Inizio di anno interessante per questo 2025, abbiamo avuto un ritorno in grande stile per il vampiro più famoso del mondo, che nella versione di Eggers ha raccolto critiche e consensi, pescando dal mucchio, per qualcuno non ha saputo adattare il mito del conte ai tempi moderni, per altri lo ha fatto troppo. In più gli ha messo i baffi, e se della peluria sul labbro superiore ha fatto discutere, figuriamoci cosa accadrà al film di Leigh Whannell che ha un personaggio completamente ricoperto di peli, ma prima, piccolo passo indietro.
Per certi versi siamo nel pieno di una seconda ondata di mostri della Universal, ci è andata bene (o male a seconda dei punti di vista) che la prima, quella che aveva mire da MCU, si sia schiantata di faccia contro l’insuccesso di titoli come “Dracula Untold” e La Mummia nella versione di Tommaso Missile. Da quell’operazione naufragata è arrivato Jason Blum e con la sua politica di spendere poco, che ha deciso di tirare dentro il nemico-amico di Lucius, mi riferisco a Leigh Whannell.
Esploso con al saga di Saw, amicone di James Wan, il nostro Leigh Whannell è lanciatissimo, il suo ottimo Upgrade cantava la canzone del corpo smembrato e integrato con le macchine, mentre sotto l’egida di Giasone Blum, ha reimmaginato il mito dell’Uomo Invisibile, trasformandolo in una storia di maltrattamenti a danni del più pericoloso degli stalker, un ottimo film purtroppo falcidiato da un’uscita in sale rese vuote dalla pandemia.
Ovviamente Giasone non ha perso tempo, squadra che vince non si cambia e sotto con il prossimo mostro della Universal, Leigh! Ma il nostro ha preso del tempo, i lupi mannari sono maledetti per definizione, pochi hanno saputo renderli davvero mitici al cinema, anche perché a detta dello stesso Whannell è impossibile svincolarsi dall’ombra lunga della trasformazione, tutta in bella vista e in piena luce, quella portata in scena da John Landis e Rick Baker, proprio per questo bisognava trovare un altro modo per fare la pelle a questo uomo lupo.
Per certi versi “Wolf Man” è Il male dentro ma nella versione giusta, in puro stile Blumhouse Whannell sceglie di avere un cast striminzito, poche location e anche una situazione da mezzo assedio, che comune contribuisce sempre a tenere bassi i costi di produzione. Per farlo si concentra sui personaggi e sceglie un altro tema “caldo”, due parole sulla sinossi e poi ci mettiamo sulle tracce di questo lupastro.
Blake (Christopher Abbott visto in Povere Creature!) è un padre di famiglia con i fiocchi, premuroso e attendo anche nel prendersi cura della figlia Ginger (Matilda Firth) che per inciso, ha un nome che penso sia una citazione, una di quelle giuste perché Whannell è uno che fa i compiti, basta dire che all’inizio del film si vede passare un camion che sulla fiancata riporta il nome del mitico truccatore Jack Price.
Un giorno Blake riceve la notizia di aver ereditato i beni paterni, una casa tra gli isolati boschi dell’Oregon che per l’uomo, porta con se i brutti ricordi del suo travagliato passato e dei traumi infantili patiti per colpa di un padre autoritario (impersonato da Sam Jaeger), uno di quei cacciatori e survivalisti vecchia maniera con cui Blake aveva da tempo rotto i rapporti, ben prima della dipartita del – non tanto – poro nonnino.
Si parte quindi tutti per la baita isolata con la moglie Charlotte (Julia Garner vista in Appartamento 7A e qui, anello debole della catena per una prestazione spesso spaesata), il tutto mentre il matrimonio della coppia è più sotto assedio di come si ritroveranno di lì a poco i personaggi, visto che una bestiaccia si aggira da quelle parti e papà Blake comincerà presto a non essere più lo stesso di prima.
“Wolf Man” è due film in uno, la prima parte è ambiziosa, ricalcando quanto fatto con L’uomo invisibile, Whannell si affida all’ottima prova di Christopher Abbott per raccontarci una storia di traumi infantili e di tutte quelle cosette che vengono descritte con espressioni alla moda e fighettine come “Mascolinità tossica” o “Mascolinità fragile”, per questo “Wolf Man” risulterà al passo coi tempi, anche se il conflitto interiore del protagonista, il modo in cui i traumi paterni lo abbiano trasformato, anche per reazione, in un padre modello ma comunque ancora segnato da quegli abusi, diventa il tema cardine, il METAFORONE alla base della trasformazione. Blake ha dentro di se una bestia perché gli unici modelli che ha avuto sono stati quelli, è il come Whannell sceglie di farla emergere quella belva che rende interessante questa incarnazione dell’uomo lupo.
David Cronenberg utilizzava il genere come metafora della malattia, i suoi Seth Brundle e Veronica Quaife vivevano tutto il percorso di una coppia, dall’innamoramento alla perdita per malattia o decadimento fisico, nell’arco di pochi giorni, per una storia raccontata con pochi attori e poche location. Whannell guarda senza ombra di dubbio a La Mosca come modello di riferimento, mentre abbraccia un Body Horror in bella vista, per raccontarci come la belva dentro Blake trovi il modo di tornare a galla.
Una trasformazione progressiva, inarrestabile e non priva di sangue, morsi e momenti belli tosti, in cui il film abbraccia un Body Horror bello spinto (mi fa piacere che il mio secondo sotto genere horror del cuore, sia tornato in auge così bene e con lui, i cari vecchi effetti speciali pratici e analogici) mentre il protagonista combatte, spesso fallendo, per mantenere le proprie facoltà.
I lupi mannari storicamente sono personaggi maledetti, cosa può esserci di più malevolo di un ciclo (non lunare, ma quasi) che non può essere spezzato come la formazione, la mela non cade tanto lontano dall’albero e quelle cose lì, personalmente ho sempre trovato affascinante (e inquietante) il tema dei genitori, dell’impronta che lasciano sui loro figli nel bene e in questo caso, decisamente nel male. Per Leigh Whannell la licantropia è una nuova forma di maledizione molto in linea con i temi caldi della nostra contemporaneità, anche per questo il film prende le distanze dal resto dell’iconografia classica, niente luna piena o pallottole d’argento, anzi, a ben guardare anche l’aspetto di Blake una volta giunto alla fine del suo martirio, è più quello della bestia che si porta dentro che di un “semplice” lupo mannaro.
Ho apprezzato molto l’andamento circolare del film, con il capanno da caccia che ha un ruolo (di tensione) nella scena flashback iniziale, ovvero la seduta di caccia tra padre e figlio che apre il film, e torna poi nell’ultimo atto, per il gran finale, peccato forse per l’utilizzo della fotografia, lo stacco netto tra la buona fotografia dell’inizio, che passa a quella super solare della città (soluzione per contrasto) per poi diventare buia, anche troppo, nella scena ad esempio del granaio, ok mascherare il trucco prostetico, ma così è un po’ troppo.
Problemi? Alcuni personaggi hanno un arco narrativo non strutturato come quello di Blake, alcuni di loro hanno evoluzioni un po’ troppo frettolose e forse in generale, la seconda parte risulta quasi il secondo dei due film in uno di cui parlavo, in cui Whannell al grido di «Apri tutto Biascica!» (cit.) punta sull’azione più movimentata, probabilmente pungolato dal suo produttore.
In generale l’allegoria messa su da Whannell sembra combattere a sua volta il suo tormento interiore, proprio come Blake, per questo forse una buona parte del pubblico farà fatica, non voglio tirare in ballo il solito – tedioso – discorso sull’Horror “elevated” quello che si spera si elevi dai coglio… Perché tanto quello già torna da solo puntualmente, più che altro penso che le aspettative del pubblico avranno il loro peso, insomma, nemmeno questo è il titolo che riuscirà a rompere la maledizione dei lupi mannari al cinema.
Non tutti sono ancora giunti alla conclusione più ovvia e facile, quella per qui un film va giudicato per quello che è, specialmente quando si parla di lupi mannari (e non solo) ognuno ha la sua idea e non tutti gradiranno l’approccio portato in scena da Whannell, perché è chiaro che questo “Wolf Man” con molta probabilità, non avrà lo stesso impatto degli altri film mannari dell’anno 1981, però è molto in linea con l’altro mostro della Universal firmato dal nemico-amico di Lucius, tutto questo mi porta ad una riflessione.
Dopo l’uomo invisibile che diventa metafora dei maltrattamenti degli uomini sulle donne, e l’uomo lupo che affronta esempi di mascolinità non proprio sanissimi, quale sarà il prossimo mostro Universal su cui Whannell metterà le mani? Provo a fare un pronostico che sicuramente sbaglierò, il ritorno di Gill-Man, utilizzato per affrontare temi come il surriscaldamento globale e la maggior sensibilità nei confronti dell’ecologia, vediamo di quanti metri andrà lunga questa mia caSSata.
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