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Wonder Woman (2017): oh, please, stay by me, Diana

Non fatevi ingannare dal soprannome preso in prestito da un personaggio della Vertigo, è solo perché sono un grande appassionato di fumetti, quando si tratta di supereroi non ho dubbi, sono un ragazzo della Marvel fino al midollo, preferisco i personaggi e la loro poetica, questo non vuol dire che disdegni totalmente i personaggi della Distinta Concorrenza, sono uno sportivo ben venga la competizione, fatta come si deve.

Il DC Extended Universe punta tutto su Wonder Woman, una mossa intelligente che sta pagando dividendi nei botteghini di tutto il mondo. Ora, io vorrei condividere l’entusiasmo generale scatenato dal film, però non sono proprio di questo avviso, per carità, i 141 minuti di “Wonder Woman” filano via abbastanza lisci, in certi momenti mi sono divertito, in altri fissavo l’orologio, in generale sono stati tutti utilizzati meglio rispetto agli ultimi film della Distinta Concorrenza, però non possiamo metterci a fare le capriole sulle mani solo perché questo film è appena un po’ meglio di Suicide Squad, anche fissare per due ore la statale che passa attraverso la zona industriale qua fuori dalla finestra è meglio che guardare Suicide Squad, ma per questo non mi esalto…. Guarda! Una macchina rossa! Che bella, molto più bella di Batman vs. Superman.

Il desiderio di paternità che solo uno cresciuto con Commando può capire.

Affrontiamo subito l’amazzone a cavallo di un elefante al centro della stanza, femminismo, la parola che viene citata più spesso parlando di questo film, a mio avviso, a capocchia, perché Hollywood è sempre alla costante ricerca della prossima eroina femminile da piazzare al centro di un franchise, non è un caso se un personaggio come Wonder Woman, nato nel 1941, sia arrivato al cinema solo oggi, malgrado il fatto che è dal 2005 che ci provano, Joss Whedon aveva già pronto un soggetto (storia vera) lui che è il migliore al mondo a scrivere personaggi femminili credibili e che ha dimostrato che due cose riguardo ai cinecomics le può dire.

“Wonder Woman” è la cartina al tornasole dello stato della Distinta Concorrenza al cinema, se la Marvel ha ormai superato la fase in cui ha bisogno di registi blasonati per guadagnarsi credibilità, la DC è ancora ferma lì, motivo per cui per dirigere un film sulla più famosa supereroina, ci vuole una regista donna che sa il fatto suo, ci hanno provato con Kathryn Bigelow che gli ha allegramente riso in faccia (storia vera) per il semplice fatto che lei E’ Wonder Woman.

Patty, Gal e Lynda, vere Wonder Women.

Patty Jenkins è stata la seconda scelta, un ritorno al cinema dopo il bellissimo “Monster” (2003) e tanta regia televisiva, il risultato è un film più che sufficiente, ma a giudicare da alcune scene d’azione e dall’uso a tratti inguardabile del green screen, è chiaro che la Jenkins sia stata assunta più che altro per il suo talento nel gestire gli attori che per quello di dirigere scene action, se fossi cattivo direi che è stata assunta solo perché è una donna, ma vista la stima che ho per la Jenkins non voglio pensare che alla Warner siano stati tanti meschini… Veeeeeeero?

Le chiacchiere sul femminismo di questo film stanno a zero, non perché ci sia qualcosa di male nel femminismo (assolutamente no), ma per il semplice fatto che il film in sé si guarda bene dal lanciare messaggi, in “Wonder Woman” per ogni maschio cattivo ne abbiamo altrettanti buoni, la cattiva Isabel Maru è una donna e persino lo Steve Trevor di Chris Pine è un personaggio che se la cava da solo senza rubare il palcoscenico alla protagonista (non come Kevin!) che, però, non è la risposta maschile alle Mary Jane del mondo dei cinecomics, non è solo un belloccio che la nostra eroina deve salvare.

Biondo come Kevin, ma non urla tutto il film come MJ.

Poi, parliamoci chiaro, Wonder Woman non è proprio il personaggio giusto per mandare messaggi femministi, il film è stato scritto da un uomo, Allan Heinberg (che ha all’attimo tanti episodi di Grey’s anatomy, e vabbè) e poi quando nel 1941, il brillante ed eccentrico William Moulton Marston creò Wonder Woman, mise nel personaggio tutte le sue grandi passioni, una in particolare, quella per il bondage (storia vera) questo spiega perché nei primissimi numeri del fumetto, Diana finisce spesso legata dai suoi nemici e che la sua principale arma è un lazo con cui avvolge gli avversari, quindi se qualcuno cercherà di vendervi come femminista questo film, sappiate che vi stanno fregando.

No, giusto perché poi sembra che le cose me le invento.

“Wonder Woman” è una classica origin story, una versione molto, ma molto semplificata del lavoro fatto da George Pérez e Marv Wolfman sulla pagine del fumetto che, per fortuna, si ricorda che Diana è uno di quei personaggi cresciuta con ideali che devono fare i conti con il mondo in cui vive, un po’ come Superman o Capitan America, non è un caso che siano tutti piuttosto patriottici.

Pensateci: il più riuscito adattamento del personaggio fino a questo momento, era stata la storica serie televisiva con la bellissima Lynda Carter, un programma parecchio naif, per un personaggio che prima di mulinare su se stessa ed entrare nel bikini di Wonder Woman (wonder womaaaaaaaan!) era anche piuttosto svampita e la Diana Prince di Gal Gadot non è tanto da meno, se sulla base di queste informazioni, volete mettere su un simposio sulla rappresentazione della donna nei media moderni, lascio fare a voi, io preferisco parlarvi di altro.

«Indossare un bustino aderente? Non lo farò mai!»

Tipo il fatto che sì, la Wonder Woman di questo film ha un cuore d’oro al limite della tontaggine, per nostra fortuna, Gal Gadot non somiglia per nulla a Renato Pozzetto, ma, di fatto, è quel tipo di personaggio lì che arrivato dalla campagna della sua isoletta di Themyscira, celata dal mondo come quella di LOST (ma senza le idiozie del maledetto cioccolatino Lindelof) appena vede precipitare Chris Pine, spia inglese tra le fila tedesche, non pensa a “Duello nel Pacifico”, ma crede immediatamente alla sua storia e per effetto del lungo spiegone espositivo iniziale, capisce che Ares il Dio della guerra che le amazzoni vedono come IL MALE, governa le azioni di questi famigerati “Tedeschi”, perciò bisogna andare lì, rompere il culo ad Ares per liberare questi Tedeschi dal suo gioco e farli tornare buoni e puri. Fine.

Non lo dico come una cosa negativa, ma il personaggio viene rappresentato così, certo ogni tanto snocciola frasi frutto del suo addestramento tra la Amazzoni: gli uomini servono solo per la riproduzione, ma non possono dare piacere (… cosa avrà voluto dire). Oppure, quando becca finalmente il cattivone Danny Huston, gli fa tutta una filastrocca del tipo “In nome di tutto quello che è buono nel mondo” sì, ma poi gli pianta la spada in mezzo al petto, perché la nostra Diana è così, con la testa dura come un chiodo da bara, forte come un esercito di uomini e con la visione del mondo di una bambina di sei anni, noi buoni, loro cattivi, li meniamo e dopo saremo tutti in pace, o per lo meno quelli che respireranno ancora.

Comodo per menare anche in notturna, tanto si illumina.

Se in una storia così ci vedete del bondage, del femminismo, o della pura propaganda bellica (con gli Inglesi al posto degli Americani, tanto le bandiere sventolate nel finale hanno gli stessi colori) è solo perché il personaggio nel suo passato ha tutti questi elementi che nel film vengono solo accennati.

L’idea è quella di un cambio di direzione, con “Wonder Woman” la Distinta Concorrenza vuole provare a lasciarsi indietro i pipponi e i musi lunghi dei suoi personaggi (come ha leggerissimamente fatto notare anche Leo Ortolani) e rilanciarsi con una trama più leggera, tutto il film si muove nella zona grigia che sta tra un personaggio idealista e puro di cuore ed uno che è semplicemente un toncolone, nei suoi 141 minuti la nostra Diana compie un arco narrativo che la porterà a pensare: “Ok, questa è la razza umana, non la capisco, ma continuerò a difenderla”. Pprendere o lasciare, non posso dire di essermi divertito per tutte le due ore, ma è comunque molto meglio di quanto la Distinta Concorrenza sia riuscita a fare con Superman e Batman.

«Un paio di occhiali per nascondere l’identità? Tu leggi troppi fumetti»

A sottolineare che la DC/Warner sia ancora indietro rispetto alla Marvel, trovo lampante e ironico che la struttura tanto celebrata dal pubblico per “Wonder Woman” sia di fatto la stessa di “Captain America – Il primo Vendicatore” (2011) di Joe Johnston, con Steve Trevor al posto di Peggy Carter e la Prima Guerra Mondiale al posto della Seconda. Quello che manca è il brillante primo tempo quasi post-moderno messo su da Joe Johnston che rispetto a Patty Jenkins ha molta più esperienza con questo tipo di film e, bisogna dirlo, si vede.

L’inizio di “Wonder Woman” è necessariamente espositivo, bisogna spiegare la faccenda di Ares e mostrare le amazzoni su Themyscira, era un po’ che non vedevo Connie Nielsen, mentre siccome in questi giorni sto seguendo la nuova stagione di House of cards, mi ha fatto un certo effetto vedere l’elegantissima e algida Clare Underwood di Robin Wright in versione amazzone con la tiara che zompetta su un imbarazzante utilizzo del green screen e dei rallenty a tutti i costi che dopo il quarto ti viene da pensare: “Patty ti prego basta, ti stai rendendo ridicola” e venite ancora a dirmi che i salti che faceva Lucy Lawless in Xena erano ridicoli, dai, venite a dirmelo su.

Come passare da “House of cards” ad “House of cazzotto” senza passare dal via.

Quello che, invece, ho trovato davvero adorabile è stato vedere la piccola Diana che imita le mosse della Amazzoni, una roba che mi ha fatto subito fare pace con il personaggio e con il film dopo questo inizio in salita.

Guardando distrattamente (lo ammeto) il primo trailer mi ero fatto tutto un film in testa per cui Chris Pine e Danny Huston interpretassero lo stesso personaggio, in due momenti diversi della vita e con Diana Prince sempre uguale a se stessa in quanto immortale, in realtà, la trama è molto più lineare, davvero al limite del film di propaganda, lo si capisce dai cattivi. In una scena vediamo il Generale Erich Ludendorff e Isabel Maru (nota come Dottor Poison) guardarsi e fare BUAHAHAHAH, la classica risatona da cattivo, chiaro che siamo di fronte ad un film quasi di propaganda anche per i cattivi brutti e deformi opposti ai buoni belli bellissimi, è un peccato che il talento per le parti da cattivo di quel mito di Danny Huston venga usato per una particina così e anche più grave che Isabel Maru con il suo look da cattiva di James Bond, abbia una parte ancora meno influente, il vero peccato, però, è nascondere la bella Elena Anaya dietro quella maschera, ecco questo sì è grave!

«Proprio vero che non c’è pace per i malvagi»

A proposito di bellezza, non sperate di sentirmi elogiare Gal Gadot per la sua avvenenza, troppo facile, quello possono farlo tutti, preferisco dire che se la sua Wonder Woman funziona è principalmente grazie a lei, Gal con passato da modella e da soldatessa nell’esercito israeliano è credibilissima nei panni di una che si chiama “Donna Meraviglia”, ringraziate le ore di allenamento di Krav Maga se poi è anche aggraziata nelle scene di lotta, tutte molto riuscite quando Patty Jenkins si tiene lontana dal green screen  che fa saltellare Diana come Super Mario quando deve prendere il funghetto magico.

«Scivolata di Potenza!» (Cit.)

Inoltre, Gal Gadot ci mette una convinzione incredibile, la guardi e credi davvero che possa riportare la pace nel mondo, semplicemente tirando calcioni nei sederi giusti e per quanto possa sembrare assurda la sua filosofia alla fine ti convince, certo il paragone tra il romanzo di formazione di Conan e quello di Diana farebbe uscire con le ossa rotte Patty Jenkins, gli intenti dei due film sono sicuramente diversi, ma devo dire che ho una certa propensione ad apprezzare i personaggi che agiscono, che fanno, guidati da una grande etica personale e con più forza fisica che neuroni nel cranio (sarà che m’immedesimo? Mah, forse), ma in alcuni passaggi “Wonder Woman” funziona.

«Fare, o non fare! Non c’è provare!» (Cit.)

Patty Jenkins è brava a gestire i battibecchi tra Diana e Steve, per colpa della sceneggiatura, non tutti i momenti comici sono riusciti (la scena “Toh guarda un orologio” è patetica ad esempio), ma Gal Gadot ha dei buoni tempi comici e dimostra un buona chimica con Chris Pine, tanto da far risultare davvero di contorno il Sameer di Saïd Taghmaoui e il Charlie di Ewen Bremner, entrambi molto in là nella loro carriera di caratteristi dalla faccia caratteristica.

Mica male, sembrate usciti da un fumetto, però di Hugo Pratt.

Quando poi la Jenkins non è tenuta a far zompettare Diana, complice una colonna sonora che sulle singole scene risulta almeno efficace (ascoltata da sola non lo so, vi farò sapere) vengono fuori anche scene trascinanti, come quella dell’attraversamento del campo di battaglia, in generale, nemmeno lo scontro con Ares mi è dispiaciuto, anche se il Dio della guerra con i baffi David Thewlis è veramente inguardabile.

Cattivo baffuto, sempre piaciuto (beh più o meno)

Il fatto che il film abbia incassato così tanto e stia ancora facendo parlare di sé, mi fa pensare che vero, il cinema è saturo di film tratti da fumetto, ma il grande pubblico abbia ancora curiosità di conoscere personaggi meno noti come la nostra Diana (che dal telefilm con la Carter e da un pilot finito male con Adrianne Palicki è stata confinata ai fumetti). In generale, la trama simile a quella di Capitan America e un certo ottimismo da cartone animato, mi fanno capire che la Warner avrebbe dovuto far uscire questo film almeno cinque anni fa, che poi è anche il tempo di ritardo accumulato dalla Distinta Concorrenza nella classifica generale contro la Marvel.

La differenza tra questa origin story e, ad esempio, quella del Doctor Strange, è forse proprio una protagonista che il pubblico ancora non conosceva bene e in cui una porzione di pubblico (quello femminile, ma non solo) può finalmente fare il tifo, le affermazioni del tipo “Miglior film DC di sempre” mi sembrano esagerate, più che di nuovo corso per il DC Extended Universe, mi viene da pensare che “Wonder Woman” si muova nella zona grigia e scivolosa che sta tra l’avere una protagonista toncola ed una pura di cuore e che, per questa volta, gli sia andata bene.

Vediamo di farla sorridere più spesso questa ragazza però, se fosse possibile è ancora più bella.

In ogni caso, Gal Gadot è la migliore associazione attore/personaggio dai tempi del Thor di Chris Hemsworth (guarda caso un altro toncolone tutto muscoli) ed ora che per tragici motivi personali Snyder ha passato la mano, Diana Prince verrà finalmente diretta da Joss Whedon. Ecco, forse allora la concorrenza sarà davvero degna di nota, per ora, ancora vi guardiamo dallo specchietto retrovisore… Excelsior!

Sepolto in precedenza lunedì 19 giugno 2017

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