Tra qualche settimana uscirà nelle sale di tutto il pianeta il nuovo film dedicato ai mutanti di casa Marvel, per preparami al meglio all’evento, ho deciso di ripassare tutti i film della saga, esclusi gli spin off dedicati a Wolverine, perché? Beh, perché fanno schifo! Basta come spiegazione? Quindi, per qualche settimana avremmo questa simpatica X-Rubrica!
Come quasi tutti i personaggi principali della Marvel, anche gli X-Men sono stati creati da Stan Lee e Jack “The King” Kirby, nei primi anni ’60, l’idea di base era molto semplice, il sorridente Stan non ha mai avuto problemi ad inventare nomi e poteri per i suoi super eroi, ma dopo averne sfornato un milione e mezzo, si era bello che rotto le palle di doversi inventare le origini di tali poteri, essendosi già giocato raggi cosmici, esplosioni gamma e ragni radioattivi, pensò: “E se nascessero già con i super poteri? Al momento della pubertà BAM! Un bel paio di ali sulla schiena!”.
Nascono così i mutanti di casa Marvel, dotati di gene X e guidati dal professor Xavier, niente più buffe origini da dover pensare, i nostri eroi sono diversi dal resto degli umani, pertanto emarginati dall’umanità che li odia e li teme per il loro dono, che spesso può essere una maledizione: Xavier è il telepate più potente del mondo, ma è bloccato su una sedia a rotelle (ed in più soffre di un gravissima forma di calvizie… Nuuuuuuooooo!), Ciclope spara potentissimi raggi laser dagli occhi, ma senza i suoi occhiali speciali, potrebbe decapitare la sua fidanzata solo aprendo le ciglia. Supereroi con super problemi come da tradizione Marvel, insomma, per decenni e ancora oggi (almeno fino all’arrivo di Deadpool) il fumetto più venduto della Marvel, mica male per essere un’idea venuta fuori per pigrizia.
Fin dagli anni ’90, decennio in cui i primi posti della classifiche di vendita snocciolavano quasi solo fumetti con la “X” nel titolo, Stan Lee ha cercato di portare i suoi mutanti al cinema, tanto da essere (quasi) riuscito a convincere un ragazzotto canadese che per un suo film, si era ispirato parecchio alla trama di “X-Men: giorni di un futuro passato”, una celebre X-storia che parla di un oscuro futuro dove i mutanti sono chiusi in campi di concentramento e cacciati giorno e notte da feroci macchine assassine chiamate sentinelle, per cambiare il corso della storia, gli X-men mandano indietro nel tempo un guerriero di nome Kyle Reese… No, non è vero, mandano Kitty Pryde, ma avete capito che il film era Terminator e il regista, ovviamente, Jimmy Cameron.
Cameron si ritaglia il ruolo di produttore esecutivo e per la regia propone (l’allora) sua moglie Kathryn Bigelow, che pesca dai suoi attori feticcio per i vari personaggi: Angela Bassett per Tempesta, Michael Biehn dietro gli occhiali di Ciclope, Christopher Lee nei panni di Magneto e Bob Hoskins in quelli di Wolverine (Storia vera!) e se pensate che l’ultimo nome sia strambo, andate a dare un’occhiata alla filmografia di Hoskins, poi ne riparliamo.
Il film si risolve con un nulla di fatto, quando Cameron perde interesse e s’imbarca nella realizzazione di un film su Spider-Man, a sua volta diventato un bel niente, per via del processo ventennale tra Marvel e Sony sui diritti di sfruttamento del personaggio, ma questa… E’ un’altra storia.
Il film passa di mano in mano di tanti possibili registi, tra cui Robert Rodriguez, Tim Burton, Joel Schumacher, Danny Boyle, Brett Ratner (che dirigerà il terzo capitolo della saga), Irvin Kershner (!) e John McTiernan (!!) e alla fine questa X-Patata bollente trova l’uomo giusto: Bryan Singer.
La Marvel del 2000 non è quella di oggi che può permettersi di sfornare film ad alto budget su un albero e un procione parlante, nel 2000 non erano tutti lettori di fumetti come adesso, era ancora un’epoca buia in cui se leggevi fumetti, venivi guardato come uno scimpanzé scoperto a cacare dietro un cespuglio nella giungla, l’uomo di punta della casa delle idee si chiamava Avi Arad e Kevin Feige era solo quello che rispondeva al telefono mentre portava il caffè dicendo: “Il signor Arad è impegnato, la richiamerà non appena avrà terminato la sua riunione”.
Nel tentativo di guadagnarsi credibilità preso il grande pubblico, Arad capisce che ha bisogno di grossi nomi, ci vogliono registi blasonati perché il pubblico prenda sul serio queste storielle fatte di super poteri e nuvole parlanti, nel 1999 il primo grosso nome era quello di Sam Raimi per “Spider-Man”, il secondo era, a mio avviso, ancora più improbabile, perché Bryan Singer fino a quel momento aveva diretto solo un film tratto da una storia breve di Stephen King (“L’Allievo” con Ian McKellen) e quella bombazza de “I soliti sospetti”.
Bryan Singer, a differenza di Sam Raimi, non ha mai letto un fumetto in vita sua, eppure si mette a fare i compiti e capisce alla perfezione le caratteristiche chiave degli X-Men: una minoranza afflitta da pregiudizi e odiata dalla massa, divisa al suo interno tra un leader pacifista (Xavier, il Martin Luther King della situazione) e uno decisamente più votato all’azione e allo scontro (Magneto, che ricorda molto più Malcolm X e non solo per la lettera simbolo dei Mutanti). Singer, per altro, è ebreo di origini ed omosessuale dichiarato, forse anche per questo è riuscito a capire subito gli X-Men, senza averli mai letti in gioventù… Oppure, non ho capito niente io e Singer ha accetto solo perché trovava fighi i costumi con la X sopra!
La sceneggiatura viene scritta da David Hayter, ma revisionata dallo sceneggiatore di fiducia di Singer, Christopher McQuarrie (già autore dello script de “I soliti sospetti), tra le varie riscritture, ci mette lo zampino anche un altro grande appassionato di fumetti degli X-Men, Joss Whedon, al papà di Buffy (che di cognome fa Summers proprio come Scott “Ciclope” Summers) va il merito di tutte le battute ironiche del film, vi hanno fatto ridere le frecciatine tra Wolverine e Ciclope? Bene, ora sapete chi ringraziare.
Singer nella sua intelligenza capisce che per conquistare il pubblico, prima di mostrare buffi nomi di battaglia (“E a te come ti chiamano? Rotelle?”) e combattimenti, bisogna che il pubblico si affezioni ai personaggi, che capisca perfettamente cosa c’è dietro le loro azioni e da questo punto di film “X-Men” è scientifico: la scena iniziale nel campo di concentramento è girata con la serietà che un luogo del genere richiede, anche se vediamo in azione per la prima volta i suoi poteri magnetici, la cosa che colpisce è il dramma di Erik Lehnsherr.
Lo stessa serietà e il tipo di approccio pragmatico è applicato ad ogni minimo dettaglio, Magneto indossa un vistoso casco non (solo) per accontentare i fans del fumetto, ma perché gli serve per fermare i poteri telepatici del suo amico Charles Xavier e con lo stesso rigore, i caratteristici (e pacchianissimi) costumini gialli degli X-Men, vengono sostituiti da tute in pelle molto più serie e adatte all’atmosfera da film di fantascienza scelto da Singer per la pellicola (“preferivi una calzamaglia gialla?”).
La sceneggiatura prima introduce la ruba poteri Rogue (Anna Paquin) e poi Wolverine (Hugh Jackman), appena ci siamo affezionati a questa strana coppia, attraverso i loro occhi noi spettatori scopriamo la scuola Xavier e tutti i suoi coloriti personaggi, una scelta di sceneggiatura vecchia come il mondo che, però, paga sempre i suoi dividendi.
Ma il vero colpo di genio di Bryan Singer è il casting: gli unici attori davvero famosi allora erano Patrick Stewart e Ian McKellen, entrambi attori shakespeariani con un’esperienza che levati (ma levati proprio…), vengono scelti personalmente da Singer proprio per la loro indiscussa credibilità, tutta da sfruttare per dare spessore ai due leader mutanti. Stewart era l’opzione, uno, due, tre e mille di Singer, gran fanatico di “Star Trek” ha voluto a tutti i costi Jean Luc Picard nel suo film, mentre McKellen, che aveva già lavorato con Singer, non aveva nessun ruolo “Fantasy” nella sua carriera (l’aver interpretato la morte in “Last action hero” non conta, quella era una citazione a Bergman), da lì a poco oltre che Magneto, ha vestito i panni di Gandalf, guadagnandosi i due ruoli per cui verrà ricordato per sempre, tanto che McKellen è arrivato a dichiarare: “Ora so cosa scriveranno i giornali quando morirò: Oggi è morto Gandalf”.
Il resto del cast si completa con una serie di attori che ORA sono famosi o famosissimi, ma nel 2000 non godevano ancora dello status di celebrità che hanno ora: Halle Berry nei panni di Tempesta, Famke Janssen in quelli di Jean Grey, Rebecca Romijn (allora Stamos) in quelli (pochi per la verità) di Mystica e James Marsden dietro gli occhiali di Ciclope… Ma… A ben pensarci James Marsden non è famoso nemmeno oggi!
Il colpo di casting più azzeccato da Singer, era anche quello più difficile da mandare a segno, per il personaggio di Wolverine, escluso voi ed io, si fecero i nomi di praticamente tutti i bipedi del pianeta Terra, ne volete qualcuno clamoroso? Jean Claude Van Damme, Glenn Danzig (fondatore dei Misfits) e l’attore preferito di uno dei miei cani, Gary Sinise (l’altra preferisce Nicolas Cage … Storia vera).
Alla fine Singer si convince che Russell Crowe è l’attore giusto per la parte, Crowe accetta, ma all’ultimo minuto si convince che l’artigliato Mutante somiglia troppo al suo Massimo Decimo Meridio de “Il gladiatore” e scende dalla barca, ma non prima di aver consigliato a Singer un amico suo di nome, Hugh Jackman.
Ugo Uomogiacomo è un rischio enorme per Singer, non solo NON somiglia per nulla al Wolverine dei fumetti (basso, tozzo, peloso e in poche parole… Brutto), ma non ha la minima esperienza in ruoli d’azione, visto che viene dal teatro e da qualche particina in film australiani. Ma Jackman è talmente sul pezzo che nessun fan del fumetto si lamenta, tanto che la Marvel, dall’uscita del film ha “Ingentilito” le fattezze di Wolverine, ancora mi ricordo le pernacchie raccolte da Darick Robertson, quando nel ciclo di storia scritto da Greg Rucka, si è permesso di disegnare Wolverine come è sempre stato nei fumetti (storia vera!).
Jackman dopo una vita passata a sentirsi dire “Somigli un po’ a Clint Eastwood” capisce di avere per le mani il suo Ispettore Callaghan e recita il ruolo della vita, tutte le mattine sveglia alle cinque e doccia GELATA, mentre sua moglie è ancora tra le coperte addormentata, perché? Perché secondo Uomogiacomo, quella sensazione, un urlo di sofferenza soffocato, è quello che Wolverine prova costantemente per via dei suoi poteri… No, sul serio, non me lo vedo proprio Russell “panza” Crowe a fare una roba del genere.
Ho deciso di rivederlo qualche giorno fa, ero pronto ad un film invecchiato malamente, in realtà tutto il lavoro di Singer su personaggi e cast ha tenuto molto bene la prova del tempo, basta dire che nel riassunto scritto sul retro della mia VHS (sì, avevo comprato la VHS di questo film, altra epoca…) ricorda che i poteri di Wolverine erano descritti come “Traumaturgici”, questo per dire che nel 2000 non solo non esisteva un pubblico per questo tipo di film, non esisteva nemmeno una terminologia per tradurre al grande pubblico qualcosa che in un fumetto è perfettamente logico chiamare “fattore rigenerante”.
Se oggi i supereroi al cinema sono la normalità, se il grande pubblico è arrivato a capire (e apprezzare) personaggi così di nicchia, lo dobbiamo anche al lavoro meticoloso di un regista che ha deciso volontariamente di impegnarsi per un film fantasy ad alto budget e ad altissima possibilità di flop come aveva fatto per un thriller con Kevin Spacey, che vi piacciano o meno i cinecomics, bisogna riconoscere a Bryan Singer una certa dose di fegato oltre che di “Cerebro”.
Certo, non è tutto pesche e crema, si nota che il film è del 2000 da due cose: Tyler Mane e Ray Park, nei panni di Sabretooth (inguardabile) e Toad (ancora peggio), due caratteristi quasi scomparsi, il secondo, un notevole artista marziale, dopo aver impersonato Darth Maul, pensavo che avrebbe fatto il botto, invece è rimasto fritto dai fulmini di Tempesta (“Sai cosa succede ad un rospo colpito da un fulmine?”), ma forse è il Karma che ha deciso di punirlo per aver preso parte ad Episodio I – La minaccia fantasma.
Il punto debole del film oggi come allora, quando andai tutto esaltato a vedermelo con gli amici al cinema (era ottobre, me lo ricordo come se fosse ieri) sono i combattimenti: Bryan Singer aveva zero esperienza e gli X-Men in questo film, non solo ne prendono un sacco e una sporta dalla confraternita dei Mutanti, ma svolazzano in modo imbarazzante appesi ai cavi, sottolineando tutta la mancanza di esperienza di Singer, che sapeva dirigere un film corale con tanti attori, ma per imparare ad inquadrare un pugno come si deve, non sapeva proprio da dove iniziare.
Ma Singer aveva un’arma segreta, ovvero Mystica, ancora oggi, dopo sedici anni dall’uscita del film, nessuno ha osato tanto con il design di un personaggio, il costume di Rebecca Romijn consisteva in 600 applicazioni plastiche da incollare al corpo, due lenti a contatto, tanto body painting blu e… Basta, traduzione: Rebecca andava in giro chiappe al vento per il set tutto il tempo, snocciolando pochissime righe di dialogo, ma conquistandosi per pura presenza scenica, il titolo di personaggio più figo di tutto il film. E’ vero quello che dicono: nella vita ci vuole culo!
Tutto sto popò (ah-ah!) di make up richiedeva nove ore al giorno di seduta per essere preparato e per tutto il tempo delle riprese, Rebecca Romijn non ha potuto bere alcolici per non alterare il PH della sua pelle, l’ultimo giorno di riprese giustamente cos’ha fatto la bionda? Facile: si è presentata sul set con una boccia di Tequila, sfiga! Ciccia fuori Bryan Singer dicendo: “Dobbiamo fare altre due scene di combattimento aggiuntive con Wolverine”. Risultato: la Romijn che nel frattempo si era seccata mezza bottiglia, al secondo saltello vomita su Hugh Jackman un letale mix di tequila e make up blu… Ma secondo me, era solo la vendetta della Romijn su tutti quelli che hanno passato il tempo a fissarle il culo sul set.
Malgrado vomito e brutti combattimenti, “X-Men” resta un ottimo film, curato nei dettagli anche in fase di scrittura e il tempo non ha fatto che sottolineare i difetti, ma anche i lati positivi, perché oggi come oggi, dirigere un film tratto da fumetto è la normalità, nel 2000, invece, non era proprio così, ricordatevelo quando qualcuno dice che Bryan Singer era meglio quando dirigeva solo thriller.
Sepolto in precedenza giovedì 21 aprile 2016
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