Sono contento che Christian Bale abbia alzato il piede dall’acceleratore,
ha avuto un periodo in cui lavorava decisamente troppo con il rischio di
svalutazione, ma, soprattutto, sono contento che abbia deciso di lavorare ancora
con Adam McKay.
I due insieme avevano firmato La grande scommessa che con il suo spirito caustico era riuscito
ad illustrare il funzionamento di una bolla speculativa e l’inizio della crisi
economica, in un film che riusciva ad essere chiaro ed espositivo quasi quanto
un documentario, ma rimanendo cinema al cento per cento.
quindi McKay deve aver pensato che era il mondo di puntare più in alto, oppure,
molto più semplicemente, anche lui è rimasto deluso dall’ultima stagione di House of Cards e ha preferito
raccontarci le vicende di uno che è stato il vero Frank Underwood della
politica americana degli ultimi anni, quel gran simpaticone di Dick Cheney.
una peculiarità che ai nostri amici che vivono dall’altra parte della grande
pozzanghera nota come oceano Atlantico non manca e bisogna dire che più danni
di quelli combinati dall’amministrazione di George “Dabliù” e del vice
presidente Dick Cheney, bisogna anche impegnarsi per farli, anche se Mr.
Arancione là, pare partito con lo spirito giusto.
presidente è Christian Bale, uno che… Posso dirlo? Non mi sta simpatico, sono
arrivato al limite di sopportazione con il suo Batman, lo ammetto candidamente,
anche perché meglio di come ha recitato in “American Psycho” (2000) non credo
riuscirà mai, ma negli anni si è specializzato in cambi di fisico e
dimagrimenti che farebbero invidia a chiunque, specialmente dopo le feste di
Natale.
![]() |
Quando quasi rischi la vita per ingrassare per la parte, ma tanto tutti ricordano solo Lady Gaga e Bradley Cooper. |
L’ultima sua trasformazione e ha giurato che questa volta
sarà l’ultima davvero (fino alla prossima) sono stati i chili presi per
diventare un credibile sosia di Russell Crowe Dick Cheney, al resto ci
ha pensato la sceneggiatura e la regia di Adam McKay.
Casa Bianca come stagista nell’amministrazione Nixon, fino alla sua nomina come
vice presidente di George “Dabliù” passando per tutto il periodo come
amministratore delegato della Halliburton, tenendo conto anche della sua
famiglia, a partire dalla moglie Lynne (la sempre molto brava Amy Adams) e le
figlie, quella desiderosa di seguire le orme paterne Liz (Lily Rabe) e quella
omosessuale Mary (Alison Pill), dettaglio che per un Conservatore come lui è
sempre stato un peso per la carriera politica, ma anche una presa di posizione
a livello umano importante.
![]() |
Amy torna pure al tuo colore originale, perché con quella pagoda in testa proprio non ci siamo. |
Quello che emerge, è la storia degli ultimi vent’anni di un
Paese che da sempre smuove tutta la vita nel mondo occidentale, ma non solo,
visto che la smania di guerra costante Yankee ha effetti collaterali su tutto
il pianeta. Raccontare gli eventi del film, sarebbe riassumere tutta l’amministrazione
George “Dabliù” passando per un brutto giorno di settembre con cui Adam McKay
decide non a caso di aprire il film, salvo poi riavvolgere la storia, ma quel
giorno resta importante perché è stato lì che Dick Cheney aveva già capito come
allungare le mani su quel potere a cui ha sempre girato attorno senza esporsi,
restando, appunto, nell’ombra come dice l’utilissimo sottotitoli italiano, senza
la quale non avremmo mai capito la trama del film. Grazie sottotitolo! Si è
notato il noto ironico? Ok, allora vado avanti.
sa, perché nessuno vorrà cercare un sostituto all’altezza, ma Dick Cheney ha
capito che da dietro le quinte si può pilotare meglio specialmente se riesci ad
applicare quel sistema esecutivo unitario che concede alla presidenza di fare
quel cazzo che vogliono, per usare le parole del film.
![]() |
Ho solo tre parole da dire: “America. Fuck. Yeah”. |
“Vice” non risulta mai noioso, perché Adam McKay trova un
modo efficacissimo per raccontare la storia, utilizzando trucchetti
cinematografici che risultano estremamente satirici, finti titoli di coda che
partono a due terzi del film, quando le cose per Dick Cheney (e di conseguenza
per il mondo) potrebbero risolversi a tarallucci e vino, oppure dialoghi chiave
scritti come se fossero drammi Shakespeariani, per sottolinearne l’importanza.
spese, basta dire che nella parte di un cameriere spunta Alfred Molina, così,
perché possiamo permettercelo, però bisogna anche dire che tutti i personaggi
sono davvero somiglianti agli attori che interpretano, uno tra tutti Sam
Rockwell che è un perfetto George W. Bush, anzi quasi impressionante, anche
troppo, con la mia antipatia per “Dabliù” è stata dura vedere Rockwell ogni
volta che entra in scena.
![]() |
Una di quelle volte in cui, essere uguali all’originale non è una cosa buona! |
Tra le facce note anche quella del narratore interpretato da
Jesse Plemons che ha il compito di interpretare il “John Smith” della
situazione, l’uomo comune, quello della strada su cui le decisioni di Cheney
hanno degli effetti, uno in particolare che non vi rivelo molto satirico.
il brio della sua regia e con una sceneggiatura davvero solida, riesce a far
scorrere i 132 minuti del film, come se fossero meno della metà, il che è un
grande pregio. Ma considerando la materia che si è scelto, direi che dopo La grande scommessa, McKay si candida ad ereditare, o per lo meno a portare avanti,
la tradizione di certo cinema politico e un po’ incazzato che fino a qualche
tempo fa, faceva solo Oliver Stone, oh Adamo! Ti ho appena dato dell’Oliviero
Pietra e per me è un gran complimento, quindi vedi di meritartelo.
![]() |
“Cassidy ci ha paragonati a quel comunista di Stone, lo voglio chiuso a Guantánamo entro un’ora”. |
Difetti? Ci gioca lo stesso McKay che per tutto il film
scherza con elementi quasi metacinematografici nella pellicola e nell’ultima
scena fa lo stesso che auto denunciarsi come autore di un film che molti
considereranno eccessivamente liberale, ma l’esposizione dei fatti è molto
aderente alla storia, quindi se il film prende troppo per il culo i Repubblicani
è perché sono stati loro stessi ad esporsi allo sfottò di McKay, anzi, a dirla
tutta, considerando le tante gaffe (chiamiamole così) di “Dabliù” il regista
avrebbe potuto forzare la mano anche più di così se avesse voluto.
Divo” che è ancora il mio film preferito di Sorrentino, anche qui McKay concede
al pubblico, quello che nella realtà non è arrivato mai, un’ideale confessione
da parte del grande burattinaio Dick Cheney, proprio come accadeva per l’Andreotti
del film di Sorrentino.
voce e le movenze del personaggio, riuscendo a tirare fuori i momenti
grottescamente comici (tipo i numerosi infarti) senza risultare una caricatura,
però, se devo dirla tutta, in parecchi momenti mi sono ritrovato a pensare al
Gary Oldman di L’ora più buia che,
però, i tanti chili extra per interpretare Churchill li aveva guadagnati grazie
ad un buon lavoro di trucco, quindi confrontando le due prestazioni, non
riuscivo a non pensare a quella celebre storia di Dustin Hoffman che per
apparire affaticato dopo una corsa sul set di “Il maratoneta” (1976) si mette a
correre attorno ad un tavolo prima del ciak, sotto lo sguardo divertito di
Laurence Olivier che alla domanda di Hoffman su come avrebbe fatto lui a
sembrare stanco per girare la scena, gli ha placidamente risposto: «Io reciterei»
(storia vera).
![]() |
Come passare da “Batman” a “Fatman”. |
Quindi, se volete sapere se Bale vincerà l’Oscar per la sua
prova, io credo di no perché penso che Dick Cheney abbia conoscenza anche
dentro l’Accademy, ma indipendentemente dai premi, “Vice” è un bel film che
riflette su una delle amministrazioni più vergognose della storia degli Stati
Uniti, roba da incazzarsi sul serio, quindi ben vengano i film satirici di Adam
McKay, bravo ragazzo continua così.