Un film di Guy Ritchie è come il secondo giro di bevute, non si rifiuta mai. Specialmente dopo che il nostro si è rimesso in careggiata con The Gentlemen, dopo un paio di titoli davvero poco a fuoco. Inoltre l’interesse per questo nuovo “Wrath of Man” era garantito anche dalla presenza di uno dei prediletti di questa Bara, Jason Statham.
Prima di Fantasmi da Marte e di vederlo sfondare in quella bomba di The Transporter, passavo il tempo ad identificare chi fosse Jason Statham, dicendo a tutti che era “quello dei film di Guy Ritchie”. Infatti “Wrath of Man” rappresenta la quarta collaborazione tra i due inglesi, dopo titoli di culto come “Lock & Stock – Pazzi scatenati” (1998), “Snatch” (2000) e il sottovalutato “Revolver” (2005), film di cui speravo di ritrovare le atmosfere qui, mentre invece beh, il risultato è stato qualcosa di ulteriormente differente.
Forse è dipeso dal fatto che “Wrath of Man” è il rifacimento inglese (girato tutto negli Stati Uniti, proprio come “Revolver”) del film francese “Le Convoyeur” (2004) diretto da Nicolas Boukhrief noto anche con il titolo di “Cash Truck”, chiamatelo come volete perché tanto più di questo sul film originale non so dirvi, purtroppo non l’ho visto anche se dopo i titoli di coda di “Wrath of Man”, sono rimasto con la voglia di poter fare paragoni diretti.
Poco male, mi limiterò a trattare questo film relativamente alla filmografia di cui fa parte, quindi la prima notizia positiva è che Guy Ritchie firma il miglior remake della sua carriera, anche perché gli altri due erano quella roba con l’ex moglie Madonna, che preferirei non citare per rispetto nei confronti di Lina Wertmüller, seguito a ruota da Aladdin, di cui preferirei non parlare e basta, infatti per questa Bara ne ha scritto l’eroico Quinto Moro.
“Wrath of Man” sembra un po’ figlio del compromesso, se prima Giasone era “quello dei film di Guy Ritchie” adesso è un nome che attira aspettative e una certa tipologia di pubblico, infatti in questo film troviamo i momenti alla Guy Ritchie ma anche quelli alla Jason Statham, purtroppo è l’amalgama tra i due stili a richiedere il suo tributo di sangue, quindi se vi aspettare quell’ironia (nerissima) tipica di Ritchie, qui non la troverete quasi per niente.
Il film aggiunge un tassello alla gloriosa tradizione dei film con furgoni portavalori, ci sarebbero un po’ di titoli dacitare ma l’ultimo che ricordo è stato “Blindato” (2009). Prima dei titoli di testa Guy Ritchie ci cala con tutte le scarpe nell’atmosfera del film, dirigendo con telecamera quasi fissa una rapina ad un furgone blindato, dall’interno dello stesso, non solo perché le rapine sono il tema del film, ma perché questa in particolare è molto importante ai fini della storia, dopodiché partono i titoli di testa sulle note dell’apocalittica colonna sonora firmata da Chris Benstead, una campana a morto per tutti i personaggi del film.
La storia è quella di Patrick Hill (Giasone nostro) detto semplicemente “H”, perché alla Fortico Security, azienda che si occupa di trasporto di denaro su gomma, tutti hanno un soprannome e il nostro, di fatto è una bomba H umanoide. Allenatissimo, silenzioso, serve il 70% di precisione al poligono per essere assunti? Lui spara con una precisione del 70% e si becca il lavoro.
Qui trova una serie di colleghi che sono tutte facce note (anche del cinema di Ritchie), il capo è Eddie Marsan mentre tra i colleghi non manca il redivivo Josh Hartnett, nei panni del tipo spavaldo sì, ma solo di facciata, oppure una vecchia volpe come Holt McCallany, nei panni del veterano soprannominato “Bullet”, quello che accoglie H in squadra.
La Fortico è stata bersaglio di parecchie rapine e seguendo la struttura del Western (inizialmente), Guy Ritchie si gioca la sua versione Britannica dello straniero senza nome, che parla poco ma spara in fretta, anche perché quando una banda di rapinatori cerca di ripulire il furgone con Giasone a bordo, capisce al volo che il soprannome Bomba H non è tanto distante dalla realtà.
Guy Ritchie dirige una sparatoria velocissima e brutale, in cui Jason Statham sembra un uomo tra i bambini, forte di tutti i film d’azione in cui ha recitato spazza via tutti diventando l’eroe della Fortico, talmente tosto che la seconda rapina, la ferma semplicemente palesandosi e facendo fuggire i rapinatori solo mostrando loro il volto.
Qual è il segreto di H? Troppo preparato, troppo tranquillo durante la sparatoria, efficacissimo certo, ma anche sospetto, davvero Patrick Hill può essere solo un ex militare passato alla sicurezza privata? Ci penserà il secondo atto del film a raccontarci il mistero, ed è qui che purtroppo la prima parte di “Wrath of Man” tiratissima e perfettamente riuscita, lascia il passo ad una seconda che di fatto è un lungo (lunghissimo!) spiegone ammazza ritmo. Continuate pure a leggere tranquilli, questo post è del tutto privo di rivelazioni di sorta sulla storia, tranquilli!
“Wrath of Man” è diviso in capitoli, ognuno presentato da una didascalia a pieno schermo, quasi un titolo pescato dai dialoghi del film. Ora, io qui non so dirvi se Guy Ritchie, insieme agli altri due sceneggiatori Ivan Atkinson e Marn Davies, abbia deciso di seguire la struttura del film francese, negli anni l’ex signor Ciccone ci ha abituati a storie che saltellavano avanti e indietro nella trama, giocando a carte coperte per tutto il tempo necessario al fine di celare il colpo di scena fino alla fine, non chiedetemi perché, ma per questo film Ritchie ha deciso di non seguire il solito collaudato schema.
Certo, lungo tutto il secondo atto del film, la storia rimbalza tra il “prima” e il “dopo”, basta dire che la famigerata rapina, quella che Guy Ritchie ha messo prima dei titoli di testa per sottolinearne l’importanza, ci viene raccontata tre volte nel corso del film, dall’interno del furgone durante la rapina, dall’esterno del mezzo blindato e poi dal punto di vista dei rapinatori stessi. Il tutto raccontandoci per filo e per segno tutto di Patrick Hill e della sua storia. Insomma se mai qualcuno avesse accusato i film di Guy Ritchie di essere troppo incasinato da seguire (io non di certo!), qui il regista mantiene il suo stile, ma stempera di parecchio l’ironia in favore di un clima plumbeo e pur rimbalzando avanti e indietro nella storia, risulta linearissimo, anche troppo per certi versi, purtroppo il suo film subisce i danni peggiori.
Non voglio rovinarvi il colpo di scena, ma purtroppo decidendo di raccontare in questo modo la storia, la tensione e l’ansia di sapere precipita presto in prossimità dello zero. Nemmeno notevoli facce da schiaffi come quella di Jeffrey Donovan, oppure la presenza del prezzemolino Scott Eastwood (salutami papà quando lo vedi) aiutano a, non dico affezionarci ai rapinatori, ma per lo meno restare un minimo in tensione anche per loro, la coralità tipica dei film di Ritchie è sacrificata in nome del ruolo di assoluto protagonista di Jason Statham, che badate bene, per una buona porzione di pellicola lascia anche campo libero agli altri attori, ma di fatto il suo “H” resta l’unico personaggio di cui ci interessa davvero qualcosa, specialmente dopo quel secondo atto che spiega tutto per filo e per segno, talmente bene che per non capire come finirà la storia, bisognerebbe aver dormito per tutto il film.
L’ultimo atto del film è quello strapieno d’azione, se i furgoni blindati sono moderne diligenze, il finale prevede una rapina alla banca in stile Western, però con armi d’assalto e corazze moderne, insomma torniamo nel territorio di Jason Statham che dopo aver lasciato spazio, si riprende il centro del palcoscenico.
Guy Ritchie dirige davvero alla grande, in quanto a stile non è secondo a nessuno il ragazzo, qui fa la precisa scelta di portarci con la sua macchina da presa in mezzo agli uomini (e le donne, anche se davvero poche nel cast) della Fortico, mantenendo questa scelta azzeccata anche nella lunga sparatoria finale, coreografata alla grande, dove è sempre chiarissimo dove tutti i personaggi coinvolti si trovino e quali siano i loro spostamenti, una gestione dello spazio impeccabile, a cui non mancano revolverate in faccia, colli spezzati, coltellate, insomma tanta azione abbondante che non compensa quell’infinito secondo atto, ma per lo meno si lascia guardare.
Per assurdo l’apice del film è proprio la grande rapina, infatti le vere motivazioni del personaggio di Giasone, si consumano si nell’ultima scena prima dei titoli di coda, ma di fatto è poco più di una formalità da sbrigare, il centro emotivo era tutto nella rapina. Il risultato finale quindi è uno strano film, che ha tutto dello stile di Guy Ritchie ma che in buona sostanza, sembra il solito roccioso titolo d’azione con Jason Statham, solo girato due spanne sopra la media rispetto alla media.
Temo che chi si approccerà a questo film, pensando di trovare il solito Guy Ritchie potrebbe rimanere deluso, mentre chi vorrà vedere Jason Statham, potrebbe finire per trovarlo un titolo valido ma non memorabile come altri dell’inglese con la barba dei tre giorni perenne.
Sepolto in precedenza Lunedì 7 Giugno 2021
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