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Willy’s Wonderland (2021): mi si nota di più se non parlo o se vengo ad ammazzare animatronici?

Io odio le mascotte. Sul serio, da appassionato di pallacanestro, tocca guardarsi le partite intervallate dallo spettacolo durante le pause di gioco, in cui alcuni poveretti (sottopagati) sono costretti ad intrattenere il pubblico conciati come l’animale simbolo della squadra, sul serio insopportabile. Devo dire invece che mi piacciono molto i film con Nicolas Cage e da oggi, ne ho uno che riunisce insieme questi due elementi agli antipodi, fate largo a Willy’s Wonderland!

Fin dal suo annuncio, “Willy’s Wonderland”, con Nicolas Cage impegnato a fare a botte con alcuni animatronici impazziti come nella profezia sulla giostra dei pirati dei Caraibi di Ian Malcom, il film ha attirato il giusto numero di attenzioni. Ma spaziamo subito il campo da possibili incomprensioni, questo titolo non ha nulla a che spartire con il videogioco “Five Nights at Freddy’s”, anche se bisogna ammetterlo, sembra davvero l’adattamento cinematografico non dichiarato, in grado di bruciare sul tempo l’adattamento ufficiale del gioco che dovrebbe essere firmato da Chris Columbus (storia vera).

Dannate mascotte, prima o poi arriverà qualcuno in grado di togliervi i vostri sorrisi di plastica.

A ben guardarlo “Willy’s Wonderland” sembra il cugino matto (ancora di più) di The Banana Splits Movieci sono i pupazzoni assassini, non manca nemmeno una musichetta infantile e martellante (“The birthday song and Willy’s jingle”), che utilizzata fuori contesto dovrebbe generare terrore. Ma se il film sui Banana Splits esauriva presto la sua carica sovversiva, “Willy’s Wonderland” risulta ancora più scarso, svogliato e anche realizzato molto peggio, ma andiamo per gradi.

Il Willy’s Wonderland del titolo è un ristorante per famiglie dove un tempo, si portavano i bambini a festeggiare il compleanno, tra sale adibite a far scatenare i marmocchi e otto animatronici sul palco, programmati per ballare e cantare canzoncine sceme, personaggi amatissimi come Gus Gorilla, Arty Alligator e Siren Sara, che poi é anche l’unica che si distingue in mezzo a questa banda di mamozzi che il regista non si batte minimamente a caratterizzare, o anche solo a differenziare uno dall’altro. Sappiamo solo che Cammy Chameleon ha una lingua che utilizza per acchiappare al lazo le sue vittime, che Tito Turtle è la quota comica perché parla spagnolo e ha in sombrero in testa mentre Willy Weasel, oltre ad essere la mascotte simbolo di questo ristorante su cui è basata l’economica dell’intera cittadina, è anche il “Boss finale” da sconfiggere.

Certe notti, coi bar che son chiusi, al primo autogrill Willy’s Wonderland c’è chi festeggerà (quasi-cit.)

Si perché lo sceneggiatore G. O. Parsons (nome palesemente inventato per non farsi riconoscere in giro, G. O. nel senso di Go! Fuggi!) ci tiene tantissimo a creare un contesto dietro alla premessa scema: Nicolas Cage fa a botte con dei pupazzoni animatronici assassini. Quindi non una, ma due volte, lo sceneggiatore pensa che la cosa giusta da fare sia ammazzare il ritmo del film infilando due personaggi distinti, impegnati a farci un lungo spiegone sulle origini di questo ristorante per famiglie.

Prima tocca a Liv (Emily Tosta, più di nome che di fatto) e poi alla sceriffa Eloise (la mitica Beth Grant) ad ammazzare il ritmo raccontandoci l’ideona di G. O. Parsons: il fondatore del locale era un serial killer, beccato dalla polizia, con un rito satanico si è suicidato con tutta la sua banda stile famiglia Manson, finendo per reincarnarsi nei pupazzoni. Da allora il nuovo proprietario, un cowboy losco in combutta con il locale meccanico, fanno soldi mandando i poveretti che finisco per errore in città a morire per mano dei pupazzoni al Willy’s Wonderland. Sentivate il bisogno di questo arzigogolo? Non era meglio dire solo Nicolas Cage a pugni e testate contri gli animatronici? A volte meno è meglio.

Tosta, per ora solo di cognome ma diamole tempo.

Fatemi rincarare la dose, tutti gli adolescenti infilati a forza nella storia, ad Ovest di Liv, sono solo carne da cannone come in un generico Slasher a caso, personaggi ferma posto che servono solo a morire ammazzati aumentando la conta delle vittime, morendo come fanno sempre i ragazzini negli horror, ovvero uccisi dopo essersi lasciati andare a troppi ormoni, come capita a due dei malcapitati qui, che per altro fanno sesso completamente vestiti, perché ormai le scene di nudo negli horror sono bandite, questo è l’unico elemento dei film dell’orrore anni ’80 per cui sento vera malinconia.

Basta così? No, sono in vena di fare un massacro perché non passi nemmeno per errore il messaggio che “Willy’s Wonderland” sia anche un bel film, non lo è, il regista Kevin Lewis è un cagnaccio che firma il manuale sul come NON si dovrebbero mai dirigere le commedie horror d’azione. Lewis non riesce a creare tensione nemmeno per errore, il montaggio è più barbaro dei pugni assestati da Nicola Gabbia ai pupazzoni, alcuni stacchi sembrano fatti con un machete poco affilato, in compenso la regia che dovrebbe essere frizzante risulta piattissima. Per rendere scoppiettante una storia così ci vorrebbe un bel montaggio e le inquadrature tutte matte alla Sam Raimi, solo che Kevin Lewis è distante da Raimi come il Sole da Urano, quindi perché bisognerebbe guardare “Willy’s Wonderland”? Per due ragioni fondamentali, la prima è Nicolas e la seconda è Cage.

Qui la legge si ferma e comincia Nick (quasi-cit.)

A bordo di un discreto ferro, una Chevrolet Camaro SS rombante, entra in scena il nostro Nicola, con la barbetta appena sfoggiata in Storia delle parolacce, la giacca di pelle (che non può mancare) gli occhiali da sole a specchio e le targhette da militare appese allo specchietto retrovisore, che sono anche l’unica caratterizzazione del personaggio che di fatto, è un pistolero senza nome, identificato come “The Janitor” dai titoli di coda del film, il bidello, quello che avrei sempre voluto avere a scuola.

In una sorta di versione distorta della scena iniziale di Red Rock West, il nostro bidello sgommante fa esplodere una gomma su una trappola dentata piazzata lungo la strada, il locale meccanico può cambiargli il treno di gomme ma gli costerà bei soldi e in città (per una trovata pigrissima della trama), Internet e bancomat non funzionano bene, volendo per pagarsi le gomme nuove il “pistobidello” senza nome può passare una notte a fare le pulizie al Willy’s Wonderland. Terminator Nick Cage da dietro gli occhiali da sole fa solo sì con la testa, lo spettacolo può cominciare.

I’ll be back (enter the Nick)

Ormai lo sappiamo, il nipote di Francis Ford Coppola e Talia Shire decide un nuovo “tick” da applicare ad ogni suo personaggio e non ho capito se la scelta di rendere il “pistobidello” una sorta di dipendente dalla confezione di birra (o bibita energetica, non è chiaro) sia una scelta della trama per giustificare la sua super forza e la sua resistenza al dolore, oppure solo un altro modo per far scatenare il nostro Nicola.

Sta di fatto che con sinistra puntualità, il timer sul suo orologio da polso suona ricordando al protagonista che è il momento di sgargarozzarsi una nuova lattina. Se poi a questo aggiungiamo che tra una lattina e una pulizia, il nostro Nick si diverte a giocare con il flipper di Willy’s Wonderland, io non saprei cosa aggiungere se non ammirazione per un personaggio, che tra una selva di mazzate riservate all’animatronico impazzito di turno, trova il tempo di farsi una partita rispettando la sua implacabile routine. Tra i cinque o sei “Momenti Cage”, vi segnalo soltanto Nick che accenna un balletto giocando a flipper, sulle note della canzone che porta il titolo del film composta e cantata da Émoi, un pezzo che di fatto riassume la trama del film (meglio della sceneggiatura), che mi sto sparando in cuffia anche in questo momento. Ogni tanto accenno anche passi di danza davanti alla tastiera ispirandomi al Maestro di stile e modello di vita Nicola Gabbia (Storia vera).

He’s a pinball wizard, there has got to be a twist / A pinball wizard’s, got such a supple wrist (cit.)

“Willy’s Wonderland” quindi diventa un film che ripete la stessa gag per 88 minuti: un animatronico si risveglia, Nick Cage lo gonfia di botte, gli frantuma il cranio oppure gli stacca la testa, pulizie per sistemare il casino, birretta energetica, partita a flipper e via così fino al prossimo risveglio del animale di peluche sovra dimensionato e assetato di sangue. Quello che succede nel mezzo, arrivo dei ragazzini compreso, é solo un apostrofo rosso sangue tra le parole “Nicolas Cage” e “Show”.

L’implacabile serietà congenita con cui Nicola porta in scena questo bidello senza nome è ammirevole, mentre guardavo il film il termine di paragone più sensato per descrivere la prova di Cage che mi è venuto in mente è stato con, tenetevi forte, Christopher Lee. Vado a spiegare perché certe sparate vanno argomentate.

Lo sguardo di penitenza di Ghost Rider Nick Cage.

La leggenda vuole che messo spalle al muro dalla Hammer, Christopher Lee tornò ad indossare il mantello del conte Dracula per la seconda volta, ma sul set, si rifiutò di recitare anche una sola riga di dialogo del copione (storia vera). Il risultato fu il vampiro silente di Dracula principe delle tenebre, bisogna poi aggiungere che Lee il celebre ruolo è tornato ad interpretarlo numerose volte, perché anche lui proprio come Nicolas Cage, non rifiutava un ruolo nemmeno sotto minaccia armata.

Quindi se la trovata della birretta energetica ha una specie di spiegazioni (sommaria) nella storia, l’idea di interpretare un ruolo muto deve essere stata la sfida che ha attratto Nick Cage verso le sirene di “Willy’s Wonderland” (inteso come film, non come ristorante) anche se immagino che l’assegno ricevuto, facesse altrettanto gola.

La meritata birretta di metà post.

Sta di fatto che il Bidello senza nome di Nicola per 88 minuti pronuncia zero parole, nisba, nada, zip, niente! Nemmeno una, persino quando gli altri personaggi si rivolgono a lui, Nicolas Cage risponde al massimo loro con uno sguardo cazzuto, un silenzio schifato, sfoggiando una gamma di tostissimi silenzi che non parlano ma ottengono il risultato sperato, ovvero zittire tutti, perché parafrasando una vecchia pubblicità: silenzio, parla la pasta Nicolas Cage. Anche quando non parla.

Se siete pronti a sorvolare su una trama idiota, su una regia maldestra e su spiegoni inutili, “Willy’s Wonderland” diventa la perfetta occasione per essere invitati alla corte di Re Nicolas Cage, imperatore di un regno in cui noi, siamo tutti suoi ospiti e dove può permettersi tutto, da ballare davanti al flipper a prendere a cazzotti Gus Gorilla nel cesso del locale, spaccandogli la testa contro la tazza del cesso, come non vedremo fare nemmeno a Godzilla nel prossimo “Godzilla Vs. Kong”.

‘Zilla puoi tornare a casa, Kong lo ha già menato Nick.

Il dominio imposto da Re Nick su questo film è totale, più grande della trama, del suo regista e di un film oggettivamente cretino, Cage diventa lo spettacolo imperdibile che tiene in piedi un film altrimenti inutile, quando uno dei pupazzi lo provoca chiamandolo Cowboy, lui ammanettato per esigenze di copione (altrimenti è troppo facile), tira un calcio al Jukebox facendo partire la cantilena “Head, Shoulder knees and toes”, che poi sono proprio le parti del corpo che utilizza per ammazzare un altro po’ di mostri: testate, spallate, calci e uno strangolamento con le cosce nemmeno fosse la Bond Girl di Sophie Marceau, che in uno degli 007 si lanciava nella stessa specialità.

Tutti pronti per la quadriglia? Quattro sberle e tutti a casa.

Ma quando la notte cala e il mattino sorge su Nicolas Cage ancora in piedi, trionfante sui pupazzi (davanti e dietro la macchina da presa) di questo film, tutto è apparecchiato per un gran finale: se parto da qui domani, mi ricorderai ancora? Cantano i Lynyrd Skynyrd mentre Nick indossa giacca di pelle, occhiali e riprendendosi la sua Chevrolet, lancia uno sguardo a Liv e a quel punto il testo di “Free Bird” sembra parlare al posto del protagonista, perché ci sono troppi posti che devo vedere ma se rimango qui con te ragazza, le cose non potrebbero essere le stesse, perché ora sono libero come un uccello, e questo uccello non lo puoi cambiare. No Nick, non cambiare mai, ti vogliamo sempre così, grazie di esistere!

Hai invocato tanto la pioggia mascotte che adesso è arrivato il diluvio.

Posso dirlo? Lo dico? Quando ho sentito partire “Free Bird” io mi sono emozionato (storia vera). Secondo, anzi terzo miglior utilizzo di quel pezzo mai visto in un film, ci vuole un certo vissuto e una certa statura artistica per non andare sotto con perdite nel confronto diretto con il leggendario pezzo dei Lynyrd Skynyrd, questo film non se lo meriterebbe nemmeno un pezzo così nella colonna sonora, ma Nicolas Cage sì, perché qui é libero di fare il cazzo che gli pare, anche rendere memorabile un film oggettivamente inutile, può permetterselo solo uno con una convinzione dei suoi mezzi come quella di Nicola, quindi vola Nick vola, perché le gabbie tu le hai solo nel cognome. Che per altro ti sei scelto anche da solo.

Gli occhi di chi ha visto tante mascotte, la faccia di chi le ha menate tutte.

Mentre Nicola sfreccia fino al prossimo filmaccio che trasformerà in oro (o presunto tale), possiamo solo invocarlo come faceva il ragazzino con Shane mentre cavalcava verso il tramonto. Torna presto Nicola e grazie per tutte le mascotte prese a calci nel culo.

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