Devo ringraziare di cuore l’organizzazione della Echogroup, che attraverso una collaborazione con la I Wonder Pictures, sta distribuendo in uno strambo Paese a forma di scarpa questo “Vincent doit mourir”. Infatti qualche sera fa ho potuto prendere parte all’anteprima di questo film, in sala dal 30 Maggio, ma visto che ho potuto fare da avanguardia (grazie ancora!), ne scrivo più che volentieri qui sulla Bara, anche se non ho ben capito il giro che sta facendo questo titolo.
Presentato all’ultimo Torino Film Festival, il film d’esordio di Stéphan Castang parte da una premessa semplicissima, una di quelle che anche io posso riassumere con poche parole e che allo stesso tempo riescono a “vendere” la trama a chiunque.
Pensate un po’? Il protagonista del film si chiama Vincent, lo avreste mai detto? Nella prima scena sta già facendo delle gaffe, che passano in secondo piano mentre un collega gli sta raccontando un sogno, importante ai fini dello sviluppo ma roba normale in questo ufficio di Lione, dove il nostro titolare di pellicola lavora come grafico, quando di colpo e senza motivazioni, viene aggredito da uno stagista, evidentemente sotto pagato aggiungo io. Episodio assurdo e senza spiegazioni, che potrebbe essere una storia tutta matta da raccontare agli amici, se non fosse che il giorno dopo Vincent viene nuovamente aggredito, pugnalato alla mano da un altro collega, quindi la domanda è lecita: Vincent lavora nel mio stesso ufficio? No perché la cordialità dei suoi colleghi mi ricorda qualcosa.
Da qui in poi gli eventi nella vita di Vincent vanno di male in peggio, gli attacchi continuano, anche da parte di estranei, non armati di cucchiaio purtroppo, ma di ogni estrazione sociale, età, sesso, religione e probabilmente fede calcistica, uniti in un solo comune intento, menare Vincent nemmeno fosse che so… Mario.
Iniziamo dall’elefante al centro della stanza, anche Romero aveva scritto una storiella, in linea di massima famosina, in cui la sua metaforica minaccia si scatenava senza alcuna spiegazione, se siete amanti delle trama cartesiane, quelle dove vi viene illustrato e spiegato TUTTO, ecco lasciate perdere, il regista Stéphan Castang crea una bella atmosfera plumbea in cui non solo gli altri sono l’inferno – nel vero senso della citazione – ma dove la sensazione di disastro è imminente, se non già avvenuto, anche se Dumbo qui, si riassume più che altro nel materiale promozionale che mi è stato consegnato, dove si parlava ovviamente di Romero e di beh, anche John Carpenter. Vado ad illustrare.
l’elemento veramente Carpenteriano di questo film? Lo sceneggiatore Mathieu Naert, uno di noi, perché ha genuinamente ammesso che senza Carpenter, non si sarebbe mai interessato al cinema (storia vera), quindi per certi versi ha reagisto sfornando un titolo a sua volta paragonato a Carpenter, una sorta di It follow con target decisamnete meno adolescenziale.
Non avete anche voi l’impressione che le persone siano sempre più incazzate? Ve lo dico io sì, da sempre, è la razza umana bellezza e tu non ci puoi fare niente (quasi-cit.), ma in epoca recente vi sentite di indicare un momento in cui l’incazzatura generale nell’aria si è diffusa, esplodendo come beh, una pandemia? Ecco bravi, avete centrato il punto, perché proprio di questo parla il METAFORONE di “Vincent deve morire”.
Stéphan Castang con questa storia avrebbe potuto giocarsela facile, puntando tutto su aggressioni sempre più grafiche e violente, invece preferisce creare un senso di minaccia molto riuscito, tutto sulle spalle di quel povero Cristo di Karim Leklou, il protagonista che sembra trovare un po’ di sollievo dal suo temere schiaffoni volanti da ogni sconosciuto per strada, in una cameriera di Fast Food di nome Margaux (Vimala Pons), personaggio ben recitato ma forse un po’ troppo abbozzato nel suo sviluppo, anche se oh! Avercene di film d’esordio in grado di caricarsi sulla spalle il metaforone di questa manciata d’anni post pandemici, per cercare di trasformare quella palpabile rabbia nell’aria in materiale cinematografico.
Difetti? Una certa sensazione, oltre che di minaccia, di titolo da film festival, non a caso è passato anche da Cannes, quindi Romero e Carpenter ci sono, ma più nello spirito che nella “ciccia” da mordere, perché un certo senso di incompiutezza rimane, anche se devo dire che la capacità del film di cogliere una sensazione così effimera, eppure allo stesso tempo radicata nella nostra società (e nella natura umana), me lo ha reso una visione molto interessante.
Perché proprio come il protagonista, pesto, livido e senza uno straccio di risposta, ci ritroviamo a guardare sul grande schermo un mondo che conosciamo fin troppo bene, perché ehi, ci viviamo. Quindi la prossima volta che qualcuno vi manderà a quel Paese (il Lussemburgo?) per strada senza troppe motivazioni, capirlo Vincent non sarà poi tanto difficile.
Per il resto, io apprezzo sempre chi manifesta il suo amore per John Carpenter come ha fatto qui lo sceneggiatore Mathieu “Uno di noi” Naert, ma non aspettatevi scazzottate di più di cinque minuti in un vicolo, in ogni caso, se pensate che questa storia possa fare per voi, dal 30 maggio corrente anno, la troverete anche nelle nostrane sale, nel caso sapete cosa fare, oppure, nel caso aveste bisogno di una seconda opinione, passate a trovare Genius.
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