Home » Recensioni » Voglia di vincere (1985): pettinati la faccia è ora di andare a vincere

Voglia di vincere (1985): pettinati la faccia è ora di andare a vincere

Anche quest’anno torna un’iniziativa che mi piace
moltissimo, il Geekoni Film Festival. La risposta della Geek League al più noto
Giffoni. Un omaggio al cinema per ragazzi fatto alla nostra maniera, infatti in
pieno stile Bara Volante ho scelto un titolo a cui voglio molto bene.

Immagino abbiate tutti attraversato quella guerra meglio
nota come adolescenza, un periodo in cui il tuo corpo cambia, si trasforma
riempiendosi di peli, una roba da Body Horror in cui a mutazione completata, ti
ritrovi con una voce differente da prima e in cui di conseguenza, non sei
sicuro di niente, nemmeno di un corpo che cambia come in un pezzo
di Piero Pelù.

Da parte mia posso aggiungere al dramma mutante dei
quattordici o quindici anni anche un’insana passione per la pallacanestro, una
febbre che proprio in quel periodo della mia vita, mi ha colpito in pieno per
non abbandonarmi davvero mai. Sfiga! Prima di trovare un allenatore capace, uno
che sapesse parlare ai ragazzi (e ci capisse qualcosa di pallacanestro), mi
sono ritrovato a giocare per dei cagnacci che a confronto il Michael J. Fox di
questo film era un chiwawa da borsetta.

Avrei fatto carte false per giocare nella sua squadra.

Quindi ho imparato sulla mia pelle cosa vuol dire ritrovarsi
in una squadra ben più che modesta, allenati poco e male da qualcuno che non
aveva la minima fiducia dei suoi giocatori, ma ancora meno nel
sottoscritto. Risultato, molte partite le passavo in panchina perché bisognava dare spazio a qualche altro
giocatore, non per forza più bravo (anzi), ma semplicemente più in vista o più
popolare.

Avevo tanta voglia di vincere e nessuna possibilità di esprimerla,
un lupo in gabbia che non si meritava nemmeno un numero di maglia, visto che a
me avevano rifilato una divisa diversa dai miei compagni, che dovevo indossare
girata al contrario, per evitare di avere lo stesso numero di un mio compagno
(storia vera). Sul referto ero il numero zero e così mi sentivo, uno zero come
i minuti giocati, avrei potuto credere di esserlo davvero ma per testardaggine
e pura voglia, mi sono allenato ed allenato, un modo per trasformare quella
frustrazione e rabbia repressa in qualcosa di positivo. Non era più nemmeno una
questione legata alla pallacanestro, si trattava di dimostrare che il mio allenatore di
sbagliava (spoiler: oh se si sbagliava!). Pochi altri eventi nella vita mi hanno formato il carattere allo
stesso modo, ho imparato a dare il meglio sempre e non mollare, nel corso degli
anni ho avuto alterne fortune con gli allenatori, ma le cose sono andate meglio
e la lezione mi è tornata buona anche fuori dai 28 metri per 15 di un campo da
Basket.

Frasi motivazionali e dove trovarle.

Ecco perché io “Teen Wolf” non l’ho visto, l’ho vissuto come
diceva Er Piotta, il suo titolo italiano completamente storpiato dalla nostra
creativa distribuzione, per quello che mi riguarda è il migliore possibile.
Perché parliamoci chiaro, “Voglia di vincere” è un’adorabile cazzata che ha ben
poco a che spartire sia con la pallacanestro che con i film di licantropia ai
quali si ispira, in particolare al classico “I Was a Teenage Werewolf” (1957)
di Gene Fowler Jr.

“Teen Wolf” è nato sull’onda lunga di quell’incredibile
annata licantropa che è stato il 1981, inaugurata da “Wolfen” e continuata con
due capolavori come L’ululato di Joe Dante e Un Lupo mannaro americano a Londra di John Landis. Ma negli anni immediatamente successivi Hollywood
aveva riscoperto i licantropi e i titoli non sono mancati, anzi qualcuno spero
di portarlo sulla Bara Volante, visto che quest’anno ho trattato proprio il
filone lupesco. “Teen Wolf” è stata la risposta adolescente a quella moda
impegnata ad ululare alla luna, un film che mescolava classiche dinamiche da
film per ragazzi, alla metafora sportiva (e mannara) per un film velocissimo,
girato in soli 21 giorni con protagonista un divo del piccolo schermo come
Michael J. Wolf Fox.

La volpe e il lupo, anzi qui la volpe è il lupo!

Il nostro Michael si era intravisto (molto più paffuto) in Classe 1984 ma il successo vero lo ha
ottenuto interpretando il conservatore più famoso della televisione, il
personaggio di Alex nella sit-com “Casa Keaton”, su cui stava ancora lavorando
quando trovò 21 giorni per entrare nei panni del protagonista di questo film,
anche se la storia la conoscete, scelto per sostituire il ben poco adatto Eric
Stoltz, il buon Michael di giorno girava “Casa Keaton” e di notte scappava sul
set di Robert Zemeckis per… ritornare al futuro.

Questo spiega come mai, il personaggio di Fox in “Teen Wolf”
chiamato Scott Howard, qui da noi ha cambiato nome in Marty Howard, un becero trucchetto per sfruttare il successo di Ritorno al futuro, girato dopo ma in uno strambo Paese a forma di scarpa, uscito prima
di “Voglia di vincere” (storia vera).

Il film di Rod Daniel inizia sul campo da basket, dove Scott
Marty sudato come se fosse uscito dalla piscina è impegnato a tirare un tiro
libero, per altro male visto che lo fa saltando. Mettiamola così, abbiamo visto qualche Michael ben più forte di J. Fox esprimersi in questo giochino con la palla a
spicchi.

Ho visto solo Giannis Antetokounmpo sudare e soffrire allo stesso modo dalla linea della carità.

La squadra locale sta portando a casa una pettinata
clamorosa, il moto d’orgoglio di Marty lo spinge ad uno sguardo “ringhiante”
nei confronti del suo difensore e poi un ultimo tiro della speranza, eseguito
facendo per altro passi di partenza e per di più mandato un metro dal ferro. I
Beavers mordono un’altra volta la polvere.

Tra un Coach di origini messicane decisamente scazzato e un
pelo sul petto esageratamente lungo (brutto affare la pubertà) il film ci
presenta i coloriti personaggi che riempiono la vita del protagonista, come il
suo amicone Rupert “Stiles” Stilinski (Jerry Levine), uno sballone a
metà tra il simpatico e l’insopportabile che non disdegna battute sugli
omosessuali come solo nei film degli anni ’80 si poteva fare, roba che oggi ti
inseguirebbero con torce e forconi (giustamente) per molto meno. L’unica battutaccia ripetibile è lo scambio con Marty al momento del suo particolare “Coming out”:
«Sei finocchio?», «No sono un lupo mannaro».

Ora ho capito perché nelle nostre scuole gli armadietti non ci sono mai stati.

Decisamente il nostro Marty-non-McFly non è gay, la sua
migliore amica Lisa “Boof” Marconi (Susan Ursitti) se lo farebbe
volentieri con tutte le scarpe (da basket), ma il ragazzo, forse spinto dalla
voglia… non per forza di vincere, punta in alto, alla bionda Pamela Wells
(Lorie Griffin), classico caso di ragazza popolare che guarda tutti come materia
uscita dal posteriore di un cane rimasto attaccata sotto la suola delle sue
scarpe costose, interpretata da un classico caso di “Cagna maledetta” (cit.),
che spiegherebbe l’infatuazione di Marty, forse dovuta a canidi motivi.

Sta di fatto che la questione ormonale ha il suo peso in
“Teen Wolf”, ad una festa Marty e Boof finiscono a limonare duro in un armadio,
come alle feste delle medie di Elio e le storie tese, ma questo non basta a far
capire l’antifona a Marty, che vorrebbe di più e non si rende conto di quello
che già lo attende, a portata di mano. Però comodi noi a giudicarlo dall’alto
dei nostri ‘enta e qualcosa, la favoletta morale di “Voglia di vincere” è naif
quanto volete ma tutto sommato tanti di noi sono stati dei piccoli Marty.

Anche se Michael J. Fox aveva già 24 anni quando ha girato il film (storia vera), grandino per il liceo.

“Voglia di vincere” è basato sul tacito accordo tra
narratori e pubblico, tutti sappiamo che il punto d’arrivo sarà Marty
trasformato in lupo mannaro, ma per arrivarci il film si gioca tutti i momenti
comici possibili immaginabili, legati all’annunciata e inevitabile
trasformazione, parliamo quindi della mia scena preferita in assoluto del film,
la gag del fusto di birra da comprare, senza i documenti che certificano la
maggiore età.

Stiles ci prova con tutto lo “Swag” (concedetemi un
giovanilismo, è il Geekoni d’altra parte no?) di cui è capace ma l’arcigno
proprietario del negozio, lo rimbalza con perdite, molto più impenetrabile delle
difese per i Beavers. Quanto tocca a Marty gli basta ripetere: «Dammi. Un
fusto. Di birra» con gli occhi rossi, la voce da cantante Death Metal e il lupo
mannaro sottopelle, per regalarci la scena di culto che ogni tanto ho citato
(volontariamente o meno) al più di un bancone ordinando da bere (storia vera).
Questo vi dice molto dei miei problemi, non tanto di alcool, quanto di cinefilia.

Una delle mie “citazioni involontarie” preferite di sempre.

Anche se la scena madre del film resta appunto la
trasformazione, ho rivisto il film con la Wing-woman che non lo conosceva ma
che un film con Michael J. Fox lo guarda sempre volentieri, anche perché “Ritorno al futuro” lo rivediamo tipo sei volte l’anno, non scherzo. Ho fatto
l’esperimento dicendole solo il titolo italiano del film e mi sono goduto la
sua reazione, ben più autentica di quella di qualunque spettatore nel 1985,
perché con tutto quello scherzare sugli ormoni degli adolescenti, Marty che si chiude
in bagno e il padre che bussa per convincerlo ad aprire, sembra l’ennesima gag
con doppi sensi un po’ cretina, ma di fatto diventa di colpo un momento di
“Body horror” per ragazzi che mette in chiaro tutto il senso del film.

Gli effetti speciali orgogliosamente analogici, strizzano
l’occhio nel loro piccolo ai trucchi di Rob Bottin e Rick Baker, ma la
licantropia nel film viene utilizzata come METAFORONE sull’adolescenza, un
periodo che come detto, ti cambia il corpo, la voce e la quantità di peli addosso.
“Teen Wolf” per certi versi è stato per quelli della mia generazione qualcosa
di paragonabile a Big Mouth, meno esplicito ma non per questo meno diretto nel suo parlare
di mostri degli ormoni, il tutto però filtrato da una sensibilità da film degli anni ’80, un
romanzo di formazione di un ragazzo che scopre di essere l’ultimo discendente
di una famiglia di lupi mannari.

“I’m going through changes” (cit.)

A spiegarglielo è il padre interpretato da James Hampton, a
mani basse il miglior giocatore di basket di questo film, si vede dai due
palleggi in cui si esibisce contro il figlio. Papà Howard spiega al ragazzo che
la licantropia ogni tanto salta una generazione (… come la calvizie!), ma Marty
non è stato fortunato e ora dovrà passare quello che ha passato suo padre a
scuola, un conto ancora aperto con il preside della scuola di Marty che non può
sopportare licantropi nel suo istituto, proprio per via dei trascorsi con
Howard.

“No figliolo, noi non avremo mai problemi di calvizie”

Ma Marty ha l’arroganza della gioventù e un potere metafora
dei suoi ormoni impazziti, papà Howard cerca di spiegargli che da un grande
potere derivano grandi responsabilità ma ovviamente il figlio avrà poca voglia
di ascoltarlo, almeno inizialmente. Se per caso, il discorsetto paterno vi ricorda il mantra di Spider-Man,
tranquilli non si tratta di un plagio ma di deformazione professionale, infatti
uno dei due sceneggiatori di “Voglia di vincere”, qui accreditato come Joseph
Loeb III di fatto è proprio il mitico Jeff Loeb, tra i consulenti per Commando,
ma anche per “Smallville” e “Heros” sul piccolo schermo. Ma soprattutto Loeb ha
scritto un’infinità di fumetti per la Distinta Concorrenza e soprattutto per la
Marvel, celebre il suo ciclo di storie di Hulk ma anche i suoi racconti
a tema colorato: “Spider-Man: Blue”, “Daredevil: Yellow” e “Hulk: Gray”.
Insomma uno che se utilizza la frase simbolo di Peter Parker, sa di che parla.

“Passaggio a destra… Mai fidarsi di un mannaro!” (quasi-cit.)

Marty finirà per utilizzare il potere del lupo mannaro con
ben poca responsabilità, più che altro per divertirsi, pomiciare con Pamela e
guadagnare popolarità a scuola, trasformandosi in lupo nel bel mezzo di una
partita per vincerla praticamente da solo, in quella che a livello di
credibilità, è la seconda peggior scena di pallacanestro mai vista al cinema,
divertente quanto volete ma leggermente irrealistica per numero di possessi e
azioni. So che ve lo state chiedendo, il primato di partita più lisergica mai
vista al cinema resta Rovignano, portata in trionfo contro Cantù dal
molleggiato Adriano Celentano in “Il bisbetico domato” (1980), se chiedete a
me, capolavoro psichedelico, roba che David Lynch levati, ma levati proprio!

E gli Harlem Globetrotters… MUTI!

Per tornare al nostro Marty invece, un momento diventato
mitico per tutti noi (ex) ragazzi degli anni ’80 e ’90, resta sicuramente la
scena del surf sul tetto del camion, una roba pericolosissima che avremmo
voluto fare tutti, se solo avessimo avuto un camion e la faccia pelosa
tosta di Marty nel film.

Ma la lezioncina di un film in cui l’unica novità è
rappresentata proprio dalla metaforica trasformazione, resta quella che è
meglio vincere con le proprie forze e non con trucchi, oppure che è meglio
innamorarsi di una brava ragazza piuttosto che di una stronza che se la tira, o
magari che bisogna accettare se stessi trovando la forza nelle cose che contano
per dav… vabbè mi sto annoiando persino a scriverlo, il messaggio di “Voglia di
vincere” è chiarissimo: puoi stravincere da lupo (non Alberto), giocando da solo come il
LeBron James della situazione, oppure puoi vincere da uomo, sudando e faticando
ma uscendo dal campo con la schiena dritta e la testa alta.

Infatti poeticamente Marty vince così, da uomo, perfetta
dimostrazione che il tipo di persona (non licantropo) che sei sul campo da
basket, lo sarai anche nella vita. La voglia di vincere di Marty è la stessa
tipologia di favoletta che ci avevano già raccontato per Daniel-San, il romanzo di formazione con morale finale che
poeticamente si conclude come il film era iniziato, ovvero con Marty che tira
il tiro libero per la vittoria, sempre nel modo sbagliato ovvero saltando sul
posto, però questa volta mandandolo a segno, in quello che di fatto è il sogno
eroico (non erotico… o magari si) di qualunque ragazzino, non per forza
appassionato di pallacanestro, anche se quello aiuta.

Ha imparato tante lezioni di vita, ma non a tirare i tiri liberi senza saltare.

Se volessimo fare un minimo di filologia riguardo al genere
licantropo, il film di Rod Daniel rovescia,utilizzando come leva le dinamiche del romanzo
di formazione e del film per ragazzi, la figura storicamente perdente del lupo
mannaro, uno che come sosteneva John Landis, è un perdente nato impossibilitato a vincere, per via della
maledizione che si porta dietro. Ma parliamoci chiaro, questo è un filmetto
tanto scemo quanto onesto, in cui la sospensione dell’incredulità sta a livelli
altissimi: quando Marty si trasforma durante la partita nessuno scappa urlando
e tutti lo eleggono a “meglio fico der bigonzo”, come se la licantropia fosse
la cosa più normale del mondo, ma negli anni ’80 ci accontentavamo di poco, un
esempio?

“Che vuoi farci siamo fatti così, basta un trailer dei Ghostbusters ad abbindolarci”

Ho un sacco di aneddoti personali legati a questo filmetto,
a parte l’inevitabile immedesimazione con il protagonista, mi piace ricordare
quel compagno di classe alle elementari, che galvanizzato dal film visto la
sera prima in televisione, si era convinto che restando svegli la notte e
fissare la luna, anche noi avremmo potuto risvegliarci lupi mannari come
Michael J. Fox, non ho idea di che fine abbia fatto quel ragazzo, ma mi piace
immaginarlo da qualche parte da ululare alla luna. Ve l’ho detto che bastava
poco per farci contenti no?

Lo stesso Michael J. Fox non ha mai avuto una gran
considerazione di questo film, non solo perché non sopportava le ore al trucco
necessarie per diventare lupo sullo schermo, ma soprattutto perché aspirava a
qualcosa di meglio, che sarebbe arrivato di lì a pochissimo grazie a Robert
Zemeckis. Quindi anche per Fox, il titolo “Voglia di vincere”, resta quello giusto
per uno che è diventato un’icona del cinema in una manciata di mesi negli
anni ’80.

Potrai essere figo, ma mai quanto un lupo mannaro con gli occhiali da sole.

Per il seguito invece, Michael J. Fox non ha voluto saperne
di tornare a sottoporsi a tutte quelle ore di trucco, ecco perché è stato
sostituito dal cugino del suo personaggio, interpretato da Jason Bateman alle
prese con il pugilato e la licantropia in “Voglia di vincere 2” (1987), ma
questa è un’altra storia.

Ma la verità è che come Marty-non-McFly ho fatto pace con il
lupo dentro di me, questo film sarà piccolo e scemotto, dimenticato dalle nuove
generazione, un apostrofo peloso tra le parole “Ritorno” e “al futuro”. Oggi
viene ricordato più che altro per aver vagamente ispirato un telefilm con lo
stesso titolo (“Teen Wolf” non “Voglia di vincere”), ma quel ragazzino
incazzato con tanta voglia di vincere non l’ho mai scordato, oggi che sono più
in linea per diventare papà Howard più che Marty, ancora quando sono alla fine
di un post particolarmente complicato da scrivere, quando finalmente riesco a
domarlo a colpi di tastiera indirizzandolo verso la sua naturale conclusione,
mi sparo in cuffia Win in the end di Mark Safan, direttamente dalla colonna
sonora di questo film (storia vera), pezzo che per altro, ancora oggi spesso mi canticchio
da solo, anche se non hai mai fatto surf sul tetto di un camion.

Surfin´ U.S.A. B.U.S.

Insomma, non poteva esserci occasione migliore del Geekoni
Film Festival per rendere omaggio ad uno dei miei titoli giovanili preferito di sempre, per qualche altro film della stessa tipologia,
qui sotto trovare il resto della Geek League impegnata a snocciolarvi tutti i
titoli che volete, passate a leggervi tutti!

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

I Tre Caballeros – Ep. 95 – I diabolici

Per festeggiare i settant’anni di una pietra miliare, questa settimana i Tre Caballeros sono stati diabolici, abbiamo deciso di dedicare un’intera puntata a “I Diabolici” di Henri-Georges Clouzot. Come al [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing