La scomparsa di Julian Sands è stata una brutta storia che si è trasformata in un doloroso lungo addio, per un attore che ha spaziato in lungo e in largo nel cinema, passano agilmente da James Ivory ad Aracnofobia con un’unica costante, il suo indiscusso talento. Ci tenevo a questo omaggio e la “Spooky season” è il momento giusto per portare su questa Bara una saga a cui sono molto legato, quindi come già fatto in passato, oggi vi beccate il mega post dedicato a “Warlock”.
Tutti noi appassionati di Horror dobbiamo qualcosa a Steve Miner, che dopo il suo coinvolgimento dietro alla macchina da presa per Chi è sepolto in quella casa? Vagava in cerca di un nuovo soggetto, dopo lo svarione di una commedia sentimentale su cui preferirei non dire nulla, Miner si è prodotto in collaborazione con Brian Yuzna quello che per me, resta se non il suo film più importante, almeno uno dei suoi più riusciti, quel gioiellino di “Warlock”, tempestato da non pochi problemi visto che Miner consegnò il film ultimato nel 1988, ma a causa di alcuni problemi finanziari della New World Pictures finì in un limbo da cui lo ripescò tempo dopo la Trimark Pictures, tirandoci fuori anche un modesto successo al botteghino e sicuramente un titolo di culto alimentato dai noleggi in videoteca e dai passaggi notturni su Notte Horror, d’altra parte lo sappiamo bene che per il nostro stregone di nome stregone, lo scorrere del tempo non è un problema. Pronti? Andiamo!
Warlock (1989)
L’attività principale a Boston è sempre stata tifare per le squadre professionistiche locali, ma nel 1691 non esisteva alcuno sport, quindi quello ufficiale del Massachusetts era la caccia alle streghe, anche se dotati di pene e cromosoma Y. Infatti “Warlock” inizia con la cattura dello stregone noto come beh, Warlock, per un film che gioca parecchio sul ribadire che sì, esistevano anche gli “Streghi” maschio.
Il nostro stregone di nome stregone è incatenato in attesa di giudizio, infatti uno dei motivi per cui vado pazzo per “Warlock” è anche questo suo iniziare con la conclusione di una faida che chissà da quanti anni proseguiva, assurdo che nessuno abbia mai pensato ad un prequel ma ve lo dico, meglio così! Al centro della faida il cacciatore di streghe (e stregoni) Giles Redferne, che ha il ghigno di un mito specializzato in cattivi soggetti come Richard E. Grant, oh io ve lo dico! Non fatevi disastrare da Grant, Redferne è il buono della storia. Ma se il buono ha una tale muso da cattivo, il cattivo vero come deve essere? Un enorme bastardo che ammazza omosessuali senza pietà, maledice ragazzine e utilizza il grasso dei bambini per ricavare incantesimi per volare, considerando che il ruolo è stato affidato a Julian Sands, soldi in banca e personaggio messo in cassaforte!
Il Warlock di nome Warlock evoca una tempestona e fugge tra i flussi del tempo, fino alla Los Angeles dell’anno 1989, in modo da risparmiare sui costumi spostando il film nel ventesimo secolo. L’obbiettivo dello stregone e rimettere insieme le pagine del Grande Grimorio, un libro satanico che contiene il “vero” nome di Dio, che pronunciato al contrario può annullare gli effetti della creazione. Cioè capite con che razza di bastardo abbiamo a che fare no? Qui Redferne, non il nostro che trovate sempre nella sezione commenti, ma quello di Richard E. Grant lo insegue come il pistolero di King con l’uomo in nero, ma per mettere un po’ di guacamole a questa storia, ci vuole la mia quasi omonima Kassandra con il “K”, interpretata da una Lori Singer con look spudoratamente anni ’80.
Io capisco che un Bostoniano che si ritrova catapultato a Los Angeles possa essere leggerissimamente incazzato, come farà notare il tassista fan dei Celtics in una divertente gag nel corso del film, ma per mettere in chiaro che razza di bastardo sia il nostro Warlock, a farne le spese è il coinquilino omosessuale di Kassandra, ovvero Chas (Kevin O’Brien) che viene sacrificato da Steve Miner per mettere in chiaro che questo suo film è una sorta di strana favola nera a spasso per le strade d’America sì, ma anche una storia con abbondanti connotazioni e tocchi horror. La morte violenta (e in padella) del povero Chas non si dimentica, tanto quanto la nemmeno troppo velata omofobia dei poliziotti di Los Angeles (prima di Rodney King), quando Kassandra prova a denunciare la morte, la distinzione tra “omosessuale” e “Checca” (sottolineata anche dal nostro doppiaggio) fa capire che sono passati un po’ di anni dal 1989, non per forza velocemente come per il viaggio di Warlock e Redferne.
Quello che mi piace del film di Steve Miner sono proprio la sua diverse nature, “Buddy movie” con improbabile coppia di protagonisti, composta dal cacciatore di streghe proveniente dall’anno 1691 e la ragazzina ventenne dentro che invecchia di giorno in giorno a dismisura (Kassandra una di noi!), un film che manda a segno gag divertenti ma non ne abusa, non perde mai il fuoco del suo essere un film dell’orrore dove le persone vengono uccide malamente e non mancano fattucchiere che si trasfigurano per dar voce al maligno, insomma un vero spasso che ha dalla sua un’ulteriore marcia in più.
Una ragazza molto giovane, che per altro lavora come cameriera nella Los Angeles degli anni ’80, un nemico inarrestabile, indistruttibile, fermamente motivato a completare la sua opera e un combattente dalla parte dei buoni, spedito indietro nel tempo per fermarlo, cambiate i nomi ma le dinamiche sono le stesse di Terminator, anche qui abbiamo una Sarah Connor, un Terminator e Redferne nei panni del Kyle Reese della situazione, anche per questo ho sempre adorato questo film.
Diventa istintivo fare il tipo per Redferne che è proprio come Kyle Reese con addosso più pelliccia e un po’ meno dramma (un po’ eh? Mica tanto) mentre Kassandra, oltre al suo visibile invecchiamento, realizzato con un trucco lui sì, la parte invecchiata peggio di “Warlock”, qui copre un arco narrativo da spensierata ragazzina ad eroina tosta in cui il suo essere diabetica, citato all’inizio, trova una sua sensata logica nel finale, una pistola di Čechov sotto forma di siringa di insulina.
Lo spettacolo poi è garantito proprio dalla prova di Julian Sands, il suo Warlock è amorale, schifosamente bastardo, a tratti addirittura compiaciuto del suo essere un fottuto mostro, infatti il film di Steve Miner funziona bene su due binari, si fa il tifo per la strana coppia composta da Kassandra e Redferne, ma allo stesso tempo proprio grazie alla prova di Sands, ci si gode il modo in cui lo stregone di nome stregone minaccia il Creato, irride alla chiesa (facendo scempio delle proprietà del vecchio Mennonita) e se la ride, se la ride di gusto quando il ragazzino gli chiede se in quanto strega, ha una scopa su cui volare come ne “Il Mago di Oz”. No sul serio, un attore di minor talento e carisma, avrebbe trasformato Warlock in un cattivo che si alliscia i baffi e si esibisce nella Maniacal Laugh, Julian Sands invece, anche quando fa la “risata da cattivo” sembra un agente del caos, il primo a divertirsi in un ruolo da bastardo fino al midollo.
Una menzione speciale la meritano le azzeccatissime musiche di Jerry Goldsmith, che riescono a scoprire tutte le diverse anime di film che sembra una storia per ragazzi, una commedia anni ’80 degli equivoci, un omaggio a “Terminator” ma resta sempre, costantemente concentrato sul suo essere un horror riuscendoci alla perfezione. Con il mio umorismo macabro mi sono sempre trovato a casa con un film che sa usare tutti i suoi elementi al meglio, anche quelli iconografici, come le streghe che non vanno d’accordo con il sale («Anche io mangio con poco sale ma non sono una strega!») mandando a segno un’ultima scena incredibilmente riuscita. La conclusione in un horror è quello che ti porterai dietro nella memoria dopo i titoli di coda, di solito quando di mezzo c’è un oggetto maledetto e pericoloso, si opta per il fuoco o per il fondo dell’oceano, “Warlock” fa lo stesso ma con un gusto irriverente che comunque, pervade tutto il film, oltre a rendere omaggio ad un tempio dei motori e dell’alta (altissima!) velocità.
Warlock – L’angelo dell’apocalisse (1993)
Seguito che quest’anno spegne le sue prime trenta candeline, girato in una trentina di giorni, alcuni dei quali spesi anche per cacciare via il primo regista scelto, Frank LaLoggia, licenziato per via di idee troppo costose per una storia che alla fine è finita nelle mani di Anthony Hickox, uno che non si è mai tirato indietro davanti alla regia di un seguito Horror e che qui, si è sparato le ultime cartucce prima di sparire nell’anonimato del resto della sua filmografia.
Costato tre milioni di fogli verdi con sopra facce di altrettanti stregoni ex presidenti defunti, il film ne ha incassati poco meno di quattro ma in generale sembra un titolo messo su con un vaffanculo e un me ne frego dentro al cuore anche piuttosto in bella vista, anche perché se non fosse per il titolo e la presenza di Julian Sands, potrebbe essere tutto un altro film.
Il problema non sta nemmeno nel cambio di regista, compositore, produttori e tutto il comparto tecnico, quando più che altro che “Warlock: The Armageddon”, anche noto da noi come “Warlock – L’angelo dell’apocalisse” o semplicemente “Warlock II”, non tiene minimamente conto di quello che abbiamo visto nel primo film. Il bel finale? Spazzato via. I riferimenti ai personaggi a cui ci siamo affezionati? Spariti. Tabula rasa elettrificata che porta in scena un culto di druidi di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima e regole tutte nuove rispetto al primo capitolo, tra pietre e pugnali rituali. L’unica costante è che ad un certo punto, Julian Sands risorge, con un nuovo taglio di capelli nel presente e qui se non altro, avere Anthony Hickox non rende il film del tutto anonimo.
Warlock risorge, con trovate degno di un body horror, dal corpo di una “mamma”, assolutamente non volontaria, in un drammatico caso di utero in affitto che a ben guardare, ricorda molto il modo in cui Pinhead tornava sulla terra, guarda caso proprio nell’Hellraiser diretto da Hickox. A questo aggiungete che il risorto Warlock si procuri il suo completo nero (o meglio «Neeeeeroooo» come dice lui stesso) rubandolo allo Zach Galligan di Gremlins che compare per un secondo, giusto il tempo di morire ucciso dallo stregone di nome stregone.
In questo seguito, venendo a mancare personaggi riusciti come Kassandra e Redferne, sostituiti da anonimi protagonisti, impegnati a loro volta a morire e risorgere nel culto druidico che nulla ha da spartire con le regole del primo film, trasformano “Warlock II” nel palcoscenico personale cui sui si possono esibire Hickox ma soprattutto Julian Sands, se nel film di Miner si tifava in parti uguali per i buoni e per il sadico cattivo, qui ci si sente liberi di potersi godere la mattanza condotto da Warlock e la prova di Sands.
Se dovessi consigliare questo film a qualcuno, lo farei davvero solo per il suo protagonista, basta guardare la scena del duello proto-Western che regista e attore principale mettono su: Warlock scede prima dalle scale invisibili in strada, poi sfidato da due “sceriffi” nella cittadina, Hickox si diverte proprio ad utilizzare il registro narrativo tipico dei Western (primi piani stetti sugli occhi e tutto il resto) per una delle tante scene in cui Julian Sands si divora lo schermo, come quando utilizzando la brutta CGI del film scombina la faccia ad un malcapitato, trasformandolo in un quadro e commentando la sua creazione con la “frase maschia”: «Sicuramente un Picasso», solo applausi per il cattivissimo Warlock di Sands!
“Warlock II” si gioca un finale frettoloso, basato su regole inventate a seconda della scena, che serve solo a tenersi aperta una porticina per un seguito che devo dire, è arriva, purtroppo.
Warlock III – La fine dell’innocenza (1999)
Se “Warlock II” è un piccolo film che ha ancora a che fare con il cinema e sempre meno con la saga di cui fa parte, per il terzo capitolo, moltiplicate l’effetto per tre volte. Girato negli studi irlandesi di Roger Corman e con lo stesso spirito taccagno nel cuore, questo film scritto e diretto da Eric Freiser è un dramma da interni, in cui Warlock potrebbe essere sostituito da un demonio o un satanasso qualunque, visto che ormai non ha quasi più nulla del personaggio dei due film precedenti, nemmeno il volto visto che lo interpreta il volenteroso Bruce Payne, incolpevole, se non del fatto di non essere Julian Sands e la faccenda si nota, si nota parecchio.
La storia è quella della studentessa Kris Miller che per ritrovare i legami con il passato della sua famiglia, va in un vecchio maniero dove arriveranno anche i suoi amici, carne morta necessaria ad aumentare la conta dei defunti del film, per una trama che vaga tra le stanze, in cui mi auguro tutti abbiano passato del tempo piacevole in Irlanda tra un ciak e l’altro e l’unico motivo di interesse per me, resta il fatto che la protagonista sia fatta a forma di quella meraviglia di Ashley Laurence, la regina dell’urlo che nessuno ricorda mai, splendida nei primi due Hellraiser dove sfoggiava con grande grazia le sue occhiaie (non sto usando una metafora, intendo proprio le borse sotto gli occhi, sexissime, non mi rompete le scatole ho gusti macabri per tutto ok?) e qui diventa davvero l’unica ragione per sopportare questo noioso tedio di 94 minuti pieni di NIENTE, in cui l’unico guizzo è lo scontro finale con questo facente funzione di Warlock.
Sul serio, si fosse intitolato “La villa sperduta in Irlanda”, DTV modesto e di modeste pretese, con un padrone di casa in odore di zolfo, sarebbe stato sicuramente un film minuscolo ma più onesto, ottima scusa per 94 minuti di Ashley Laurence, invece il risultato è un film furbetto pensato per cavalcare un titolo di culto come “Warlock” senza averne alcun legame, perfetto giusto per completisti di Ashley Laurence, siamo pochi ma siamo una lobby molto potente.
Ad oggi non si è più parlato di “Warlock” nemmeno per prequel o rilanci, meglio così, il primo film resta un culto e il secondo la prova del gran talento di Julian Sands. Ci tenevo a rendergli omaggio e visto che siamo ad ottobre, il mese più ricco e carico di Horror del mese, magari vi ho dato qualche idea per Halloween, anche se qui sulla Bara tutti i giorni è Halloween.
Sepolto in precedenza mercoledì 4 ottobre 2023
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