Finché la parte musicale è gestita con ironia, non ho nessuno problema, i personaggi possono anche cantare per tre ore, ma in alternativa l’unico modo per catturare la mia attenzione è giocarsi una storia in grado di inchiodarmi allo schermo, motivo per cui ho una repulsione manifesta per roba tipo “Frozen” (2013) o La La Land, ma se mi fai vedere “Hair” (1979) avrai la mia completa attenzione. Mi dispiace essere così soggettivo, ma è un limite da cinefilo con cui sto ancora facendo i conti, anche perché a differenza dei film musicali (come potrebbe essere che so, The Blues Brothers) in un musical non puoi semplicemente saltare le canzoni, perché sono parte integrante della storia che portano avanti la narrazione, come nei film d’azione le sparatorie o gli inseguimenti, tutto questo per dire che se uno dei registi che stimo di più al mondo, decide di fare un musical io mi ritrovo in una posizione abbastanza complicata, non importa, come faccio sempre in questi casi: mi metto a fare i compiti.
«Arriva il bandito, un tipo tremendo che sa quel che vuole» (cit.) |
Degli Oscar guadagnati dal film non mi interessa nemmeno di scriverne, mi sta più a cuore sottolineare come il “West Side Story” del 1961 fosse un film nato già classico, che per certi versi ha rappresentato gli ultimi fuochi dell’impero di quella Hollywood che di lì a poco sarebbe, non dico stata spazzata via, ma per lo meno rivoltata come un calzino dai registi della New Hollywood, una banda di autori di cui pensate un po’, faceva parte anche il nostro zio Steven Spielberg.
Che sfida mi hai messo davanti zio Steven, ma giochiamo con le tue regole, ci sto! |
Quando dico che ho fatto i compiti, intendo proprio dire che ho fatto i compiti andando a rivedere anche il film del 1961, che avevo visto una sola volta in tv da bambino, quindi chi sostiene che Spielberg abbia semplicemente preso il film di Jerome Robbins e Robert Wise e lo abbia “sporcato” con scenografia più realistiche, per cercare di aggiornarlo un po’ al 2021 (sua data di uscita anche nelle nostre bistrattate sale), forse fa un’analisi un po’ frettolosa del lavoro di Spielberg.
Tracce del passaggio di Billy Shakespeare. |
Detto questo, l’omaggio di Spielberg al film del 1961 si completa affidando alla Anita del film di Wise (Rita Moreno) la parte di Valentina nella sua versione, che per certi versi non è una semplice strizzata d’occhio, ma quasi una chiusura del cerchio oltre che un omaggio all’attrice.
O muori da Anita o vivi abbastanza a lungo da diventare Valentina (quasi-cit.) |
Nel mio appellarmi ai precedenti mi rendo conto che non solo la guerra lungo le strade della Manhattan degli anni ’50 tra le gang rivali dei Jets, composta da immigrati europei di seconda generazione e gli Sharks, perlopiù portoricani, non è solo il modo utilizzato da Spielberg per parlare dell’America (e quindi del mondo occidentale) di oggi, sottolineando allo stesso tempo quando una storia “eterna” come questo musical sia ancora al passo con i tempi, ma più che altro da appassionato più del cinema di Spielberg che dei film canterini, è chiaro che il nostro qui stia davvero realizzando un suo sogno cinematografico che si è sempre portato dentro, per certi versi come il Silence di Martin Scorsese.
Non ho mai nascosto la mia insana passione per 1941 – Allarme da Hollywood, il più bistrattato tra i capolavori di Spielberg, che in una delle sue scene più rutilanti, si giocava proprio un numero di ballo che altro non era che una rissa tra diverse fazioni, messa giù con musica e balli (e ironia), perché che sia una scena di lotta o un numero danzereccio, le regole sono sempre le stesse: ci vuole una grande coreografia ben studiata, interpreti in grado di eseguirla al meglio anche forti della loro preparazione e una regia in grado di valorizzare tutto al meglio. Se rispetti questi tre regole, il risultato finale è una bella scena, che sia una rissa con pugni e calci o un ballo con canzoni poco importa, ed è questo il motivo per cui il “West Side Story” di Spielberg è un gran film, inutile girarci attorno.
Ora continuate a dirmi che 1941 non è uno dei film più importanti di Spielberg, eh? |
Difetti? A parte la sfida enorme per me di affrontare 156 minuti di un musical? Forse il fatto che in molti momenti la fotografia impeccabile di Janusz Kamiński conceda tutto quell’uso di luci sparate (quasi al limite del lens flare spinto), tanto da rendere tutto un po’ troppo laccato in certi momenti, eppure è innegabile che anche alcuni interni, risultino sospesi nel tempo proprio grazie alla cura di Kamiński, forse allora potrei dire che mi è mancato un po’ di trasporto nella prova di Ansel Elgort, ma probabilmente perché lo trovo più adatto a ruoli dove il suo personaggio cerca di mantenere un certo grado di distacco.
Ragazzi ho detto distacco, un po’ di distanziamento sociale, forza. |
Questa è la New York City Serenade di Steven Spielberg, la storia del ragazzo per le strade della Grande Mela che zio Steven voleva raccontare da tutta la vita, perché senza la quale non sarebbe mai diventato un regista e la più impeccabile macchina da cinema in circolazione su questo gnocco minerale che ruota attorno al sole. Le tue preghiere Steven non sono cadute sopra un cuore di pietra (credo di aver fatto una cit. involontaria), io l’ho riconosco l’amore quando lo vedo, specialmente quando è un grande uomo di cinema che non ha ancora smesso di parlarci del suo amore per la settima arte, probabilmente continuerà a giudicare molti musical più di testa che di pancia però io ti ho capito Spielberg, il mio cuore è con te.
It’s midnight in Manhattan
this is no time to get cute
It’s a mad dog’s promenade
so walk tall or baby don’t walk at all