La strada che stiamo percorrendo di settimana in settimana oggi ci porta lontano, fino a Brooklyn, quindi bentornati al nuovo capitolo della rubrica… Craven Road!
Il tentativo di rimettere le mani (artigliate) sulla sua creatura più famosa (ovvero Freddy Krueger), per Wes Craven non è andato come sperato, malgrado le buone critiche il film al botteghino ha incassato molto meno del previsto, proprio per questo il maestro di Cleveland era pronto per mettere i suoi talenti al servizio di una figura leggendaria, un’icona sempre alla ricerca di vittime da piegare alla sua bramosia, Dracula? No, Eddie Murphy!
Con l’arrivo degli anni ’90, Murphy sembrava aver perso il suo tocco magico, in cerca di rilancio dopo “Il principe delle donne” (1992) ha tentato anche di rilanciare il suo personaggio più famoso, Axel Foley con il terzo capitolo di Beverly Hills Cop, finendo per non rivolgere mai più la parola a John Landis, con cui i rapporti erano già andati a sud dai tempi di “Il principe cerca moglie (1988), titolo che vi avviso, aleggerà su questo post.
I piani inziali di Murphy erano quelli di interpretare, non dico proprio un cattivo, ma almeno un antieroe per mostrare al pubblico anche questa sua capacità, ecco perché con l’aiuto del fratello Charles Murphy, i primi abbozzi di sceneggiatura prevedevano una storia western. Un Western? Nel 1995 non era nemmeno una cattiva idea visto che in quel periodo il cinema con selle e cavalli stava vivendo una (delle sue tante) seconda giovinezza, ma alla Paramount non vollero sentire ragioni, un Western è troppo costoso, facciamo un bel film di vampiri invece! Come ha fatto Francis Ford Coppola che con Gary Oldman ha rilanciato il filone!
La leggenda vuole che sia stato proprio Eddie Murphy ad indicare Wes Craven, zio Wessy che non ha rifiutato in carriera di dirigere nulla (nemmeno dei film porno) ovviamente accetta, con un divo a bordo, un nome famoso alla regia e un tema in voga, il film viene messo subito in produzione, ma al netto di quattordici milioni di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti ex presidenti defunti, “Vampiro a Brooklyn” è riuscito a portare a casa poco meno di venti milioni, ripagandosi di poco i costi e finendo dritto sparato tra i titoli considerati più infami della carriera di Murphy che ancora oggi addossa tutte le colpe dell’insuccesso a Wes Craven? No, alla parrucca! Che secondo il comico lo faceva somigliare a Nick Ashford, celebre produttore musicale americano (autore tra l’altro di “Ain’t No Mountain High Enough”) dalla zazzera piuttosto prominente.
I problemi di “Vampire in Brooklyn” sono stati svariati, tra cui il grave incidente dell’allora ventisettenne Sonja Davis, controfigura di Angela Bassett, finita in coma per due settimane prima di perdere la vita, dopo una caduta tutto sommato piuttosto semplice per la sua esperienza, finita purtroppo in tragedia.
Pare che, malgrado averlo voluto a tutti i costi come regista, Eddie Murphy abbia puntualmente ignorato tutti i consigli di Wes Craven, ma resta innegabile che “Vampiro a Brooklyn” è in tutto e per tutto un film controllato dalla volontà ferrea di Murphy di fare sua la pellicola, persino la bella Angela Bassett è stata un ripiego, come protagonista femminile Eddie voleva Jada Pinkett, mentre lui e suo fratello Charles, non hanno più collaborato fino a “Norbit” (2007) e se qualcuno sostiene che “Vampiro a Brooklyn” sia brutto, beh allora provare a rivedervi “Norbit”, quelli sono i film che fanno venire i brividi per davvero!
La sfortuna di Craven è stata quella di avere finalmente per le mani la possibilità di dirigere un horror con un’icona del genere come un vampiro, anzi, nemmeno uno qualunque, ma uno che in tutto e per tutto ricalca la trama del romanzo “Dracula” di Bram Stoker (1897), purtroppo ha dovuto farlo stando alle regole imposte da Murphy. Un vero peccato perché senza scomodare Kathryn Bigelow, tanti grandi Maestri del cinema horror hanno potuto offrire la loro particolare visione, aggiungendo tutti qualcosa all’iconografia (già bella nutrita) dei vampiri, George “aMMMore” Romero portando il realismo e la critica sociale di Martin e John Carpenter aggiungendo un tocco western con Vampires. Gli esempi sarebbero tanti, ma quello che mi sembra più significativo da segnalare resta “Amore all’ultimo morso” (1992) dell’ex amico di Murphy (ma sempre amico mio) John Landis, un film che unisce commedia e vampirismo, in cui erano presenti dei gangster italoamericani e dove, per altro, recitava anche Angela Bassett, ma che, comunque, risulta molto più riuscito di “Vampiro a Brooklyn”.
Che, in ogni caso, resta una commedia abbastanza simpatica, con qualche problema di ritmo come molti dei film con Eddie Murphy che spesso vivevano e morivano sulle trovate del comico, ma che purtroppo risulta un Wes Craven con il freno a mano tirato. Sarebbe stato bello vedere zio Wessy l’iconoclasta, l’esperto di sangue e incubi, dire la sua su un Vampiro nero libero di scorrazzare a Brooklyn, proprio lui che con La casa nera aveva già esplorato le istanze dei “fratelli”, solo che qui invece di regalarci un nuovo film di culto come “Blacula” (1972), finisce per firmare una versione sfigata di “Nosferatu”… Nosfigatu, insomma!
Wes Craven le ha provate tutte per cercare di mettersi comodo in cabina di regia, dando al film la forma della sua impronta, in una discussione in un locale il vampiro Maximillian (Eddie Murphy) quasi strappa la lingua ad un tipo troppo chiacchierone (lingue iper estese, una delle fissazioni di zio Wessy) e a ben guardare, il film è pieno di facce note che arrivano dagli altri film del maestro di Cleveland in parti di contorno, uno degli sgherri italoamericani è il Mitch Pileggi di Sotto Shock (e “Delitti a forma di stella”), l’agente di polizia Joanna Cassidy arriva dritta da Invito all’Inferno, mentre Zakes Mokae da Il serpente e l’arcobaleno e Wendy Robie da La casa nera, ma nessuno riesce a pesare per davvero, in un film dove Eddie Murphy è il mattatore assoluto.
L’arrivo in nave di Maximillian ricalca l’arrivo della nave del Conte Dracula nel romanzo di Bram Stoker, il lungo corteggiamento (che culmina anche in una scena di ballo con “No woman no cry” come sottofondo) con la Mina Murray di turno, qui ben incarnata dalla bella Angela Bassett, ci regala alcune scene di incubi (che comunque Wes Craven era capace di dirigere alla grande anche beh, dormendo) e alcuni riusciti momenti di trasformazioni, spesso in lupo, anche se il più riuscito anche a livello di comicità, resta il decadimento fisico di Julius Jones (Kadeem Hardison) che qui ricopre il ruolo del Renfield, il servitore umano del vampiro che perde (letteralmente in questo caso) pezzi della sua umanità.
Eppure, è chiaro che questo è un film di Eddie Murphy in tutto e per tutto perché rivedendolo diventa chiaro che di fatto è “Il principe cerca moglie” (1988), potremmo quasi dire che il titolo giusto sarebbe stato “Il principe delle tenebre cerca moglie”. Sì, perché anche qui abbiamo un nobile principe nero che porta i suoi modi fuori dal tempo in America, non nel Queens, ma a Brooklyn questa volta, il tutto per conquistare una bellezza (nera) locale.
I momenti in cui i due film sembrano assolutamente identici non mancano, esattamente come nel film di John Landis (e come da tradizione per Murphy) anche qui il protagonista truccato interpreta più ruoli, grazie al morso di vampiro Maximillian diventa lo sgherro italoamericano (truccato piuttosto male) Guido, ma soprattutto prende le sembianze del Predicatore Pauley. Certo, bisogna dire che la sua oratoria fuori, nel giardino della chiesa (per non morire bruciato per via di tutte quelle croci) è piuttosto spassosa, un timido tentativo di iconoclastia da parte i Craven se vogliamo, visto che nei panni del Predicatore, il nostro Vampiro trova il modo di far inneggiare a Satana un gruppo di devoti fedeli, ma mi sto davvero arrampicando sugli specchi nel cercare tracce di Craven, in quello che è di fatto un film di Eddie Murphy al 100%.
Vogliamo parlare della scena del cambio di appartamento? Il Principe Akeem non voleva portare la sua Lisa a casa, perché aveva detto di essere povero in canna e non poteva mostrarle un appartamento migliorato grazie al suo denaro di principe ereditario. Qui il principe (delle tenebre) Maximillian cerca di far colpo su Angela Bassett portandola nel suo bellissimo appartamento, reso sfarzoso grazie alla magia di Vampiro arredatore. Intenti opposti per i due personaggi, ma il succo della scena non cambia.
Risultato finale? “Vampiro a Brooklyn” risulta un film minore di Wes Craven che non è abbastanza horror per far impazzire i fan del maestro di Cleveland e non è nemmeno così memorabile come film di Eddie Murphy. Di apprezzabile ha sicuramente un utilizzo abbondante di un certo umorismo nero che personalmente trovo sempre molto spassoso (il nome del blog dovrebbe avervelo fatto intuire), di sicuro è stata una buona palestra per Craven per aggiungere alle sue tante armi anche l’umorismo, una capacità che gli sarebbe tornata molto utile di lì a poco.
Perché, artisticamente parlando, Wes Craven ha avuto un sacco di vite: professore universitario, fattorino e montatore sottopagato, regista di film per adulti, maestro del cinema horror ed iconoclasta nato, ma da un film minore come questa sortita poco fortunata a Brooklyn, Craven sarebbe uscito più forte e pronto a farci urlare ancora. Vi conviene farvi trovare pronti perché tra sette giorni, la strada lungo Craven Road ci porterà tutti nella ridente urlante cittadina di Woodsboro.
Sepolto in precedenza venerdì 10 luglio 2020
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