perché.

«Poco distante da Venezia, un posticino adorabile, vedrà!»

La precisione ossessiva con cui V mette in atto il suo piano di vendetta, è la stessa con cui Moore costruisce la sua opera, i pezzi del Domino messi in posizione da V, sono i personaggio raccontati da Moore e disegnati dalle plumbee (quindi adattissime) matite di David Lloyd. Rosa Almond, i coniugi Heyer, sono tutti elementi fondamentali della storia, proprio come Lewis Prothero, il perfetto contraltare di V, infatti i due personaggi si sfidano idealmente a distanza anche attraverso un lungo monologo, nel capitolo 5 (V in numeri romani) intitolato “Versioni”, Prothero si dichiara un fascista e professa il suo amore per il sistema che tutto governa ma non restituisce indietro niente, di sicuro non l’amore che il personaggio vorrebbe. V invece si lancia nella sua dichiarazione d’amore, ma non più alla statua della un tempo amata signora Giustizia, da troppo tempo piegata al volere del potente di turno no, il nuovo amore di V si chiama anarchia («…come amante mi ha insegnato ben più di te! Lei mi ha insegnato che la giustizia non ha senso senza la libertà!»).

Anarchy in the U.K.

V è un personaggio affascinante che parla per frasi che verrebbe voglia di imparare a memoria («Sotto questa cappa non ci sono né carne né sangue da uccidere. C’è solo un’idea. E le idee sono a prova di proiettile»), la maschera cela la sua identità e proprio per questo potrebbe essere chiunque, uno degli indesiderati finiti dei campi, perché parte di minoranze odiate dal nuovo regime. Per dirla con le sua parole, cantante nel preludio del “Libro 2”: «Ma niente checche… né negri… né ebrei… in questo luna park bastardo. Questo vile cabaret», una porzione del fumetto in cui Moore e David Lloyd trasformano la pagina in uno spartito musicale (infatti per leggere le vignette, è necessario ruotare il fumetto di novanta gradi) e che grazie alla collaborazione del bassista dei Bauhaus, David J é anche diventata una vera canzone, pubblicata in un EP nel 1984, la trovate QUI, giusto per dirvi della capacità di influenzare la cultura popolare, avuta da questo fumetto.

Tra le armi usate da V e dal suo autore Alan Moore, proprio quella cultura che il regime contro cui combatte vorrebbe vedere scomparire per sempre: il protagonista entra in scena citando il Macbeth di William Shakespeare, ma di fronte ad un prete dal comportamento ben poco ligio al suo Dogma, V si presenta come la diretta alternativa, e cita le parole di “Sympathy for the devil” dei Rolling Stones.

Vi metto anche un po’ di musica se volete.

L’ossessione per la “V” (di Vendetta) accumuna protagonista e scrittore, quasi tutti i capitoli del fumetto sono intitolati con parole come Vittime, Vaudeville, Versioni, e via così. Il livello di ossessione è talmente dettagliato che la vituperata lettera dell’alfabeto viene declinata in ogni modo possibile: in numero romano diventa un cinque, come il numero della cella dove era rinchiuso a Larkhill il protagonista, ed una delle sue vittime viene uccisa sulle note della beh, quinta sinfonia di Beethoven, la più famosa di tutte, quella che inizia con da da da DAAAAA, tre “segni” brevi ripetuti, seguiti da uno lungo, che nel codice Morse equivalgono alla lettera dell’alfabeto… beh a questo punto non credo che vi serva nemmeno più dirlo (storia vera).

D’altra parte, l’overture 1812 Tchaikovsky si suona a colpi di cannonate no?

La cultura è l’arma segreta con cui V vuole portare a termine la sua vendetta scatenando l’anarchia, ma il mascherato protagonista è il sottoprodotto di un regime violento, e agisce con metodi che il vostro classico eroe non prenderebbe mai in considerazione. Il suo perfetto contraltare è la giovane Evey, che compie un arco narrativo completo, riscoprendosi la più nobile delle tessere del Domino messe in fila da V.

Non sono riuscito a trovare dichiarazioni di Moore in tal senso, ma considerando la sua sconfinata cultura, non mi stupirebbe scoprire che mentre la sua opera finiva in panchina a causa della chiusura anticipata di “Warrior”, abbia scoperto il romanzo di Margaret Atwood “Il racconto dell’ancella”, che ha avuto una rinnovata popolarità grazie alla serie tv, ma è stato pubblicato la prima volta proprio nel 1985. Anche perché i punti di contatto tra il momento più emotivo di “V for Vendetta” e il romanzo della Atwood non mancano.

Veni, vidi, vici.

June, l’ancella vittima di un regime distopico, nella sua cella (perché il personaggio si rifiuta di chiamarla “la mia camera”) trova nascosta un’incisione che le dona un po’ di forza per provare a resistere: Nolite te bastardes carborundorum. Non so se Alan Moore abbia voluto citare il lavoro di Margaret Atwood, ma la cattura di Evey e il ritrovamento della lettera dell’attrice Valerie, lasciata nella cella per tutti quelli che la troveranno, ha sulla giovane ragazza lo stesso effetto delle parole in finto latino pensate dalla Atwood.

La lunga e appassionata confessione scritta di Valerie (avete notato con che lettera inizia il nome?) resta una di quelle cose da leggere senza respirare, ci sono due fumetti capaci – per ragioni differenti – di provocarmi una reazione forte, anche alle rilettura numero cento, uno è la scena della madre in metropolitana di Il ritorno del Cavaliere Oscuro, l’altro è pagina 162 del mio vecchio volume Magic Press di “V for vendetta”. Ogni volta che arrivo alle parole «Conosco ogni centimetro di questa cella. Questa cella conosce ogni centimetro di me. Tranne uno», devo appoggiare il volume sul comodino e farmi venti flessioni per riprendermi (storia vera).

Pagina 162. Roba per veri duri.

“V for Vendetta” è un capolavoro di maturità artistica, con dentro una voglia di ribellione giovanile capace di ispirare, spendo quattro parole sul film che è stato tratto da questo fumetto nel 2005: Una riduzione per bambini. Avevo detto quattro e quattro sono state.

Il fumetto di Alan Moore e David Lloyd a trent’anni dalla sua uscita, quel cuore giovane e un po’ incazzato, come il suo iconico protagonista, non lo ha perso per nulla, il mondo è ancora un posto abbastanza cupo e contorto in cui leggere “V for Vendetta”, risulta ancora un’esperienza al passo con i tempi, bisognerebbe capirne la grandezza, i pochi limiti e gli enormi pregi. Moore come V negli ultimi capitolo è rimasto sopraffatto dalla portata della sua opera, e dal modo in cui è stata accolta, anche per questo ha fatto togliere il suo nome dai crediti del film del 2005. La differenza tra anarchia consapevole e caos può venire confusa come la maschera di Guy Fawkes con quella di che so, la casa di carta, serie che dovrebbe regalare svariate casse di birra al Mago di Northampton secondo me.


Frasi memorabili e dove trovarle.

Ma “V for Vendetta” resta una di quelle opere che tanti citano, e che invece tutti dovrebbero leggere per farsi ispirare da tutta la cultura e quello spirito genuinamente incazzato che ancora sfoggia, quindi concludo questo mio vergognoso Vaudeville rendendo onore al 5 novembre, alla prosa virtuosa di Alan Moore, alle matite valorose di David Lloyd, alla Voce di Londra e alla “V”, di vendetta.

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