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White men can’t jump (2023): a volte il sole non batte nemmeno sul culo di un cane

Nella pallacanestro il tempismo è fondamentale, un passaggio
nel momento giusto, oppure farsi trovare smarcato quando più conta, il tempismo
per me è stato scoprire che questo tanto minacciato rifacimento, dopo anni di
annunci più o meno credibili, era diventato una realtà proprio mentre era
impegnato nella stesura del post sul film originale (storia vera).

Badate bene, erano anni che Blake Griffin minacciava il
mondo con il suo piano malefico di produrre un remake del classico di Ron
Shelton, ma detta fuori dai denti, averlo fatto davvero è un’onta che andrebbe
aggiunta sul curriculum della sua carriera, un enorme vorrei ma non posso. Ne
abbiamo perdonate tante a “Bad Blake” in questi anni, ma questo rifacimento è
peggio di una gomitata a gioco fermo.

Grazie Bad Blake eh! Mannaggia a te mannaggia!

Ok, oggi come oggi l’arte del remake è la più alta forma di
onorificenza, una specie di attestato di popolarità, perché non succede mai che
rifacciano i film un po’ sfigatini, che avrebbero bisogno di un’aggiustata,
figurati! Rifanno sempre e soltanto i titoli che nel corso degli anni sono
assorti a stato di culto presso il pubblico, proprio come il film di Ron Shelton, che ha contribuito a lanciare il talento di Woody Harrelson.

“White men can’t jump” arriva in un momento in cui la
pallacanestro al cinema va fortissimo, stanno uscendo tanti film sul gioco
creato dal dottor James Naismith, un sacco ne vedrete sbarcare molto presto
anche su questa Bara, quindi fate due tiri per riscaldarvi, perché avremmo un
mucchio di palloni a spicchi qui sopra. Per certi versi questo remake era un
dente da togliersi, perché sono davvero troppi anni che se ne parlava, avere Hulu
di mezzo a garantire sull’operazione, se non altro concede quel
minimo di irriverenza di cui una storia così ha bisogno, e devo essere onesto,
l’inizio di “White men can’t jump” non è nemmeno così male.

Nel tentativo di riportare la storia dal 1992 al 2023, gli
sceneggiatori Kenya Barris e Doug Hall, insieme al regista Calmatic (che arriva
dai videoclip e dalla pubblicità e purtroppo questo dettaglio, richiederà il
suo tributo di sangue) pensano bene di creare dei nuovi giocatori, con il buon
gusto per lo meno di non chiamarli Sidney e Billy come quelli del film
originale, almeno quello!

Eccoli qui i nuovi Ebony & Ivory.

Il primo è Kamal, interpretato da Sinqua Walls che ad un
certo punto del film, viene etichettato come un “Dwyane Wade sfigato” e per
fortuna che hanno inserito quella battuta auto ironica, perché l’attore è veramente
identico a D.Wade, forse avrebbe avuto più fortuna firmando per una biografia
sull’ex giocatore dei Miami Heat. Il suo personaggio è il classico prospetto già
pronto a fare il salto nell’NBA, suo papà ci crede tantissimo e una delle
trovate più interessanti di questo rifacimento è proprio lui, il mitico Lance
Reddick interpreta (purtroppo per l’ultima volta, infatti il film è
doverosamente dedicato alla sua memoria) papà Benji, classico padre di futura
super star leggermente invadente, un ottimo modo per strizzare l’occhio al
famigerato LaVar Ball, terrore dei giornalisti e furia a bordo campo, padre dei
professionisti Lonzo, LiAngelo e LaMelo Ball, che ancora oggi faticano ad
uscire dall’invadente ombra paterna.

Ecco, peccato che questa buona abitudine di occhieggiare
senza citare apertamente ai giocatori e alle dinamiche della NBA, il film la
perda molto presto, con una bella ellisse Calmatic fa fare un salto in avanti
di dieci anni alla storia, Kamal non ha sfondato, gioca partitelle nel suo
vecchio liceo e non ha raggiunto l’NBA per via di intemperanze caratteriali (qui
potrebbe esserci lo zampino del produttore Blake Griffin), le stesse che
sfrutta il primo biancastro vestito in maniera improponibile, con una
collezione di sandali da galera, che gli sfila un bel po’ di quelle che un
tempo qui chiamavano “banane verdi”, in una gara di tiro.

«Siamo sicuri che Cassidy possa dire banane verdi? Mi sembra un po’ razzista», «Sono i famosi fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti di cui parla sempre, lo potrà dire no?»

Si tratta di Jeremy (il rapper o presunto tale Jack Harlow),
un ricciolone che un tempo giocava per Gonzaga prima di piallarsi entrambi i menischi. Quante storie di ex ginocchia integre avete sentito nella vostra vita al
campetto? Jeremy è una di queste, con la differenza che per quanto spiantato,
non si rassegna vivendosi malissimo la sua condizione di contraddizione vivente:
vegano convinto, che tira a campare vendendo beveroni de-tox che però allo
stesso tempo, si ammazza di pillole per il dolore, insomma già la trama inizia
a scricchiolare, e non mi riferisco alle ginocchia di Jeremy.

Da qui in poi “White men can’t jump” procede come da
programma, i due Ebony and Ivory diventano amici, anche fin troppo presto nell’economia
del film. Sono due talenti del basket, hanno bisogno di soldi, il primo per il
salone di bellezza di sua moglie Imani (Teyana Taylor), il secondo per le
staminali per le sue ginocchia, quindi le partite per spillare soldi ai polli
sono la soluzione, ed è qui che iniziano i problemi veri.

Il Billy di Woody Harrelson si vestiva come un coglionazzo
bianco battendo in uno contro uno i pregiudizi, per spillare soldi a chi era
così scemo da cascare nella finta, Jeremy invece va in giro vestito come un
coglionazzo vegano figlio dei fiori, perché è convinto, perché si ritiene figo.
Certo, Kamal e Jeremy per le loro partitelle tre contro tre e cinque contro
cinque, tirano dentro anche tutti quei giocatori che nessuno sceglierebbe mai
al campetto, ma sono solo un modo per riempire il film di personaggi coloriti
che dovrebbero far ridere (senza riuscirci), esattamente come i due compari di
Kamal, che per tutto il tempo si sfottono sulla passione di uno dei due per le
culone bianche. Impegno per far ridere tanto, risultati pochissimi.

In due non fanno mezza battuta decente, serve qualche ripetizione di “Trash talk”?

L’idea di base di Chi non salta bianco è, ovvero le
truffe basate sul quello che gli americani chiamano “He don’t look like a
basketball player” decadono presto, in favore di una storia che ogni tanto
riesce a spremere fuori le trovate divertenti dalla stramba coppia di
protagonisti (il loro discorso Pitì Anderson Vs. Spike Lee oppure il campionario
di battutacce che Jeremy, in quanto bianco, non può usare visti i tempi che
corrono), ma è davvero pochissima cosa in un film molto impegnato ad
atteggiarsi.

Metà delle volte che Jeremy apre bocca, lo fa per citare il
nome di qualche giocatore dell’NBA, classica trovata che fa fare «Minchia oh!
Ha detto Antetokounmpo!» ai fanatici della lega di basket più famosa del mondo,
uno snocciolare nomi urticante quanto il cercare di far capire anche all’ultimo
degli spettatori che sonnecchia sul divano, che questo è il nuovo “White men
can’t jump”, quello dove si parla di selfie, followers e altre menate da
Social-Cosi che con il basket non hanno troppa cittadinanza.

Se riuscite a digerire tutto questo, se non altro il primo
atto del film di Calmatic (detto Cataclismatic) fila via abbastanza agilmente,
complice anche la panoramica sui campi in cui giocano i protagonisti, uno più
bello dell’altro, anche il più malfamato vi farà piangere calde lacrime
pensando alla condizione in cui riserva il vostro campetto di provincia
preferito. Poi però colto da quest’ansia di esagerazione di chi si dedica all’atteggio,
va in scena il momento in cui una volta Marques Johnson tirava fuori il ferro,
che qui viene sostituito da – tenetevi forte – un lanciafiamme. Ma perché dico
io? Non fa ridere, non ha alcun senso che uno nel ghetto abbia un lanciafiamme, perché questa sboronata tipo “logo shot” che va ad un metro dal ferro? Vabbè!

Trovo significativo che tra le immagini promozionali del film, l’unica dedicata al basket “giocato” sia questa.

Dico sempre che i classici prima di rifarli, bisognerebbe
capirli, per avere chiaro in testa cosa li ha resi tali, ad esempio una forza
del film di Ron Shelton erano i personaggi femminili, con più testa e più palle
dei loro uomini, ovvero il vero barometro della storia, qui? Per il 50% non pervenute. Se
la Imani di Teyana Taylor se non altro ha un ruolo, uno sviluppo e anche una
logica, l’ancora più fondamentale fidanzata di Jeremy, ovvero Tatiana (Laura Harrier) è un vuoto pneumatico che fa rimpiangere due o tre volte Rosie
Perez di cui dovrebbe essere la nuova versione. Una cretina che invece di sfanculare
il coglione con cui sta, crede ad ogni sua menata, perché tanto è un personaggio
accessorio, in una storia che quando fa dei cambiamenti risulta pavida e senza
una vera idea precisa su che direzione intraprendere. Come uno in campo che ha la palla in mano ma
non conosce lo schema di gioco.

Una volta che hai messo in panchina i personaggi femminili e
la trovata delle scommesse per soldi, basate sull’aspetto da coglionazzo, cosa
dovrebbe restare di Chi non salta bianco è? Le lezioni di vita che solo
la pallacanestro sa darti e le schiacciate, bene, Calmatic (detto Cataclismatic)
trasforma le lezioni imparate sul campo da basket, che poi ti servono più che
altro nella vita reale, in una favoletta che più che Hulu che produce, ricorda
il classico filmetto da Disney+ dove trovate comodamente ‘sta roba. Le
schiacciate? Tutto si risolve ad una, lo ripeto una, UNA, U-N-A battuta sul fatto che
anche i bianchi saltano, per un film che decide che delle schiacciate, che poi
sarebbero quelle che giustificano il titolo del film, ma non importa, ne possiamo fare
tranquillamente a meno. Pensare di rifare Chi non salta bianco è senza
le schiacciate è sensato come mettersi in testa di rifare Heat,
infilando la meditazione al posto delle rapine in banca, no sul serio, ma di
che cosa stiamo parlando esattamente? Essù fate i bravi!

Sul serio, chi ha potuto davvero pensare che QUESTA fosse una buona idea? Chi!?

Quando il cursore di scorrimento del film su Disney+ ha
raggiunto la metà del film, mi sono chiesto come avevano esattamente in testa
di far continuare una storia che non aveva già più niente da dire alla metà del
secondo atto, poi purtroppo l’ho capito.

Da un certo momento in poi, “White men can’t jump” profonda
nelle paludi della tristezza nemmeno fosse Artax il cavallo, forse mettendosi
in testa di essere un dramma vero, sulla condizione di cosa? Dei giocatori semi
professionisti di Basket in America? Sta di fatto che Kamal e Jeremy da
simpatichini (o almeno tollerabili) che erano, diventano due musoni con i
problemi, alcool, depressione, roba che pare che qualcuno ti abbia hackerato il
profilo di Disney+ cambiandoti il film in corso, senza avvisarti.

Chi non salta bianco è non aveva protagonisti
problematici, il problema più grosso lo aveva Billy, nel suo essere uno
scemo che faceva sempre le scelte sbagliate nella vita. Che senso ha rendere
Kamal uno con problemi di gestione della rabbia e Jeremy un personaggio dal
corpo spezzato? Due drammoni bipedi che non portano la storia da nessuna parte,
se non nella valle di lacrime della favoletta dal finale lieto. Unica nota
positiva? Per lo meno il personaggio di Lance Reddick ne esce bene da questa
svolta drammatica, “White men can’t jump” di colpo diventa un film sull’assenza
del grande attore, senza volerlo (perché nessuno avrebbe voluto doverlo fare)
risulta essere un buon saluto finale ad uno che purtroppo ci ha lasciati troppo
presto, almeno quello va riconosciuto a questo filmetto.

Se non altro, il saluto è sentito, grazie di tutto Lance, ci vediamo nei film!

D’altra parte di che stiamo parlando? Siamo davanti ad un’operazione
che toglie Jimi Hendrix e lo sostituisce con Ed Sheeran, nemmeno per motivi
metaforici, ma semplicemente perché va di moda il rosso. Quindi questo film il
cui massimo interesse è atteggiarsi e risultare moderno, ci butta dentro un
pezzo del cantante, ennesima trovatina comica che non fa poi granché ridere ed
ora ve lo devo chiedere: conoscete qualcosa che è migliorato aggiungendo le
musiche di Ed Sheeran? Io no, sicuramente non questo film che risulta essere un’operazione
come Space Jam… Il secondo però.

Il finale della favoletta procede come da programma, con
tutti, ma proprio tutti che si realizzano e trovano il loro scintillante posto
nel mondo, una gomitata in bocca al finale del film di Ron Shelton, che sapeva
essere realistico, senza risultare caramelloso, insomma se l’intento
era di convincere anche quei pochi a cui già non fosse chiaro, che il film originale è un capolavoro, ora per contrasto diretto, dovrebbe essere chiaro a
chiunque.

Se volete c’è posto in panchina per voi due, la vecchia scuola ha ancora molto da insegnarvi.

Insomma, in un momento in cui ci sono tanti film dedicati allo sport più bello del mondo, per rifare uno dei più iconici e riusciti di
sempre così male, ti devi anche impegnare. A questo punto meglio un film dalla
trama molto lineare, che strizza giustamente l’occhio a Rocky (cosa buona e
giusta) come Hustle, che risulta un milione di volte più coinvolgente di questa
robetta, anche solo per le parti giocate di basket, piuttosto che mettere le mani così
malamente sui classici. Per un po’ di film sul basket, con cui fare la pace con
il gioco e la Settima Arte, restate su queste Bare, abbiamo solo iniziato a
giocare, questo remake invece, lasciatelo in panchina, dove merita di restare
per essere dimenticato il prima possibile.

Visto che mi sono dimenticato di citarlo l’ultima volta, per un ripasso sull’unico “Chi non salta bianco è” che conta, vi ricordo il post del Zinefilo!

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