Dev’esserci un modo per uscire di qui, disse il pagliaccio Cassidy al ladro. C’è troppa confusione, non riesco ad avere un attimo di pace se non affronto questo film (quasi-cit.).
Al pari di Il Cavaliere Oscuro, penso che un post dedicato al Watchmen di Zack Snyder sia tra quelli più richiesti dai lettori della Bara Volante. Ed ora che il dannato Damon “Cioccolatino” Lindelof ha messo le sue manacce sul capolavoro di Alan Moore e Dave Gibbons, per trasformarlo in una serie tv che faccia da seguito al fumetto (prossimamente su questa Bare) è il momento di farlo questo post così richiesto.
Capite che da appassionato di fumetti in generale, di quelli di supereroi in particolare e delle opere del Mago di Northampton, l’idea di un film su “Watchmen”, ma più in generale di un qualsiasi adattamento del lavoro di Moore non è qualcosa da prendere alla leggera, quindi prima di affrontare la serie tv (vi ho già detto che è in arrivo su queste Bare? Sì, vero?) ho dovuto provare a fare pace con un film che per certi versi ha avuto dei tratti in comune con il pipistrello di Nolan, almeno per il fatto che per una quantità infinita di tempo ho dovuto vedermela con un sacco di entusiasti della pellicola, dei quali posso perfettamente comprendere la gioia, ma senza condividerla. Un freddo distacco in cui, se volete, potete immaginarmi proprio come il Dottor Manhattan quando interagisce con gli umani, solo molto meno blu e con parecchi più vestiti addosso.
L’idea di un adattamento cinematografico del fumetto di Moore e Gibbons girava ad Hollywood da parecchi anni, i nomi che hanno ruotato attorno al fantomatico progetto sono stati degni della sua fama, il leggendario produttore Lawrence Gordon prima e l’altrettanto titanico Joel Silver dopo. Chi è abbastanza matto da decidere di affrontare la balena bianca Watchmen? Facile, il più adorabilmente matto di tutti, Terry Gilliam.
Terry si mette al lavoro ventre a terra, inizia a scrivere la sceneggiatura insieme al fidato Charles McKeown e il risultato è qualcosa di diverso, un adattamento Gilliamesco al 100%. Da quello che è trapelato negli anni, la presenza stessa del Dottor Manhattan avrebbe alterato gli equilibri mondiali, di mezzo era previsto un viaggio nel tempo (reso possibile dai poteri del bluastro dottore) che terminava in maniera metacinematografica (o metafumettistica, fate voi) con i protagonisti tornati in una realtà in cui sono solo i personaggi di un fumetto. Insomma, puro Gilliam che già accarezzava l’idea di avere Robin Williams come Rorschach, Gary Busey come il Comico, Jamie Lee Curtis nei (pochi) panni di Spettro di seta e, tenetevi forte, su insistenza di Joel Silver il Dottor Manhattan sarebbe potuto essere Arnold Schwarzenegger (storia vera).
Tutti sappiamo com’è andata a finire: l’affermazione di Gilliam è diventata l’etichetta che è rimasta appiccicata a “Watchmen” per decenni, una storia secondo il regista “infilmabile”, che negli anni tanti hanno provato a sfidare (tra cui Darren Aronofsky e Paul Greengrass), ma solo uno ha portato a termine davvero, quel matto di Zack Snyder.
Zack Snyder ha avuto il tempismo giusto, con i diritti finiti nella mani della Warner Bros. (proprietaria anche della DC Comics e di tutti i suoi personaggi di carta), Snyder era abbastanza nerd e abbastanza toccato per provarci, sfruttando l’onda lunga della popolarità del neonato genere cinematografico dedicato ai supereroi, i famigerati Cinecomics come abbiamo imparato ad odiarli chiamarli. Spider-Man, Hellboy: The golden Army, il cavaliere coso, tutta roba popolare che ha convinto tutti che ora era il momento di giocarsi il jolly, ripescando l’infilmabile Watchmen. Posso dirlo? Madornale errore (cit.).
Perché proprio Zack Snyder? Apriamo il vaso di Pandora di un regista che dovrebbe starmi sul culo, invece, malgrado tutto mi è simpatico e non l’ho mai odiato (a differenza di tanti cogli… Ehm lettori di fumetti). Snyder arriva dalla pubblicità e da un video su Michael Jordan di cui vi ho anche parlato, ha esordito al cinema con il remake di uno dei più grandi film della storia, tirando fuori un lavoro solido malgrado gli zombie che corrono. Dopo aver messo le sua manacce su Romero, perché non strangolare anche un altro prediletto di questa Bara (ovvero Frank Miller) portando sul grande schermo anche 300? Il risultato lo conoscete, è controverso, per ora non mi esprimo, perché ho entrambi i titoli di Snyder in canna, quindi avrò modo e maniera per analizzarli quando sarà il momento, però ora bisogna fare una distinzione.
300 ha una trama minimale e pochissimi dialoghi, è tutti caratterizzati dagli epitaffi con cui Frank Miller scrive, delle rasoiate secche su tavole che sono già puro cinema, technicolor a fumetti perfetto per un regista visivo come Snyder, uno cresciuto nella pubblicità e nei videoclip, in cui il prodotto da vendere (che sia un profumo oppure una canzone) devono bucare lo schermo. Ecco perché Snyder era così a suo agio con gli Spartani di Miller, poi ha combinato altri casini, ma al netto di una storia stringata, già strapotente visivamente su carta, Snyder non ha fatto altro che replicare intere sequenze identiche sul grande schermo che di solito è una mossa che piace a molti fanatici di fumetti (molti dei quali dei conservatori ultra intransigenti) in un periodo in cui per vincere bastava produrre film fotocopia come “Sin City” (2005) guarda caso sempre tratto da un fumetto di Miller.
Zack Snyder si convince che se ha funzionato per Miller, funzionerà anche per Moore, me le ricordo le interviste del nostro gongolante Snyder che dichiarava tronfio che l’unica differenza tra i due è che uno è di destra, l’altro, invece, di sinistra. Affermazione corretta, ma riduttiva che mi ha fatto pensare che a Snyder di sicuro piacciono i fumetti, ma forse si limita a guardare le figure.
Moore è l’anti-Miller non solo per posizioni politiche, ma anche per stile, Moore mitraglia parole a suoi disegnatori consegna sceneggiature lunghe come un romanzo russo lavorando di cesello sui personaggi, giocandosi citazioni misurate, ma sempre molto precise, prese da tutti i livelli della cultura, sia alta che bassa. Moore, in quanto scrittore, è più propenso a comunicare usando la parola, Miller più con i suoi disegni, è una divisione manichea la mia, ma comunque più precisa di quella fornita da Snyder. Che, infatti, con “Watchmen” ha fatto degli errori imperdonabili.
Andai a vederlo al cinema nel 2009 alla sua uscita, la mia Wing-Woman ancora mi guarda storto quando ci ripensa (storia vera), prova d’amore perché se non mi ha mandato a calci su Marte dopo i 162 minuti di questo film, possiamo anche attraversare le fiamme. Ma su quello ho fatto anche di peggio, l’ho costretta a vedere “Speed racer” (2008) mamma mia che roba brutta e comunque, storia vera.
Per anni la mia reazione davanti ai commenti entusiasti sul film è stato regale sdegno e sguardi scuri degni della Wing-Woman, ma certi traumi cinematografici vanno affrontati, e siccome io sono più toccato di Zack Snyder, per rimediare ho voluto farlo come si deve, quindi mi sono sparato i 215 minuti della versione “Ultimate cut” di questo film. Se uno si deve fare male, tanto vale farlo per davvero.
Facciamo subito un paragone tra le due versioni, partiamo da quella “breve” vista in sala, è una storia che in certi passaggi, semplicemente non funziona. La scelta di portare di peso i personaggi sul grande schermo, replicando Watchmen quasi vignetta per vignetta è una mezza fregatura, parafrasando Mr. Wolf, ad una prima occhiata va tutto bene, ma se qualcuno avvicina il grugno, lo stratagemma non funziona.
Ci sono passaggi del film in cui l’aver trasportato senza quasi nessun lavoro di adattamento, le vignette sul grande schermo è contro producente, perché il fumetto per sua natura è un insieme di immagini e parole, disegni e testo scritto, se tu (tu caro Zack parlo a te) replichi i disegni, ma togli le parole, agli spettatori non fornisci i giusti mezzi per arrivare dove la storia dovrebbe portarli, è un po’ come mettere in mano al pubblico una mappa del tesoro con il percorso da seguire, ma capovolta. Un esempio? Nel film vediamo il Dottor Manhattan (Billy Crudup) disegnarsi il simbolo chimico di un isotopo sulla fronte, è una scena da nulla del film, quasi superflua, nel fumetto, invece, il buon Dottore sceglie quel simbolo perché è qualcosa che rispetta, una concessione che fa ai piccoli umani che lo vedono come il loro supereroe, ma allo stesso tempo un momento passivo-aggressivo, perché è chiaro che se il Dottore ha rispetto dell’Isotopo di sicuro non ha rispetto dei piccoli umani ottusi. Questo è un piccolissimo esempio, ma applicabile a tutto il lavoro fatto da Zack Snyder.
Ad una prima occhiata lo stratagemma adottato da Snyder funziona perché fa leva sull’effetto “Ma è uguale!” che piace tanto ai lettori conservatori in trasferta al cinema che, poi, è lo stesso che ha reso un successo quella fregatura cinematografica di Bohemian Rhapsody. Chi ha letto Watchmen, davanti ad un’operazione di mimetismo come questa, istintivamente andrà a colmare i molti buchi con i ricordi del fumetto (che, invece, ha una trama solidissima), chi non ha avuto il piacere di leggere il capolavoro di Moore e Dave Gibbons arriverà a soluzioni tutte sue, esempio? Oggi è la giornata mondiali degli esempi.
Avete presente la scena in cui Daniel Dreiberg (Patrick Wilson) non riesce a fare sesso con Laurie (Malin Åkerman) finchè entrambi non indossano i loro costumi da Gufo Notturno e Spettro di Seta? Nel fumetto è una stoccata mica da ridere di Moore a questa mania delle calzamaglie colorate, nel film, la mia Wing-Woman, è arrivata ad una conclusione difficile da criticare, lei pensava che la mancata reazione di Daniel (chiamiamola così) fosse dovuta alla preoccupazione per l’ex fidanzato della ragazza, “Quello blu” che può apparire e scomparire ovunque e in qualunque momento. Io sarei un minimo in ansia sapendo che l’ex potrebbe polverizzarmi con uno sguardo e se la mia Wing-Woman è arrivata a questa conclusione, è perché Snyder non è un narratore abbastanza abile.
Parliamoci chiaro: ve la ricordate la prima immagine promozionale del suo Superman? Potente, efficacissima, Henry Cavill una statua greca nato per il ruolo, ma poi il film che razza di disastro è stato? Le prime immagini promozionali dei suoi Minutemen Watchmen le ricordate? A me personalmente hanno sempre fatto abbastanza schifo i costumi, ma quella di Rorschach? Cavolo, sembrava uscito delle tavole di Dave Gibbons. Perché Snyder è dal punto di vista visivo un regista strapotente e a tratti efficacissimo, ma come narratore fa spesso acqua da tutte le parti, sa dirigere e creare belle immagini, ma non sa usarle per raccontare una storia.
Secondo voi è un caso se la scena migliore di tutto “Watchmen” risultano essere i titoli di testa del film? In sala nel 2009, davanti a quell’inizio impeccabile, ho pensato che Snyder poteva davvero farcela a rendere filmabile l’infilmabile, perché in quello che è a tutti gli effetti il video musicale ispirato al fumetto, Snyder copre una buona porzione della storia facendo una scelta cinematografica, raccontando solo per immagini e adattando tante pagine in pochi minuti, grazie anche ad una scelta musicale impeccabile, “The Times They Are A-Changin” di Bob Dylan è adattissima perché incarna tutta l’atmosfera di Watchmen, un perfetto contrasto che nasce delle parole contro la guerra di Dylan e le immagini che raccontano di un mondo che è cambiato, ma non per forza in meglio («Cosa è successo al Sogno Americano?», «Che si è avverato! Lo stiamo ammirando»).
Peccato che dopo un inizio così Snyder tiri i remi in barca limitandosi all’effetto “Ma è uguale!” per tutto il tempo, l’unico altro cambiamento apportato alla storia è il finale che non rivelerò per non rovinare la visione (e la lettura, soprattutto quest’ultima, a nessuno) che determina anche il punto in cui Snyder abbandona per sempre il film, non solo perché tale modifica al cinema non funziona come nel fumetto (la rassegnazione del Dottor Manhattan a quel punto del suo arco narrativo, è incomprensibile e fuori luogo), ma anche perché Snyder sembra uno che pensa «Oh ragà! Io fino qui ho dato tutto, da qui ai titoli di coda seguiamo i disegni di Dave Gibbons», infatti ancora oggi dopo aver visto il film due volte mi chiedo cosa ci possa capire uno spettatore che non ha mai letto Watchmen, quando improvvisamente spunta in scena Bubastis, una tigre gigante dai colori acidi che sembra la Battle-Cat di He-Man.
Tra i problemi grossi di questo adattamento, io continuo a vedere come il fumo negli occhi i costumi, se escludiamo Rorschach che con pastrano e cappello è già di suo realistico, gli altri sembrano vestiti con i costumi avanzati al discount dopo le svendite di carnevale. I costumi nel fumetto devono risultare anacronistici e spesso dimessi e senza gloria (come quello marroncino di Gufo Notturno), nel film sembrano solo vecchi, capisco che i supereroi al cinema non abbiano una lunga storia come nei fumetti, ma pescare costumi con addominali di gomma come se fossimo ancora ai tempi di Batman & Robin, no, non ci siamo proprio. Anche perché poi Spettro di Seta, sembra più Spettro di Latex.
Gli attori passano attraverso vari livelli, danno un po’ tutti l’impressione di essere stati scelti perché versioni disponibili di attori inarrivabili, lo sappiamo tutti che il perfetto Ozymandias sarebbe stato Jeremy Irons, invece ci ritroviamo con quel tubero insipido di Matthew Goode, mentre per restare in zona tuberi (occhiolino-occhiolino) Malin Åkerman è tanto bella da vedere quanto “cagna maledetta” a recitare, nel confronto diretto con Carla Gugino truccata (male) per sembrare sua madre, va sotto malamente con perdite. Per non parlare del fatto che Malin, poveretta, è costretta alla scena più tragicomica di tutto il film, no Zack, io ti voglio bene sei un bravo ragazzo e poi mi piace tanto la musica di Leonard Cohen, “Hallelujah” è un capolavoro, ma ti rendi conto che se te la giochi in quel momento del film, dopo il lungo tira e molla tra i due personaggi, non può che far scoppiare a ridere tutto il pubblico? Cavolo, sembra una scena già pronta per la parodia, Zucker-Abrahams-Zucker non avrebbero saputo fare di meglio.
L’unico che tira fuori carne e sangue dal suo personaggio è Jackie Earle Haley, il suo Rorschach è perfetto per tutto, dall’aspetto alla voce, risulta minaccioso malgrado i capelli posticci e quando ringhia le frasi che Moore aveva pensato per il suo personaggio, ti fa venire voglia di morderti le mani che questo splendido caratterista, lavori in un’epoca in cui i caratteristi sono ormai estinti.
Ci sono momenti riuscitissimi in “Watchmen”, come la scelta di utilizzare “All along the watchtower” (nella versione di Jimi Hendrix) che di fatto aggiunge alla storia di Moore, le canzoni e la musica di cui il fumetto come mezzo espressivo non può disporre per limiti oggettivi, ma restano tutte scelte estetiche che non aggiungono nulla alla sostanza, quindi il film resta una copia fatta con la carta carbone di moltissime pagine, ma sbiadita lo stesso, perché se da un capolavoro enorme tiri fuori una copia diligente, non puoi proprio fare una figura di cacca, ma il capolavoro è rimasto sulla carta del fumetto originale.
Spezzo, tuttavia, una lancia a favore della “Ultimate cut”, vi porterà via 215 minuti, ma risulta molto più efficace rispetto alle versione uscita in sala del film nel raccontare una storia, perché è chiaro che se hai più tempo per replicare vignette e pagine sul grande schermo, questa grande operazione di mimetismo risulterà più completa, quindi il mio consiglio è di armarsi di santa pazienza e puntare sulla “Ultimate cut”, oppure di fare la cosa giusta, ovvero gustarsi la storia originale nel formato per cui è stata pensata, leggendosi il fumetto.
Perché il problema principale del “Watchmen” di Zack Snyder è il mancato adattamento, travasare le immagini sul grande schermo non vuol dire adattare ed ecco perché il film perde in molti passaggi tutta la sua potenza. Quando nel fumetto Moore ci fa viaggiare nei ricordi e nel modo di percepire il tempo come simultaneo del Dottor Manhattan, di fatto ci spiega che per il bluastro nudista, il tempo è una serie di immagini immobili che lui fa muovere e andare avanti con le sue azioni, per il Dottor Manhattan il tempo è una serie di vignette e la lettura del fumetto è il suo scorrere. Nel film tutto questo non succede e, per assurdo, i poteri del Dottore sono molto più facili da rendere usando i mezzi del cinema, però bisogna avere la volontà e la capacità di narratore che a Snyder mancano.
Per assurdo, l’unico adattamento fatto è trasformare in un cartone animato “Le terrificanti storie del vascello nero” la storia-nella-storia di Watchmen, peccato che la parte piratesca della storia sia stata tagliata dalla versione cinematografica del film e ritrovarla nella “Ultimate cut” non aiuta. Moore aveva scelto un fumetto di pirati come storia-nella-storia, perché da grande studioso di fumetti sapeva che il genere più popolare (anche in termini di vendite) dopo i supereroi in America, nel periodo in cui la sua storia era ambientata, erano i fumetti di pirati. Quindi, in un mondo dove i supereroi esistono, è normale che le persone leggano storie fantastiche di pirati.
Per assurdo, Snyder avrebbe dovuto fare lo stesso al cinema, se davvero avesse voluto adattare la storia di “Watchmen” al cinema, avrebbe dovuto trasformarla in un film-nel-film, magari western, oppure di qualche altro genere alternativo ai supereroi. Così avrebbe dimostrato di aver capito Watchmen, o anche solo di non essersi limitato a guardare le figure.
Zack Snyder ha fatto il furbino, ancora oggi si vanta di aver smentito Terry Gilliam, ma caro Zack, ti voglio bene, ma sei come uno degli avventurieri mascherati di “Watchmen” puoi fare i tuoi combattimenti al rallentatore quanto vuoi, ma quando si parla di capire una storia e renderla cinema vero, sei sorpassato dal Dottor Manhattan che capisce tutto mille mosse in anticipo e comprende che l’unica soluzione è non agire e volare su Marte. Se Il Dottor Terry Gilliam dice è che infilmabile, vuol dire che senza un adattamento, non si può proprio fare.
Sepolto in precedenza venerdì 17 gennaio 2020
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