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Videodrome (1983): gloria e vita alla nuova carne

Come può un virus diventare virale davvero e raggiungere il maggior numero di persone per esplodere in tutta la sua potenza? Facile, risalendo su lungo il tubo catodico per arrivare dritto ai nostri cervelli! Oggi iniziamo davvero a fare sul serio, bentornati all’appuntamento settimanale con la rubrica… Il mio secondo Canadese preferito!

Scanners è stato il titolo con cui il mondo ha scoperto il potere del cinema di David Cronenberg, il passo successivo non poteva che essere qualcosa di ancora più incisivo e decisivo, il film manifesto di tutto il Cronenberg-pensiero, un capolavoro, forse IL capolavoro del regista nativo di Toronto, una delle più ciniche prese di posizione nei confronti del media dominante: la televisione. Ogni film di Cronenberg resta bellissimo per l’unicità che solo questo regista riesce ad imprimere alle sue pellicole, ma “Videodrome” ha un altro passo, “Videodrome” è un Classido!

Max Renn (la faccia da schiaffi di quel mito di James Woods) è il responsabile del palinsesto di Canale 83, una tv privata che campa trasmettendo film violenti o meglio ancora pornografici. Alla costante ricerca di qualcosa di nuovo per i suoi sempre più vogliosi spettatori, Max s’imbatte in Videodrome, una trasmissione pirata satellitare che trasmette senza sosta video incredibilmente realistici di torture, stupri e violenze assortite, Max vuole scoprire tutto, malgrado le onde elettromagnetiche con cui Videodrome influenza il cervello umano, provocando allucinazioni in cui è impossibile capire cosa è reale e cosa no. Risultato finale: uno dei più grandi film della storia.

I film di David Cronenberg sono strani e provocatori? Potete dirlo forte, ma il mio secondo Canadase è poi davvero un narratore così criptico come un occhio distratto potrebbe pensare? Assolutamente no. La televisione con il suo incessante mostrare violenza influenza il pubblico? Sì, senza ombra di dubbio e Cronenberg in “Videodrome” non fa altro che spingerci costantemente a mettere in dubbio tutto quello che la TV ci propina come reale.

La lettura e la scrittura hanno modificato il modo di comunicare e di pensare dell’uomo, costringendolo ad utilizzare il cervello per interpretare dei segni, la radio prima (pensate ad Orson Welles con i suoi marziani) e la televisione dopo, ci hanno fossilizzati, impigriti fino ad arrivare a percepire come reale solo quello che occhi ed orecchie ci suggerivano.

David, guarda che ci sono gli estremi per la molestia sessuale, io te lo dico.

Negli anni ’80 il mezzo di comunicazione imperante era la televisione, in coppia con la diffusione dei videoregistratori è nato un nuovo linguaggio che ha costretto gli spettatori ad adattarsi, ancora una volta il corpo che si adatta alle flessioni delle mente, proprio come nei film di Cronenberg. La possibilità di fermare, riavvolgere o far ripartire un nastro e di ricevere immagini e informazioni da tutto il mondo nel salotto di casa propria ha provocato un’intossicazione da immagini televisive, in grado di modificare l’umano modo di percepire la realtà.

La prima volta che vediamo Max Renn è attraverso uno schermo televisivo, mentre rilascia un’intervista mostrandosi spavaldo e facendo il cascamorto con la bella Nicki Brand (Debbie Harry, cantante delle Blondie, ennesima dimostrazione che Cronenberg può trasformare in un attore quasi chiunque) e, fateci caso, tutti i personaggi principali del film, Max, Nicki o il prof. Brian O’Blivion ci vengono presentati attraverso lo schermo di una televisione… Diavolo di un Davide!

«Prof. O’Blivion lei cosa ne pensa dei programmi di Barbara D’Urso?»

Alla fine Max è uno come noi, solo che fa colazione la mattina spulciando materiale porno che gli hanno spedito per posta e pucciando gli avanzi di croste di pizza nel caffè latte (eh ma che schifo!), come molti personaggi Cronenberghiani, all’inizio del film è spavaldo, convinto di poter controllare il mondo attorno a lui, almeno fino all’imprevisto che cambia tutta la sua vita, un concetto che Davide Birra ha ereditato dai suoi scrittori preferiti (Kafka e Burroughs) e che verrà applicato con ossessiva costanza a tutti i suoi personaggi, da Max Renn a Seth Brundle giù fino al Ted Pikul di eXistenZ altro film con molti punti in comune con “Videodrome”.

James Woods cerca di farsi lasciare il numero da Debbie Harry per ehm, chiamarla.

Un’altra forte ispirazione per il film è stato il lavoro del sociologo Marshall McLuhan di cui Cronenberg è stato studente ai tempi dell’università, che per stessa ammissione del buon Davide, è stato lo stampo su cui ha forgiato il personaggio del prof. Brian O’Blivion, che con i suoi monologhi televisivi che sanno tanto di profezie apocalittiche, ci fornisce la chiave interpretativa del film, partendo proprio dal nome (che non è mai una scelta a caso per Cronenberg), O’Blivion che sembra un cognome irlandese, ma suona come oblio.

Proprio il dottor ci ricorda che la televisione ormai è l’unico vero occhio dell’uomo, una parte del corpo umano, per questo la televisione è la realtà e la realtà è meno della televisione. Lo studio intensivo di Videodrome ha provocato un tumore nel cervello di O’Blivion, un ammasso di carne che di fatto è un nuovo organo, una mutazione che fa (d)evolvere l’uomo rendendo tutt’uno con la televisione.

«Rick! Mi fai un effetto speciale che faccia capire bene il concetto?»

“Videodrome” è il film manifesto di Cronenberg proprio perché ci costringe, usando le immagini cinematografiche, a mettere in discussione tutto quello che vediamo accadere su uno schermo, che sia quello grande cinematografico o quello piccolo televisivo, attraverso le costanti allucinazioni di Max, Cronenberg costringe il suo pubblico a riflettere sull’ambiguità del vedere, mostrandoci quanto possa essere un pericolo affidarsi sullo alla capacità di guardare. Una pellicola provocatoria, cinica ed eversiva, sempre seguendo quella soffocante continuità tematica che da Il demone sotto la pelle in poi, lo ha sempre spinto a produrre arte per provocare e fare riflettere. Considerando che uno che di arte ci ha sempre capito abbastanza, come Andy Warhol, è arrivato a definire Videodrome come l’Arancia Meccanica degli anni ’80 (storia vera!), direi che l’obbiettivo è stato centrato in pieno.

Proprio la soffocante continuità tematica e la fissa da ossessivo compulsivo cinematografico di Cronenberg, fanno sì che anche i due temi principali del mio secondo Canadese preferito non manchino, sesso e mutazioni ne abbiamo? Venga signora, freschissime, le faccio anche lo sconto!

Anche i titoli di testa mescolano la realtà con la finzione.

La continua esposizione di Max ad immagini di sesso e violenza, amplificate dal segnate di Videodrome lo rendono dipendente, a metà film per lo spettatore è impossibile capire se quello che succede è reale, o solo il frutto di una mente intossicata dalla dipendenza televisiva. Trovo significativo che la ricerca di risposte di Max, lo porti in quello che all’apparenza è un negozio di oculistica, come a sottolineare che il frastornato protagonista, stia ancora cercando di aggrapparsi ai soli occhi per interpretare la realtà. Se Carpenter dava degli occhiali (da sole) al suo John Nada, per regalargli l’illuminazione in Essi Vivono, Cronenberg va ad un livello di cinismo successivo: Videodrome e la televisione ci hanno trasformati tutti in videoregistratori umani, in grado solo di aprirci al segnale televisivo.

«Ehm si carini, hai mai pensato alle lenti a contatto?»

In questo senso, la mutazione del corpo sottolinea la perdita di sicurezza di Max e la sua nuova condizione di ibrido uomo/macchina, la tasca che si apre sulla sua pancia sembra volutamente una vagina in cui inserire il nastro Videodrome, anche se James Woods nella scena ha in mano un Betamax, scelto perché più piccolo e più facile da nascondere all’interno del trucco prostetico creato dal grande Rick Baker.

Il fatto di poter contare su un budget maggiore, permette a Cronenberg di avvalersi di un cast di primo livello e dei servigi di sua maestà Rick Baker che qui, davvero, si supera. Essendo cresciuto registrando film della televisione, ho sempre trovato inquietante la VHS di nastro Videodrome che si gonfia e respira come se fosse un organo malato. Ma qui davvero Baker ha dato il meglio, ci sono alcuni effetti speciali che ancora prendono a schiaffoni in faccia tanta CGI moderna.

«Riavvolgimiiii, ricordati di riavvolgermiiiiii»

La televisione che pulsa e si gonfia vogliosa e Max che letteralmente affonda la faccia nello schermo come se fosse un atto sessuale (la scena più replicata su Blob di SEMPRE! Anche perché Enrico Ghezzi è un Cronenberghiano convinto) è pura arte applicata al cinema, un’immagine talmente iconica da entrare giustamente nel mito.

«Togliti le mutande! Togliti le mutande!» (Cit.)

Ecco il sesso, “Videodrome” lancia messaggi provocatori anche sul rapporto tra l’uomo e le immagini pornografiche, di fronte ad un film porno il corpo ha una reazione, non credo serva che io vi specifichi quale, vero? Siam tutti grandi su, fate i bravi. La provocazione sta nel sottolineare come la televisione, ovvero il mezzo che trasmette le immagini, sia anche quello per raggiungere il piacere, è la tv che eccita prima ancora del suo contenuto, l’apice è la scena in cui Max si ritrova a fare sesso sadomaso con la televisione, prendendola a frustate, in quella che è un’altra delle scene più volutamente sovversive di tutto il film.

It’s not too late, to whip it, whip it good! (Cit.)

Non può esserci vita fuori dalla televisione, per questo Max Renn diventa un profeta mediatico della “Chiesa Catodica” (altre super invenzione di Cronenberg!), ormai parte integrante della televisione stessa, un’unione carnale e fisica tra corpo e macchina ben sottolineata dalla fusione tra la mano di Max e la pistola, puro body horror che sfocia nella fantascienza Cyberpunk e che anticipa di sei anni le mutazioni di “Tetsuo The Iron Man” (1989) di quel matto di Tsukamoto.

Nemmeno Charlton Heston era così attaccato alle sue armi.

Lo dico sempre perché non riesco a trattenermi, ma per quanto mi riguarda James Woods è assolutamente magnifico, lo vorrei vedere in tutti i film, questo, insieme a Vampires di John Carpentercompone la mia personale “Trilogia del Woods”, in cui Giacomo Foresti è l’attore giusto nel ruolo più adatto al mondo. Qui riesce a sfoggiare la sua solita faccia come il culo ad inizio film, per poi sembrare l’Alice più incazzata del mondo, caduta nella tana del bianconiglio più fuori di testa di sempre, nel finale è allucinato, con lo sguardo sballato che ti immagini sulle facce dei protagonisti dei romanzi di HP Lovecraft, quando ormai l’orrore ha preso possesso di loro, “Videodrome” è Il seme della follia, in cui la follia è la nostra società sparata attraverso il tubo catodico.

You can call me any day or night, call me.

Il finale è la giusta conclusione di un’opera allucinatoria, macabra e oltremodo cinica. Max ormai è la video parola che si è fatta carne (“Morte a Videodrome. Gloria e vita alla nuova carne!”), un doppio finale che sembra una doppia finta di corpo che lascia spiazzato lo spettatore, all’inizio Max che irrompe alla sfilata per il lancio della nuova collana di occhiali (ancora lo sguardo) sparando come un matto, sembra quasi una vittoria contro la cospirazione di Videdrome, poi, attraverso la Tv, ancora una volta, Max riceve degli ordini, il suo sacrificio finale è quello che determina la morte di Videodrome, oppure è solo un pazzo maniaco che in preda ad allucinazioni particolarmente complicate si uccide dopo aver fatto una strage?

Best. Mic drop. EVER!

Da spettatori dubitiamo di quello che abbiamo visto, il virus di Cronenberg ha infettato le nostre menti, ora sappiamo che, forse, non dovremmo credere a tutto quello che vediamo in tv, poi non so voi, ma in quei due secondi di schermo nero, che passano tra l’ultimo fotogramma del film e l’inizio dell’opprimente tema suonato con l’organo (organo? Capito, no?) dal solito bravissimo Howard Shore, io resto fermo ipnotizzato, il film è finito? Sta per ricominciare un’altra visione di Max e soprattutto, perché sto fissando uno schermo nero? David Cronenberg sei un demonio, ma se non ci fossi bisognerebbe inventarti!

“Videodrome” è un incubo nero senza nessuna via di uscita, un finale degno di maestri come Romero e Carpenter, di cui Cronenberg dimostra di aver imparato bene la lezione elevandosi lui stesso al gradi di maestro, perché quel finale contiene anche un atto di ribellione, una provocazione artistica che ti costringe a riflettere e rivalutare il proprio personale rapporto con la televisione.

Ne ho visti di finali ben fatti, ma questo è uno dei migliori.

Proprio per questo, anche se ho visto il film non so più quante volte, rivedendolo per questa mia rassegna su Cronenberg mi sono ritrovato a riflettere. Nel frattempo l’umanità ha inventato altri modi per comunicare, ad esempio, i computer, Internet, lo stesso Cronenberg nel 1999 con “eXistenZ”, tornerà a riflettere sul rapporto tra l’uomo e il mondo dei videogiochi e della realtà virtuale.

Ma i tempi sono maturi (o marci, fate voi) abbastanza, per un nuovo Videodrome, un altro film provocatorio in grado di farci riflettere ancora sul nostro rapporto con Internet, qui O’Blivion descrive il suo bizzarro nome, dicendo che in futuro avremmo tutti dei nomi per il tubo catodico, quasi ad anticipare i nickname di Internet.

«Si un attimo, controllo solo le notifiche su Facebook»

I social network hanno dato vita ad un altro organo tumorale nel nostro cervello? Siamo tutti uomini ibridi che si eccitano, si innamorano e vivono una vita vera (o presunta) sul web? Che sia una tv con tubo catodico o un modem per la fibra ottica sempre di Videodrome si tratta, in attesa che qualche filmaker raccolga il testimone di Cronenberg e lo aggiorni ai nostri incasinati tempi moderni, la grandezza di questo film si vede anche da questo, il suo essere ancora sinistramente attuale, anche se il VHS è passato di moda.

Che la lezione di David Cronenberg non venga mai dimenticata, non dobbiamo credere a tutto quello che vediamo su uno schermo, riflettiamo. Morte a Videodrome. Gloria e vita alla nuova carne! Intanto, non perdetevi la locandina d’epoca dalla pagine di IPMP.

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