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Why Don’t You Just Die! (2020): quando un genero con il martello incontra un suocero col fucile…

A casa Cassidy anche i cani sono soggetti parecchi
strambi, ne ho una in fissa con i film di Nicolas Cage (STORIA VERA), mentre l’altra guarda lo schermo solo nel momento
esatto in cui comincia una scena particolarmente violente: sparatorie, omicidi,
accoltellamenti, i suoi momenti preferiti. Ora che ci penso quel cane mi fa un po’ paura.

Sta di fatto
che “Why Don’t You Just Die!”, il mio cane lo ha visto dall’inizio alla fine, sul divano
accanto a me senza mai staccare lo sguardo dallo schermo (storia vera).
Presentato all’ultimo Torino Film Festival, questo film
russo ci ha messo un po’ ad uscire (direttamente a noleggio) con il titolo
Italiano “Muori Papà… Muori!”, quasi opposto a quello scelto per i mercati
anglofoni, ma per altro molto più in linea con l’originale “Papa, sdokhni”,
letteralmente “Papà, muori”.
Cosa dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Che
ne determinano tutto l’andamento, per “Why Don’t You Just Die!” portate il
minutaggio attorno ai dieci minuti ma il risultato non cambierà, vi descrivo
solo l’inizio.
Quando è complicato per un ragazzo conoscere i genitori
della propria ragazza? Un momento chiave no? Ecco, Matvei (Aleksandr Kuznetsov)
si presenta a casa del padre di Olya con indosso una felpa con il logo di
Batman e in tasca, un martello, nemmeno fosse il protagonista di “Oldboy”
(2003). La situazione già tesa, passa in un attimo da falsa cortesia di
facciata a provocazioni dirette, per scivolare in un attimo in botte da orbi,
colpi di fucile, morsi e televisori (con il tubo catodico) lanciati in piena
faccia. Tutto questo per altro succede, PRIMA dei titoli di testa del film.

Sembra una scena pronta per finire replicata a ripetizione su Blob.

Il regista e sceneggiatore di questa adorabile follia è
l’esordiente Kirill Sokolov, uno che sembra avere da subito chiarissimi i suoi
riferimenti cinematografici, tanto da riuscire ad omaggiarli quasi tutti nel
corso del film. Troppo facile, per via dell’abbondante utilizzo di emoglobina
nel film, il paragone immediato, quello che hanno fatto tutti, con un certo
regista di Knoxville di nome Quentin, sicuramente figura anche lui tra i punti
di riferimento di Sokolov, che però spazia, portando in scena un massacro a
metà tra la storiaccia Pulp però raccontata con uno spunto pop. Con un utilizzo
delle musiche – bellissime e spesso volutamente fuori contesto – alternate ad un tema
musicale quasi western, che invece è uno spudorato omaggio al maestro Sergio Leone.

Matvei e il suo futuro (quasi ex) suocero, organizzano un
duello western nel tinello di casa, così che per una volta anche io possa dire
di aver apprezzato uno di quei film dove due “congiunti” (per utilizzare
un’espressione molto in voga in questi giorni) battibeccano dei loro problemi
familiari nel soggiorno di casa, solo che qui lo fanno a colpi di revolverate,
torture, ginocchia perforate con il trapano e lezioni sul come liberarsi dalle
manette, che sembrano dei tutorial pescati in rete. Insomma, tanta bella robinia che piace a questa Bara!

“Tranquillo, sentirai solo una piccola punturina”

In tutta questa caciara girata in maniera millimetrica,
in cui ogni dettaglio conta ai fini della storia, Kirill Sokolov mette su una
trama un pochino più profonda di quello che il semplice massacro, lascerebbe
intendere. Nel corso della storia con l’entrata in scena di Olya, con alcuni
flashback sul passato scolastico del protagonista e sulla madre della ragazza
(personaggio quasi sullo sfondo, protagonista di una scena anche parecchio
dolorosa), il regista riesce a parlare di maltrattamenti, interni alla società
ma prima di tutto interni alla famiglia, che poi è il primo posto dove
impariamo a come comportarci nel mondo là fuori.

La violenza peggiore, quella domestica.

Con una trama fatta di personaggi sopra le righe e
situazioni tutte matte (lo strambo “potere” di Matvei ad esempio è umorismo
nero allo stato puro), Kirill Sokolov porta in scena un dramma da interni i cui gli elementi sono intassellati l’uno sull’altro come in un film di Guy Ritchie, ma
forse con ancora più gusto per l’emoglobina e le botte.

Il suocero di Matvei è un poliziotto piuttosto in vista
ma anche parecchio magheggione, quindi ogni situazione e duello tra singoli
personaggi, prima di risolversi, può scoperchiare un altro piccolo
vaso di Pandora, pieno di scheletri negli armadi che andranno ad alimentare uno
spunto di partenza già al limite, un modo di procedere per accumulo sì, ma portando
per mano il pubblico giù lungo lo scarico di questo assurdo cartone animato
super violento.

“Questi? Li sto lavando. Mi hanno detto essere soldi sporchi”

I colpi di scena e i momenti di goliardico disgusto (come
il recupero della forcina nella vasca… Bleah!) non mancano, ed ogni duello
diventerà una sparatoria in cui sarà piuttosto chiaro come mai abbiano
scelto “Why Don’t You Just Die!” come titolo, visto che i personaggi sono
davvero duri a morire.

Inoltre ogni dettaglio del film conta, un esempio? Il protagonista decide di affrontare l’odiato suocero indossando una felpa di Batman. Può sembrare una citazione pop da poco, magari lo sarà anche, eppure è anche un buon modo per narrare usando le immagini, di fatto é quello che il personaggio pensa di sé stesso.

“I’m Batman!” (cit.)

Insomma “Why Don’t You Just Die!” procede bello diretto
per i suoi cento minuti, rallentando solo quando è necessario per raccontare il
passato di qualcuno dei personaggi, ma continuando a correre diretto verso il
duello finale, una sparatoria senza esclusioni di colpi (bassi) e pallottole in
puro stile Western. Il risultato finale è un gioiellino di sangue e umorismo
nero che ci lascia con un nuovo regista da tenere d’occhio per il futuro.

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