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Vite vendute (2024): le salaire del vaffancu’ (capolavori svenduti)

Ormai dovreste averlo intuito che ad un classico come Vite vendute, anche noto come “Il salario della paura” io ci tengo parecchio, il romanzo di Georges Arnaud è stato adattato prima da Henri-Georges Clouzot, risultato? Senza mezzi termini un capolavoro che nel mio piccolo, ho sempre provato a consigliare a chiunque. Roba che in coda all’Esselunga chiedo alla gente: «Signora lei lo ha visto vite vendute di Henri-Georges Clouzot?», una roba del genere, ma con più follia nel cuore.

Il secondo adattamento del romanzo di Arnaud per certi versi, lo sento ancora più vicino visto che è stato diretto da uno dei miei prediletti, William Friedkin che nel 1977 con Sorcerer ha firmato l’ennesimo capolavoro ignorato della sua filmografia, un flop sanguinoso e immeritato per un film bello tanto quanto quello di Clouzot e capace allo stesso modo di farti un nodo alle budella. Doppio e con il fiocco. Se per caso non foste ancora convinti, vi ricordo anche l’episodio dei Tre Caballeros dedicato ad entrambi questi filmoni.

Era necessario un terzo adattamento? Passo indietro, ci sarebbe stato un terzo adattamento senza i primi due? A mio avviso no per entrambe le risposte, ma i film vengono messi in produzione per i motivi più disparati, specialmente in casi come questo, anche per la loro pregressa fama, ed io in quanto Carpenteriano e Cronenberghiano, non solo non chiuderò mai la porta in faccia a prescindere ad un film, tanto meno ad una nuova versione di un classico, anche se va detto, Clouzot, Friedkin, Carpenter e Cronenberg, ho già scomodato fin troppi giganti per una robetta che di “Vite vendute” ha solo il titolo, non di certo la portata.

Tutti questi grandi nomi nella premessa, e poi arriva ‘sta banda di fessi super armati.

Si può raccontare nuovamente la trama firmata in originale da Georges Arnaud in chiave Action? Tecnicamente “Il salario della paura” è tante cose, dramma, film d’azione, film di paura, all’limite dell’horror per capacità di angosciare, quindi avrebbe anche un certo senso, ma quello che proprio non puoi fare è rifare “Vite vendute” senza l’enfasi, bene Julien Leclercq è riuscito in questa non proprio monumentale impresa.

Lati positivi? Pochi, la trama si sposta dall’America del Sud ad un altro non-luogo, un generico Medio Oriente, tra OMS impegnate a portare aiuti umanitari e bande di predoni locali intenti a sparare a caso su chiunque passi loro a tiro, in pratica i Sabipodi di “Guerre Stellari”. Già qui le motivazioni diventano ballerine, perché il personaggio della dottoressa Ana Girardot non è propriamente una “vita venduta” visto che è volontaria nell’associazione umanitaria, così come il suo compare di colore, qui caratterizzato magnificamente: avete presente il cliché dei neri nei film dell’orrore? Ecco, lui è qui per mantenere in voga questa pigra abitudine di sceneggiatura.

Clouzot quasi non ci raccontava il passato dei suoi personaggi, lo faceva trasparire soffermandosi sulla loro vita, sospesa in un non luogo costruito attorno ai pozzi, Friedkin invece si prendeva il suo tempo per dirigere cinque film in uno, quattro dei quali dei micidiali flashback sul passato dei suoi protagonisti, riuscitissimi per spiegare al pubblico come mai fossero diventati gli ultimi degli ultimi, vite vendute al servizio di una compagnia petrolifera senza cuore ma con molto capitale. Julien Leclercq e i suoi sceneggiatori qui non possono essere da meno, quindi almeno un flashback devono giocarselo e per amore di semplificazione, la sequenza coinvolge due fratelli, che poi sarebbero il cuore (non tanto emotivo) del film.

F4, Basito (che poi è il riassunto di tutta questa operazione)

Il pelato Franck Gastambide è una guardia del corpo all’ultimo giorno prima di cambiare vita, gli fanno fuori il cliente quindi per non restare senza buona uscita, coinvolge suo fratello (interpretato da Alban Lenoir) esperto di esplosivi, l’unico che può aprire la cassaforte al centro di un colpo che il regista, non ci mostra, mette su tutto questo antefatto per poi staccare sui due fratelli, in fuga in Medio Oriente. Il capoccione si prende cura di cognata e nipote, anche se con il fratello non parla più anche perché quello è impegnato in “Pit fight” organizzati dalle guardie, che servono sostanzialmente a Leclercq per dare un’idea d’azione al suo film, metti un po’ di guardia del corpo lì, butta dentro un po’ di “Pit Fight” là e dovrebbe valere l’azione percepita, anche se le coreografie sono abbastanza minimali e gli attori, lentissimi nell’eseguirle.

Normalmente là fuori su “Infernet”, esiste un’unica unità di misura per il talento degli attori, la famigerata “Espressività” che badate bene, non è la capacità di essere espressivi, no no, troppo facile, ma è il numero di facce e faccette che un attore sa recitare, su questo principio Jim Carrey sarebbe Marlon Brando, ma vallo a spiegare a chi si barrica dietro lo stendardo dell’espressività come unico metro di giudizio. Ecco io d’ora in poi, a tutti quei gonzi che danno a Nicolas Cage dell’inespressivo (li mortacci vostri) lancerò addosso Franck Gastambide. Ci sta che un eroe d’azione sia calmo e quieto come un piccolo Fonzie, ma vacca miseria schifa! Qualcuno lo ha avvisato che questo sarebbe “Vite vendute”? Il suo piano va male? Monoespressione. Deve fuggire in Medio Oriente portandosi via la famiglia del fratello? Monoespressione. Il rapporto con il suddetto va a sud? Monoespressione. Esplode un pozzo di petrolio minacciando la baraccopoli organizzata in cui vive? Monoespressione. Potrei davvero riassumere tutta questa disastrosa operazione così: una trama che vive e muore sull’enfasi e il coinvolgimento e invece? Monoespressione.

Ti sparano addosso? Monoespressione. Rispondi al fuoco? Monoespressione.

Tutta la critica sociale, anche al capitalismo, qui si riduce ad una Weyland-Yutani cattiva sì ma da operetta, una missione tipo pubblicità della Vecchia Romagna in cui per spegnere l’incendio nel pozzo petrolifero e salvare la minacciata cittadina costruita attorno ad esso, bisogna recuperare della nitroglicerina, fare 800 chilometri su due camion (per altro ultra tecnologici) e gettarla dentro come Frodo avrebbe fatto con l’anello nel Monte Fato. Se ve lo state chiedendo, no, non si può trasportare usando le aquile, lo spiegano anche nel film che è una fetecchia ma almeno si mette al sicuro dagli spettatori armati di temperamatite per fare la punta al ca… ndellotto di dinamite.

Hai semplificato tutto? Hai semplificato anche la sinossi, già semplificata della storia? Il tuo intento è solo quello di fare un film d’azione? Nobilissimo, non criticherò mai questo spirito, però almeno che sia coinvolgente, non una serie di scenette tragicomiche, in cui bisogna superare posti di blocco da barzelletta, in cui i cecchini appostati aspettano che i dialoghi tra fratelli siano terminati prima di fare fuoco, quando potrebbero sparargli subito e liberare anche noi spettatori dal tedio e dove soprattutto, i protagonisti sono più armati dei G.I.Joe.

«Ti ho detto che non potevamo farla trasportare alle aquile, smettila di chiederlo»

Un elemento chiave di “Vite vendute”, mi riferisco ad entrambe le precedenti incarnazioni, consisteva in una tecnologia inadatta ad un lavoro così pericoloso, due camion scassati, una missione in cui portare a casa la pelle è quasi impossibile in cambio di una pallida speranza di futuro, qui? Quando il cecchino spara addosso ai protagonisti, loro, dall’alto del loro antiproiettile aderentissimo per farli risultare tutti fisicati e stilosi, gli rispondono tirandogli addosso colpi di lancia granate, bombe, ci manca solo abbiano anche un’atomica sul retro dei loro camion, anzi, a giudicare dall’utilizzo spregiudicato che fanno della nitroglicerina nel corso di tutto il film (ci manca solo che la spalmino sul pane come facciamo noi con la marmellata la mattina), il senso di tensione, enfasi, costante pericoloso che è la base, letteralmente la base di “Vite vendute” qui manca completamente, in favore di momenti Action scemi e più piatti della media di qualunque DTV con Steven Seagal.

Su quanto poi ogni elemento del film, ogni scena risulti stupida e senza senso, sia in confronto con i due adattamenti precedenti (a cui Julien Leclercq in certi momenti compie il madornale errore di occhieggiare), non voglio nemmeno entrarci, se non avessi mai visto i film di Clouzot e Friedkin questo sarebbe un action bruttarello, recitato male, pieno di trovate idioti, piatto come il mio tracciato, quello di uno che ha perso la voglia di vivere guardando ‘sta roba, per di più basato su una premessa identica a quella di “Missione eroica – I pompieri 2” (1987) ma senza le facce note del nostro cinema comico, ma solo con la monoespressione di quel cagnaccio maledetto di Franck Gastambide.

Quando capisci che è troppo tardi per smettere di guardare questa roba senza bestemmiare.

Cosa salvo di questo disastro? Nulla, forse solo le musiche di Éric Serra, il compositore preferito di Luc Besson che qui esagera, sporca anche il foglio, ci mette tutta l’enfasi che manca a Gastambide e al suo regista e firma una colonna sonora anche sbagliata associata ad immagini tanto piatte, che un film così di cacca alla quale essere associata, non se lo merita nemmeno, un po’ come nessuno di noi si sarebbe meritato questa versione, le vere vite vendute sono quelle di noi spettatori.

Ve lo dico fuori dai denti? Ignorate questa porcheria, piuttosto anche se non comodamente reperibile su Netflix, cercatevi il film di Henri-Georges Clouzot del 1953, andate a recuperarvi la versione del 1977 di William Friedkin (uscita da poco in home video anche qui da noi), battete la pigrizia, sventolate il dito medio in faccia alla comodità di Netflix e ad operazioni ridicole come questa, voi vi meritate di gustarvi le versioni giuste della storia, non ‘sta schifezza.

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