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Wonder Woman 1984 (2021): il titolo giusto sarebbe stato “Wonder Woman cringe”

Ognuno di noi ha il proprio parere sul fenomeno battezzato con il nome brutto di “Cinecomics”, però mi fa sorridere il fatto che un parere più degli altri abbia preso piede, vi faccio un esempio: se domani mattina il Martin Scorsese delle bibite gasate, chiamiamolo per comodità Martin Effervescente, dichiarasse a mezzo stampa che la Coca Cola rovina i denti, contiene troppi zuccheri e non aiuta una dieta bilanciata, quanti inizierebbero a predicare lo stesso ripetendo il suo commento? Ma soprattutto, la Pepsi cosa farebbe?

Trovo abbastanza ridicolo che molti appassionati di cinema abbiano trovato un modo per descrivere i film della Marvel solo dopo anni di dominio della casa di produzione e ripetendo a pappagallo le parole di Scorsese, ma trovo ancora più buffo che i film della Distinta Concorrenza, come la Pepsi, stiano alla finestra a guardare, magari sorseggiando bibite gassate.

So cosa state pensando, eeeh ma la DC ha avuto dalla sua parte LA QUALITA’! Ok, che sarebbe esattamente? La scena dei battelli di Nolan? Oppure quella meraviglia del non senso che risponde al titolo di Il cavaliere oscuro il ritorno? Ah no forse LA QUALITA’ è rappresentata da Jason Momoa che minaccia di pisciare sugli artefatti per attivarli o magari Shazam!, quella sì che era roba di altissimo livello eh? Bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere che se non è zuppa sarà pan bagnato, se non è Coca Cola è Pepsi ma anche il fatto che la Marvel, pur producendo film con lo stampino come gli Hamburger che di solito si vendono in coppia alla suddetta bibita di Atlanta, almeno ha un’idea sulla direzione da far intraprendere ai suoi personaggi, li conosce e ne ha sempre rispettato lo spirito, non come fa la Pepsi Distinta Concorrenza che sta evidentemente sparando in aria cercando di colpire
qualcosa ormai da diversi anni.

«Non ditelo a nessuno, questo film fa schifo… Shhhh!»

Vogliamo prendere a titolo di esempio Wonder Woman di Patty Jenkins? Il primo blockbuster affidato ad una regista donna, da questo punto di vista un film che è stato una tappa importante, ma era anche un bel film? Non credo proprio, la Jenkins era in palese affanno con le scene d’azione. Se quel film ha funzionato è stato grazie ad una scelta impeccabile per il ruolo della protagonista, Gal Gadot era talmente in palla da far chiudere un occhio (a volte tutti e due) sulle tante magagne di un film che comunque, resta una cosetta di poco conto.

«Patty come la giriamo la prossima scena?», «Non ho idea di quello che sto facendo, io volevo solo dirigere dei film drammatici»

Squadra che vince non si cambia, ma complice anche un’uscita eternamente rimandata, “Wonder Woman 1984” con la sua locandina psichedelica è diventato un tormentone, ci credo che ha fatto un sacco di soldi alla sua uscita nelle sale americane a Natale, era anche l’unico film di richiamo, anche se ovviamente non ha salvato il cinema in sala, quello in questo momento credo che non possa farlo nemmeno tutta la Justice League insieme, infatti la famigerata “Snyder’s cut” uscirà per HBO Max, anche perché pare che durerà quanto Lawrence d’Arabia.

Ve lo dico fuori dai denti, se il primo film di Patty Jenkins aveva qualche pregio, “Wonder Woman 1984” è un clamoroso calcio dato al secchio del latte, guardandolo la sensazione costante è l’imbarazzo. Per le soluzioni portate in scena, per lo sviluppo della trama e dei personaggi, per alcuni momenti della regia e per buona parte dei nomi coinvolti, imbarazzo, tanto che mi sono ritrovato a pensare che più che cavalcare (ancora!) la malinconia per gli anni ’80 posticci ricreati al cinema, forse il film avrebbe fatto meglio a rivolgersi alle nuove generazioni e al loro lessico, perché il titolo giusto per questo film sarebbe stato “Wonder Woman cringe”. Perdonate il giovanilismo che ormai mi si addice ben poco, ma pare che questo odioso inglesismo sia anche stato approvato dall’accademia della Crusca (storia vera).

Io sto qui a scrivere e scrivere, ma ho come l’impressione che tutti guarderanno solo le figure.

Posso anche comprendere il piano nella testa della Distinta Concorrenza, in fondo se Wonder Woman è un personaggio estremamente popolare, il merito va più al telefilm con la bellissima Lynda Carter, andato in onda tra il 1975 e il 1979 che al fumetto originale. Per motivi anagrafici io la serie la guardavo durante le repliche degli anni ’80 quindi per associazione mentale, spostare quei colori esagerati e quelle trame strampalate nel decennio al momento più popolare (nella sua versione edulcorata) al cinema e in televisione è una mossa che posso capire, ma tra i piani origini e la riuscita finale, passano 151 minuti (!) di imbarazzo. Badate bene, 151 minuti dichiarati, quelli percepiti invece si attestano attorno alle 9 ore e 38 minuti, perché il film oltre ad essere imbarazzante è anche una discreta palla.

La scena migliore di tutto il film è la lezioncina iniziale, con Diana in versione bambina – ben più simpatica della sua controparte adulta – che partecipa all’equivalente dei giochi olimpici della Amazzoni però giocati in CGI già vecchia, non oso pensare tra cinque anni come sarà questo film, che già crea imbarazzo anche da questo punto di vista già oggi. La morale di mamma Robin Wright (che conciata da amazzone continua a farmi un effetto straniante) è che nella vita non esistono scorciatoie per il successo, visto che dico sempre che i primi cinque minuti determinato tutto l’andamento di un film, in quelli iniziali di “Wonder Woman 1984” trovate dialoghi e morali didascaliche, personaggi scolpiti con l’accetta, e rassegnatevi, leggerete la parola “imbarazzo” parecchie volte da qui alla fine del post.

Baby Yoda Diana

Stacco, scena successiva, Patty Jenkins ci porta tutti negli 1984, dove tutti hanno il walkman, gli scaldamuscoli, fanno ginnastica e tutto sembra un video musicale degli Spandau Ballet. Qui la nostra Diana (Gal Gadot che non ha già più voglia di interpretare il personaggio e si vede) porta avanti il suo lavoro di ricercatrice con tacco dodici, ma anche la sua doppia vita di super eroina, siccome il classico mini market da salvare era troppo banale, Patty Jenkins opta per far sventare a Diana una rapina ad una gioielleria in un centro commerciale. Wonder Woman entra in azione mettendo fuori uso tutte le telecamere a circuito chiuso (bisogna giustificare il fatto che nessuno conserverà memoria di una strappona di 1,80 vestita come la cosplayer di Xena almeno fino al 2016), sventa la rapina e poi svolazza via grazie ad una CGI imbarazzante. Questo post potrebbe essere un ottimo gioco alcolico, io ve lo dico.

Tutta questa fatica per mantenere la segretezza e poi? Basta una trama ridicola a rovinare tutto.

Al lavoro Diana ha una collega sfigata, almeno per la convenzione cinematografica per cui se metti gli occhiali sul naso a Kristen Wiig, quella diventa in automatico poco attraente, anche se parliamoci chiaro, qui le manca davvero solo l’acne finta realizzata con il trucco per rendere il personaggio ancora più didascalico, guardando recitare la Wiig, non sembra nemmeno di guardare la versione femminile del Linus di Scream, ma direttamente la parodia fatta del personaggio in “Scary Movie” (2000).

«Da grande vorrei essere come te. Sono solo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia»

In questa sagra dell’imbarazzo nota come “Wonder Woman 1984” arriva anche il cattivo, il magnate Maxwell Lord, il cui nome è già tutto un programma, sembra il MAX POWER di Simpsoniana memoria. Ad interpretarlo è Pedro Pascal a cui è stato chiesto di tagliarsi i baffi, perché altrimenti sarebbe stato il secondo antagonista baffuto in fila per Diana nel giro di due film, sarebbe stato beh… Imbarazzante!

«Guarda mamma, senza baffi e senza elmo!» (this is NOT the way)

Maxwell Lord (da qui in poi MAX LORD) è una mezza tacca, una sorta di venditore di auto usate che vuole un mondo di bene al figliolo, ma resta un fallito nella vita e nel lavoro, la svolta è rappresentata dal solito artefatto che nei film della Marvel e della Distinta Concorrenza non manca mai (perché se non è Coca Cola è Pepsi), una pietra che trasforma il suo possessore in una sorta di genio della lampada, capace di esprimere gli altrui desideri accumulando potere ad ogni nuovo “Come tu desideri”. Introdotto l’elemento magico, da qui in poi vale tutto, MAX LORD mette su un impero regalando desideri a tutti, anche alla sfigatissima Kristen Wiig, che sogna di essere figa e sicura di sé come la sua collega Diana, quindi di fatto si ritrova con una parte dei suoi poteri dell’Amazzone. Come li utilizzerà il personaggio chiamato Barbara Ann Minerva? Per andare in giro per mezzo film sui tacchi (storia vera). Ora ditemi voi se in un film con una protagonista donna e tosta, diretto e in parte sceneggiato da una donna, il messaggio femminista debba consistere in: donne mettetevi i tacchi. Lo sentite anche voi tutto questo imbarazzo nell’aria o sono solo io?

Qualcosa è andato dannatamente storto.

Se poi consideriamo che il punto di arrivo dell’arco narrativo di Barbara Ann consiste nel trasformarsi in Cheetah, non la scimmia, ma una sorta di donna gatto che sembra uscita dal classico “Quando le donne avevano la coda” (1970), ribadisco che secondo me il messaggio femminista non ne esce proprio benissimo, anche perché nel frattempo ci sono scene scritte usando nemmeno il pennarellone a punta grossa, ma proprio la vernice spray, in cui Barbara Ann si libera con la forza da un aggressore maschilista che non la può violentare, perché altrimenti il film non passerebbe mai il visto censura, quindi più che altro la infastidisce per strada, come se la maleducazione di un tizio ubriaco debba per forza passare per maschilismo, insomma poche idee ma molto confuse (e imbarazzanti, era un po’ che non lo scrivevo).

A Pasquale Festa Campanile piace questo elemento.

I poteri di MAX LORD rendono possibile tutto, anche esprimere il desiderio di Diana di veder tornare l’amato Steve Trevor, un modo becero di riportare in scena Chris Pine, sempre più calato nell’inutile ruolo della spalla comica, sapete già che aggettivo potrei utilizzare per descrivere la scena in cui Steve si sceglie dei vestiti consoni agli anni ’80, optando per tuta e marsupio (!)

Ma vorrei sottolineare la bellissima scena dell’aereo: Diana e Steve in fuga per futili motivi, salgono con facilità irrisoria su un jet da combattimento, come se chiunque potesse accedere ad una base militare con facilità, qui Steve in quanto pilota di aerei durante la prima guerra mondiale, in un attimo sa esattamente come mettere in moto e pilotare un jet da combattimento moderno. No sul serio, voi che aggettivo utilizzerebbe per descrivere questo tentativo patetico di portare in scena l’aereo invisibile di Wonder Woman? Anche perché intanto siamo arrivati ad un’ora e dieci di film e ancora non è successo nulla di davvero significativo nella trama, se non forse che ad un certo punto in un dialogo viene citato “In viaggio nel tempo” (Quantum Leap), ma non mi lascerò intenerire solo perché avete nominato un vecchio telefilm con Scott Bakula che mi piaceva tanto da bambino.

Per distrarvi da questo scempio vi metto la sigla di Quantum Leap.

Se le intenzioni erano quelle di rendere omaggio al telefilm con Lynda Carter (che per altro compare nella scena piuttosto anonima dopo i titoli di coda) mi dispiace ma il bersaglio è stato mancato di diversi chilometri, la sensazione guardando “Wonder Woman 1984” è quella di stare guardando qualcosa che potrebbe stare a metà tra “Supergirl – La ragazza d’acciaio” (1984) e Superman IV, visto che ad un certo punto spuntano inevitabilmente dei missili atomici (siamo negli anni ’80 no? Poteva mancare la guerra fredda?) e Pedro Pascal, finendo a recitare un paio di chilometri sopra le righe, cerca di fare il Lex Luthor della situazione, purtroppo facendoci sentire ancora di più la mancanza di un cavallo di razza come Gene Hackman.

Dovrei fare una battuta sul fatto che la serie tv era comunque meno scema di questo film ma niente, non riesco a smettere di fissare la Gif.

Non mi capacito come si possa portare in scena con così tanta serietà (presunta) una storia che sulla carta, penso volesse essere più leggera e colorata. Se non altro in questa gara di serietà congenita spicca il tema musicale di Hans Zimmer, che se ascoltato frettolosamente può sembrare la solita partitura alla Zimmer ormai fatta un po’ con lo stampino, ma vi assicuro che ascoltato in cuffia senza l’orrore di questo film negli occhi, guadagna diversi punti ed è un peccato che purtroppo sarà per sempre associato a questa robetta altamente imbarazzante. Vi era mancata questa parola vero?

Dove veramente il film tocca il fondo e inizia a scavare è nelle scene d’azione, Patty Jenkins si conferma una regista ben poco a suo agio con questo tipo di sequenze, il lungo inseguimento sulla strada desertica tra la sgangherata auto di Diana e Steve e i mezzi militari locali, risulta un pastrocchio ben poco credibile a livello di fisica, con un montaggio quanto mai azzardato e scelte finali che ti trascinano fuori di peso dalla storia in quanto totalmente assurde, se solo la pessima CGI non svolgesse lo stesso compito in maniera egregia.

Sul serio, voi che aggettivo usereste per descrivere una scena come questa?

Questo discorso vale anche per le scene di combattimento nella Casa Bianca, Patty Jenkins sembra una che è finita a dirigere questa roba senza nemmeno sapere il perché, inoltre vogliamo parlare del fatto che Diana, ad inizio film metteva fuori uso le telecamere del centro commerciale per provare a passare inosservata, ma poi decide di entrare nella Casa Bianca con il suo costume da amazzone addosso, senza farsi nessun tipo di problema? Vabbè, recentemente qualcuno è entrato al campidoglio vestito come Diego Abatantuono in “Attila flagello di Dio” (1982), quindi questo potrebbe essere il problema minore.

Dopo i “patrioti” del Campidoglio, ormai vale tutto.

Ma a proposito di abbigliamenti appariscenti, vogliamo parlare dell’armatura da cavaliere d’oro di Diana? Un oggettino di dubbio gusto (come tutto questo film) che ci viene descritto come strapotente, tanto da rendere invincibile chiunque la indossa. Allora io mi chiedo, perché utilizzare l’armatura solo alla fine? Perché non indossarla sempre e basta invece che tenerla impacchettata in un angolo della casa, come l’ultimo scatolone del tra scolo, quello che nessun vuole più aprire? Non stiamo parlando di una bomba atomica che ha delle conseguenze disastrose se utilizzata, ma di un’armatura. Un po’ come se Re Artù non utilizzasse Excalibur per amore del bel combattimento di spada, per non urtare la sensibilità dei propri avversari inevitabilmente surclassati.

Sono i cavalieri dello Zodiaco / hanno nomi importanti, sono grandi e forti eroi (cit.)

“Wonder Woman 1984” è una maratona di momenti idioti, inanellati uno via l’altro senza soluzione di continuità, vediamo partire i missili atomici sovietici (che decollano dalla Piazza Rossa di Mosca, quale luogo migliore per installare dei silos di lancio) e ci tocca sentire il presidente degli Stati Uniti esprimere il desiderio di avere altri missili per poter battere i suoi avversarsi, dimostrando di aver capito ben poco del concetto di “deterrenza nucleare”. Inoltre capite da soli che se metà del film si basa sul concetto magico dei desideri in stile genio della lampada, vale davvero tutto, anche se poi il film cerca di farci digerire trovate grottesche.

Viviamo in un mondo dove non riusciamo a metterci tutti d’accordo sull’utilizzo di una mascherina, volete dirmi che il discorsetto motivazione di Diana al pianeta (la stessa che ad inizio film spegneva le telecamere per non farsi vedere da nessuno) basta per convincere tutti gli abitanti del mondo, di colpo, a rinunciare ai propri desideri? Va bene la sospensione dell’incredulità, però ne converrete con me che esiste una bella differenza tra un film tratto da un fumetto e un film brutto, scemo, noioso e imbarazzante tratto da un fumetto. Se la soluzione a tutti i problemi del mondo è Gal Gadot, mandiamo lei in televisione a parlare di zone rosse, gialle e arancioni, sicuramente risulta più caruccia di Giuseppe Conte, anche se anche lui ha le sue ammiratrici.

Citazione immotivata a “Breakfast Club” in tre, due, uno…

Insomma “Wonder Woman 1984” è un clamoroso buco nell’acqua, visto che i film vanno giudicati per il loro valore e non per partito preso, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di saper distinguere tra Coca Cola e Pepsi, tra prodotti fatti in serie ma con almeno uno straccio di idea di fondo e amore per i personaggi e prodotti invece che sono imbarazzanti e basta. Esiste modo e modo di cariarsi i denti cinematograficamente parlando, questo film è il modo peggiore possibile.

Ultima poi la smetto di tediarvi giuro: qualcuno ha già invocato la “Jenkins’s cut”? Perché ormai la conosciamo la strategia della Distinta Concorrenza, sfornano filmacci e poi dichiarano che la versione estesa e approvata dal regista di turno sarà una meraviglia. Mentre aspettiamo l’annuncio vado a bermi una Coca Cola.

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