Come promesso, torna la rubrica dedicata ad Oliver Stone con l’ultima tornata di titoli, una tirata per completare l’opera che ricomincia in un luogo dove il nostro era già stato, la capitale americana della finanza, bentornati a… Like a Stone!
Tra tutti i seguiti di film di culto degli anni ’80, quello di oggi penso sia uno dei meno citati, per “Wall Street – Money Never Sleeps” nessuno si è sbattuto a coniare termini come “Legacy sequel”, forse perché erano tutti impegnati a capire le varie svolte delle trame, tutte molto legate ai tecnicismi dell’alta finanza o forse, semplicemente perché Wall Street non ha legami con la cultura Nerd, quindi alla sua uscita nel 2010 è stato accolto con meno ansie, sulle sue spalle “solo” quella di essere il primo seguito diretto da Stone, per di più di un film che ha creato un’icona cinematografica come quella di Gordon Gekko, robetta eh?
Da un certo punto di vista, avrebbe potuto rappresentare per la carriera di Stone un porto sicuro, un modo per tornare su argomenti e personaggi noti al pubblico, dopo le infinite polemiche legate a film come World Trade Center e W. alternati entrambi da una serie di documentari, che più che un modo per stare lontano dalla polemiche, per Stone hanno rappresentato un compendio alla sua poetica e alla sua filmografia, non è un caso se da questo film in poi il confine tra “fiction” ed esposizione dei fatti come di norma si fa in un documentario, per il nostro Oliviero Pietra è diventata sempre più sottile.
Anche perché a spingere Stone a tornare a raccontarci un pezzo della vita di Gordon Gekko non è tanto la volontà di cavalcare un’icona cinematografica degli anni ’80 e la maledetta malinconia, insomma, quella che monopolizza le uscite cinematografiche contemporanee, a Stone interessa unire i puntini e parlarci della peggiore crisi economica dopo quella del 1929, la crisi dei mutui subprime del 2008, una truffa tutta americana che lo ha messo in quel posto al mondo, una mossa più a stelle e strisce della torta di mele (che infatti è inglese), l’ennesima occasione per Stone per riflettere sul suo Paese giungendo ad una conclusione molto semplice: nel 1987 Gordon Gekko era il male, oggi a confronto di chi ha le mani sul volante dell’economia mondiale, per sua stessa ammissione il personaggio dichiara di essere un dilettante, una mezza tacca, questi suoi ideali figli e figliocci sono l’impero del male. Ironico che probabilmente, molto di quelli che nel 2008 hanno portato alla crisi dei mutui, negli anni ’80 abbiano deciso di diventare ricchi seguendo le orme di quello che al cinema sta alla finanza come Tony Montana (sempre scritto da Stone) allo spaccio di droga, quindi per Stone deve esserci stata una punta di senso di responsabilità.
Infatti a ben guardare “Wall Street – Money Never Sleeps”, con il suo titolo ispirato ad una riga di dialogo pronunciata da Gekko nel primo film, parla proprio di questo, di figli e figliocci, ma soprattutto di come la realtà abbia drammaticamente superato la finzione, e se le figure paterne torbide sono sempre stata un tema molto caro a Stone e presenti in tutta la sua filmografia, l’esigenza portare al cinema la crisi dei mutui subprime per certi versi, sembra prendere quasi il sopravvento. Ecco, forse il difetto principale di “Wall Street – Il denaro non dorme mai” e il suo non riuscire a legare così bene le sue parti, impegnato a storicizzare i fatti recenti della crisi economica – il film è uscito solo due anni dopo, un “film istantaneo” su un argomento caldo molto più di World Trade Center – sembra quasi più interessato a quelli, anche se la definzione giusta del film l’ha data come sempre la lapidaria Wing-woman: Questo film è quello che succede dopo il finale di Una poltrona per due.
Cosa dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ne determinano l’andamento e in questo caso, anche le motivazioni del “cattivo”, ho una fissa per le scene di uscita di prigione fin dai tempi di The Blues Brothers (Landis aleggia su questo post), quella di questo film non solo ci offre tutta la distanza trascorsa dagli anni ’80, grazie alle monumentali dimensioni del cellulare di Gekko, ma è una sorta di nuova vestizione dell’(anti)eroe che solo come un cane fuori dalla prigione, ritrova tutte le sue pericolose motivazioni.
Ben prima del lupo di Wall Street di Scorsese, Gekko ora tiene lezioni, scrive libri e anticipa il futuro dell’economia che verrà, anche se la figlia Winnie (Carey Mulligan) non vuole avere nulla a che fare con lui, concentrata sulla sua nuova vita con il fidanzato Jacob Moore, interpretato da uno Shia LaBeouf che non fa danni (stranamente), anche lui ammanicato a Wall Street, in fissa con le moto e con una caratteristica che mi colpì molto nel 2010, aveva la mia stessa suoneria del cellulare, la colonna sonora de Il buono, il brutto, il cattivo (storia vera), che qui è un doppio omaggio visto che nel consiglio di amministrazione di una delle banche più influenti, il grande vecchio è impersonato da un fischiettante Eli Wallach.
Ci sarebbe da indagare su come la figlia, tormentata dal rapporto con il padre squalo della finanza, si sia innamorata di un altro squaletto, uno in fissa con le energie rinnovabili, quasi una versione “etica” di Gekko, ma sempre fatto della stessa pasta, anche se inizialmente il “padre buono” di Jacob è fatto a forma di Frank Langella, il fondatore della prima grande banca sacrificata per tenere in piedi un sistema marcio fin dalle fondamenta. Cosa dico sempre delle scene in metro nei film? “Wall Street – Money Never Sleeps” ne ha una bella grossa (due se contiamo anche il dialogo tra futuro suocero e genero) che vede Langella fare quello che nel 1929 facevano molti dirigenti, destinato a diventare un’ombra nella testa di Jacob, una sorta di Obi-Wan che compare riflesso nello specchio, una soluzione stilistica che mi ha sempre fatto storcere un po’ il naso.
Ecco, da questo punto di vista l’Oliver Stone regista e l’Oliver Stone documentarista sono un po’ come acqua e olio, tutte quelle rappresentazioni visive per spiegare il funzionamento dell’energia pulita ricavata dal mare non sono propriamente eleganti, funziona molto meglio l’escalation che porterà alla crisi del 2008, anticipata dalla Cassandra Gekko, per tutti un animale ferito, uno che predica ma non è più credibile dopo essere finito in galera, in realtà liberato in più di un senso, può tornare a puntare alla vetta, cosa che è fermamente intenzionato a fare sfruttando quei due tonti di figlia a genero che si ritrova.
Ho rivisto il film per la seconda volta nella vita in occasione di questa rubrica, dopo averlo visto nel 2010 in sala, a fine visione ho capito perché non ricordavo nulla del finale ma tutto della parte intricata e più strettamente, chiamiamola politica, del film. Ancora oggi “Wall Street – Money Never Sleeps” è un oggetto bizzarro, quasi disinteressato ai personaggi, se non ad oppure la voce di Gekko, l’idolo degli Yuppi degli anni ’80, contro i nuovi mostri a capo dell’impero del male che seguendo le sue orme, hanno fatto anche di peggio, perché per lo meno Gekko, si era limitato a far danni al cinema.
Tutta la descrizione degli eventi precedenti al 2008, come la riapertura delle banche il giorno tredici settembre del 2001 e ovviamente, il disastro dei titoli tossici e di come molti abbiano scommesso con i soldi e le vite altrui come se fossero a Las Vegas, è la parte più riuscita e appassionante del film. Un’operazione quasi unica, come se qualcuno sfornasse un film con Rambo come protagonista, per darci dati, numeri e informazioni, a metà tra documentario e fiction, su quanto l’industria abbia alimentato la macchina della guerra. In tal senso è significativa l’apparizione lampo di Bud Fox, sempre interpretato da Charlie Sheen, passato nel giro di due film da protagonista a comparsa, alla festa dove incontra nuovamente Gekko faccia a faccia, abbiamo due avanzi di galera, due residuati bellici degli anni ’80, che con i nuovi squali in circolazione, sembrano proprio questo, un rigurgito degli anni ’80, credibili e pericolosi come uno con una giacca con le spalline a punta nella moda del 2010, sorpassati, visto che i nuovi mostri di Wall Street ora sono anche più pericolosi.
Se qualcuno si fosse davvero impegnato ad etichettarlo come “Legacy sequel”, questo “Wall Street – Money Never Sleeps” sarebbe stato quello semi definitivo, tanto che per interi minuti, l’ancora magnetico Michael Douglas, seppur minato nel fisico dalla sua salute ballerina e dai trascorsi medici, è davvero il mentore, il cattivo maestro di un personaggio nuovo, con nuovi obbiettivi e nuovi nemici, come ad esempio Bretton James impersonato molto bene da Josh Brolin. Per certi versi “Wall Street – Il denaro non dorme mai” fa davvero il punto della situazione sull’economica americana (quindi mondiale) dell’America contemporanea, aggiornati temi e tematiche dal 1987 al 2010, quello che funziona meno purtroppo è tutto il resto.
Dal punto di vista stilistico Stone prova anche lui la via dell’aggiornamento, ma morbido, si passa dai Talking Heads del primo film al solo David Byrne di questo seguito, ancora una volta si ritaglia un veloce cameo nella parte di un investitore e opta ancora per una proliferazione di “Split screen” per le scene più concitate, scelte sulla linea della coerenza che purtroppo non permettono al suo lavoro di tenere botta, perché l’altra anima del film a mio avviso, davvero non funziona.
Cercare di portare a compimento il discorso sui padri e sui figli, porge il fianco di “Wall Street – Money Never Sleeps” alle critiche, sul serio quei due accettano la proposta di Gekko per sbloccare i soldi in quel modo? Puzza lontano chilometri di fregatura, ma se Winnie e Jacob riescono a sopravvivere come coppia anche a questo, quello che davvero non regge è la redenzione di Gekko, a cui basta un’ecografia per mettere in moto il “tarallucciatore” finale, ovvero la capacità di un film di far finire la trama a tarallucci e vino.
Michael Douglas è incredibilmente intenso nella scena di scuse con la figlia, forse sarebbe bastata quella, ma il “tarallucciatore” finale è un pugno in un occhio, un film capace di mettere in chiaro come l’avidità decantata da Gekko nel 1987, sia diventata la base, il nuovo stile di vita, la pagina uno del manuale della finanza, finisce con le feste di compleanno, con i nonnini e i pasticcini, no, proprio no.
Capisco che gli anni abbia avuto effetto su tutto, e questo film (non sceneggiato da Stone ma da Allan Loeb e Stephen Schiff, suo è solo il soggetto) voglia mostrarci quanto sia cambiato e quanto rimasto identico dal 1987, capisco anche che nel suo costante riflettere su padri e figli, Stone lo abbia fatto a diverse età della vita, quella ribelle della gioventù, fino alla maturità e che “Wall Street – Money Never Sleeps” sia uscito in un momento dove anche lui era ormai nonno, ma continuo a trovare in questo film molti elementi riusciti che amo molto e molti che purtroppo, sembrano non sposarsi bene tra loro. Per assurdo, la parte documentaristica, risulta migliore di quella di fiction, come se l’esigenza di dire qualcosa sulla crisi dei mutui subprime abbia avuto la meglio, forse un po’ di tempo e qualche revisione in più al copione (magari da parte dello stesso Stone) ci avrebbe regalato un film più coeso tra le parti che lo compongono.
Resta il fatto che Stone aveva messo su pellicola l’economica americana nel 1987 e con questo film non ha fatto che ribadire di aver avuto l’occhio più lungo di tutti, i nemici interni alla sua nazione sono ancora più pericolosi, sono cresciuti nel mito del suo Gordon Gekko ma sono ancora più pericolosi, perché non attrezzati emotivamente a livello di sensi di colpa per una redenzione, troppi grandi per fallire, troppo disumani per essere anche responsabili, delle belve, anche se quello sarà più che altro argomento per il prossimo capitolo della rubrica, tra sette giorni qui, non mancate.
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