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Vermin (2024): come si dice “sentirsi camminare addosso” in francese?

Quando è uscito su Shudder purtroppo sono andato lungo, per mia fortuna e se vi andrà, anche vostra, da qualche giorno è disponibile su Midnight Factory il francese “Vermin”, distribuito all’estero anche con il ben più banale “Infested”, ma poco importa, sempre di creaturine piene di zampe si tratta.

Non ci troviamo dalle parti della New French Extremity dei primi anni 2000, ma sempre in Francia restiamo, perché l’esordio cinematografico di Sébastien Vaniček cavalca ancora una volta la simmetria dei ragnetti, che con il loro numero doppio di arti rispetto al nostro, sono una paura sempre facile, che però il regista sa giocarsi molto bene.

«Ciao piccolino, tu vieni a casa con me, abbiamo una storia da far iniziare»

Anche perché più che il classico Aracnofobia, questo film francese riesce a trovare una sua strada, derivativa quanto volete ma tutta sua, una variante se vogliamo sull’altro film pieno di ragnetti (presto lievitati a taglie XXL) uscito quest’anno, mi riferisco all’australiano Sting, anche lui tutto ambientato in un palazzo molto, ma molto proletario, ma con toni più da fiaba nera rispetto al film di Sébastien Vaniček.

Dopo un prologo nel mezzo del deserto, che mette subito in chiaro quando i piccoli ragnetti protagonisti siano piccini ma letali, uno dei minuscoli aracnidi finisce nelle mani di Kaleb (Théo Christine), un piccolo truffatore che campa di espediente e che sogna di aprire uno zoo di insetti e rettili, anzi, il ragnetto finisce dritto in una delle scatole da scarpe di una nota marca con “baffo” e nome ispirato alla divinità greca della vittoria (come dire tutto senza dire niente) che spero almeno per Vaniček, abbia messo dei soldini visto che le suddette scatole hanno un ruolo ricorrente nel film.

Segni di continuità, le scarpe dritte sparate in locandina.

Da un certo punto di vista il film di Vaniček ricorda un po’ lo spagnolo “REC” ma senza zombie, macchina da presa a mano ballerina e possessioni, ma ha anche qualcosa di “Attack the Block”, più che altro per il cast piuttosto giovane di giovani tamarri locali, qui sostenuti da una colonna sonora Rap (o Trap) franzosa che non so distinguere, perché non parlo francese quindi non so scovare le differenze.

Anche se rispetto ad “Attack the Block” manca quella spolverata di umorismo che era un elemento chiave di quel film, Sébastien Vaniček punta tutto su una messa in scena piuttosto seria e con seria, non intendo che la riproduzione forsennata dei ragnetti sia scientificamente accurata, anche perché su questo argomento ne so quando di Trap (o Rap) francese, ma più che altro sono credibili le dinamiche di gruppo.

Questi amichetti mi fanno quasi rimpiangere Norman Bates.

Una banda di protagonisti che vive nell’equivalente francese della Vele di Scampia, un vero alveare per umani che esiste davvero dagli anni ’80 ed è diventato simbolo di un certo strato di popolazione francese in fermento. Ecco perché oltre all’elemento da B-Movie dell’invasione di ragni super velenosi (e sempre più grossi) a tenere banco è il METAFORONE sociale.

Quando Kaleb, aiutato dalla Manon (Lisa Nyarko) scopre che l’invasione è una notizia che non trapela e che anzi, diventa l’occasione per i fasci… Ehm, poliziotti in anti sommossa mandati nel palazzo per dare altre due manganellate ai locali, storicamente poco amati, il film fa venire a galla la sua carica, non voglio dire proprio sociale, ma per lo meno ecco, in quella direzione lì, con gli ultimi degli ultimi, a fare da mosche in una gigantesca ragnatela piena di ragni, molti dei quali con il manganello.

La ragnatela dell’Uomo Ragno dopo due ore si scioglie, con questi ragni dopo venti minuti quello sciolto (di mazzate) sei tu.

Prima che vi sorga il sospetto che io stia cercando di vendervi “L’odio” (1995) con i ragni, parliamo di loro, tanti, variegati, realizzati con un gustoso miscuglio di veri ragnetti addestrati e fatti “recitare” alla vecchia maniera (il che vuol dire gran fegato per il cast, che se li è visti e sentiti passeggiare ovunque sul corpo), un po’ di animatronici e una spruzzata di CGI che non disturba, forse anche perché con quella fotografia così oscura e patinatina (un difetto che mi sento di imputare al film) per lo meno maschera bene.

Insomma, “Vermin” farò tornare in voga il caro vecchio “sentirsi camminare addosso” che per altro sento anche in questo momento, visto che vi scrivo con una mano sola, l’altra la sto usando per combattere contro una zanzara (storia vera), però nel caso foste alla ricerca di un horror per salvarvi la serata, ricerca terminata, sapete cosa fare.

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