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X-Men – Dark Phoenix (2019): nessuna resurrezione per questa fenice

Nella vita puoi decidere di andartene uscendo dalla porta di
servizio, scomparendo in silenzio nella notte, con dignità, oppure di andartene
alla grande, con un clamoroso BOOM! Qualcosa di spettacolare e visibile anche
dalla stazione spaziale. Mette tristezza che gli Uomini-Pareggio, quelli che hanno contribuito a sdoganare i fumetti presso il grande pubblico, se ne vadano con una scoreggia nel vento come
questo film.

Non credo ci sia molto da stupirsi se il nuovo capitolo
della saga degli Uomini-Pareggio, ufficialmente anche l’ultimo targato Fox, sia
stato battuto ai botteghini nostrani anche da “Pets 2” (Storia vera). Per
riuscire a non fare soldi facili nel 2019 ti devi anche impegnare, ma evidentemente
negli uffici della Fox c’è già l’atmosfera del trasloco, tra scatoloni chiusi
con il nastro da pacchi e il fuggi fuggi generale di chi è appena stato messo a
libro paga dalla casa di produzione del topastro Mickey, quello con il compito
di concludere il lavoro mentre tutti corrono ad accaparrarsi le nuove scrivanie
è toccato a Simon Kinberg.

“Salve, sono il nuovo regista”, “Ma tu non era quello che portava i caffè sul set?”

Promosso sul campo a regista (questo è il suo primo film),
dopo una gavetta come sceneggiatore, anche dei capitoli più riusciti di questa X-Saga, ma tra le altre cose anche
di roba come lo scarsissimo “Jumper” (2008) e i Fantastici Quattro di Josh Trank, insomma gioie e dolori il nostro
Simon.

Pensare che in passato gli Uomini-Pareggio sono stati
pionieri, la prima grossa saga di supereroi cinematografici che ha saputo cambiare tutto il cast originale senza
quasi perderci nel cambio, ma anche i primi ad introdurre il multiverso e i viaggi nel tempo per dare
una logica a tutto. Roba che il ben più blasonato MCU è arrivato a fare solo in
era recente. Mi aspettavo almeno una volontà di uscire di scena con la schiena
dritta, riportando al cinema la saga di Fenice nera e far dimenticare in un
moto d’orgoglio il capitolo più disastrato di sempre, Conflitto finale. Invece, dopo questo “X-Men – Dark Phoenix” viene
quasi da rivalutarlo il film di Brett Ratner, ma guarda te se in vita mia mi
tocca scrivere questa roba!

“No no no, Jean Grey San! Dai la cera, togli la cera”

Come sapete ho praticamente smesso di vedere i trailer dei
film, da quanto ho capito ho fatto solo bene perché quello di “Dark Phoenix” spiattellava
l’unica morte celebre della trama che, con il senno di poi, forse era anche l’unico
modo per creare un po’ di attenzione attorno ad una saga che dopo X-Men – Apocalisse, era attesa da, da… Qualcuno attendeva questo film? Io no, francamente mi intrigava più il
continuamente rimandato “New Mutants”.

Lo dico subito: “Dark Phoenix” non è brutto come Apocalisse che, lo so, suona più o meno
come essere contenti di aver pestato una cacca di cane e non una di mucca, ma il
film di Bryan Singer cadeva da più in alto e per questo si è fatto più male. Quello
di Simon Kinberg atteso da pochi, supportato da ancora meno, scivola giusto da
un gradino nell’anonimato, si gira una caviglia nell’indifferenza e pare
destinato all’oblio molto in fretta, forse è anche meglio così.
Dopo una premessa con la giovane Jean Grey ambientata nell’anno
1975, si passa subito al 1992 e al decollo dello Space Shuttle presto in
difficoltà tra le stelle. Se Apocalisse le provava tutte per sfoggiare un aspetto
allineato al periodo storico in cui era ambientato (gli anni ’80), “Dark
Phoenix”, se non altro, ci risparmia i riferimenti agli anni ’90 che non
mancavano in Captain Marvel, ma da quel
film tenta di imitare (male) un’altra cosa: l’orgoglio di una protagonista
donna e anche ultra potente. Lasciatemi l’icona aperta su questo che più avanti
ci torniamo, prima ci sarebbe la scena del salvataggio spaziale che, purtroppo,
va analizzata in tutta la sua bruttezza.

“Perché hai fissato il casco con il nastro americano?” , “L’ho visto fare a Matt Damon, mi sembrava una buona idea”

Xavier ormai è culo e camicia con il presidente degli Stati
Uniti, si pavoneggia davanti alle telecamere perché se i suoi Uomini-Pareggio
vengono idolatrati come “supereroi” è sicuramente meglio di quando venivano
perseguitati e odiati. Questo spiega perchè il mondo guardi agli X-Men per l’esito
della missione spaziale, non si spiega, invece, perché il decollo venga messo in
scena da Simon Kinberg con una scena che non è nemmeno una strizzata d’occhio
ad “Armageddon” (1998) è proprio identica! Ok, ora che ci penso forse una
strizzata d’occhio agli anni ’90 nel film l’hanno voluta mettere a tutti i
costi.

Questi nuovi X-Men giovinastri hanno il carisma di Ciccio di
nonna Papera, la Ororo Munroe di Alexandra Shipp, pare solo più capace di
congelare cose a caso come se sia improvvisamente passata da “Semi Dea africana”
a “Congelatore” senza passare dal via. Il Kurt Wagner di Kodi Smit-McPhee,
sembra il vostro amico un tempo fanatico di Dungeons & Dragons che ora ha
scoperto la Ketamina andandoci sotto pesantemente, in compenso, non si sa come,
riesce a teletrasportarsi nello spazio profondo senza bisogno dell’ossigeno
per respirare. Sul serio, il film è iniziato da tre minuti e vedere metà dei
personaggi che respirano regolarmente nello spazio profondo mi ha fatto capire
che tutto questo Dark Phoenix è stato realizzato con l’impegno e il budget
degno di un Superman IV qualunque.

Kurt, sorpreso dai paparazzi a fare pensieri impuri su Jean Grey (occhio ragazzo, la rossa legge nel pensiero!)

Ve lo ricordate il Quicksilver di Evan Peters? Il personaggio
su cui nessuno avrebbe mai puntato, capace di rendersi protagonista con la sua
super velocità dei momenti migliori degli ultimi X-Film? Ecco, siccome portare
in scena in maniera efficace i suoi poteri in azione è roba che costa (e che
richiede un regista di talento), qui il velocista degli X-Men viene
ridimensionato a personaggetto di contorno. Mi dispiace Evan, credo che ti toccherà
continuare a lavorare per sempre in American Horror Story fino alla fine della
tua vita, ti hanno fatto terra bruciata attorno.

“Beh è stata confermata per altre due stagioni. Ancora per un po’ potrò pagare le bollette”

Beh, però, dai! Abbiamo nel cast una delle attrici più in voga
del momento, siamo stati così accorti in passato, da mettere sotto contratto Jennifer
Lawrence nel ruolo di Mystica. Ecco, peccato che J.Law non abbia mezza volta di
passare dalle quattro alle sei ore sulla sedia della sala trucco, per calarsi
nei bluastri panni di Raven Darkhölme, quindi il trucco sul viso consiste in
qualche pallino sulla fronte fatto con l’Uniposca, roba che la fa somigliare
più alla mia dalmata che ad uno dei personaggi più iconici di questa saga. Del
trailer che ha anticipato l’unico colpo di scena del film vi ho già detto tutto
(anche senza averlo visto), ma se due indizi fanno una prova, è abbastanza
chiaro che voglia avesse la nostra J.Law di fare ancora parte della X-banda,
nel dubbio io continuo a ribadirlo: #Team Rebecca Romijn ForEVAH!

“Avevo un grosso pennarello, tanto tempo libero, e beh.. mi stavo annoiando ok?”

Dal viaggetto spaziale gli X-Men ed in particolare Jean Grey
(Sophie Turner) tornano a casa con un ospite alieno indesiderato uno Xenomorfo
l’entità Fenice, nel tentativo di differenziarsi da Conflitto finale, però, me
li immagino i furbacchioni della Fox dire: «Ragà! Non facciamo come Brett Ratner,
facciamoci furbi, facciamo vedere che i fumetti li abbiamo letti, ficchiamoci dentro
anche li alieni e il pianeta D’Bari!».

Ora, a parte le facilissime battute sul pianeta D’Bari (galassia
della Puglia), l’unica novità è rappresentata questa volta dalla presenza della
diafana “aliena spiegona” interpretata da una scolorita Jessica Chastain, una
che in un universo parallelo sarebbe stata una perfetta Jean Grey e che qui
sembra Yolandi Visser dei Die Antwoord, senza la capacità di rappare come una
mitragliatrice e il vocabolario da far dire «Ohibò!» anche ad un camionista.
Ammettiamolo: rendere anonima e piatta una come la Chastain è quasi più
difficile che non fare soldi con un film di super calzamaglie nel 2019, bravo Simon
Kinberg!

I fink u freeky and I like you a lot (Cit.)

Tra le pochissime novità introdotte, anche il fatto – del tutto
non innovativo se avete familiarità con i fumetti originali – che per la prima
volta, il personaggio di Charles Xavier non venga raccontato come una specie di
santo laico che nel tempo libero si veste da Mago Zurlì per far felici i bambini,
ma viene rappresentato come un’ipocrita, uno che fa errori magari anche in buona
fede, insomma, un minimo di ombre anche sul personaggio interpretato da James
McAvoy, ma solo fino ad un certo punto, perché nel finale anche Xavier
ne esce tutto sommato bene, al che mi viene da pormi una domanda: “Ok, è chiaro una
sfogliata ai fumetti Kinberg deve averla data, ma siamo sicuri che non abbia
guardato solo i disegni di Dave Cockrum e John Byrne?”.

Visto che vi ero debitore di un’icona da chiudere lo faccio
subito dicendovi che il dubbio, misto ad un certo quantitativo di imbarazzo, mi
è venuto quando nel diverbio tra Mystica e Xavier, a Jennifer Lawrence è stato
chiesto di recitare la battuta: «E comunque, sono sempre le donne a salvare gli
uomini da queste parti: forse dovresti cambiare il nome in X-Women».

J-Law scopre quello che X-Chris aveva già capito trent’anni fa: la X è quella del cromosoma femminile.

Lo so che sto camminando su una lastra di ghiaccio
sottilissima (anche se siamo a Giugno) affrontando questo discorso, ma anche
qui non sono riuscito a non immaginarmi i geni del reparto creativo della Fox
rendersi conto di avere per la mani un film che ha come assoluta protagonista
una donna, per di più in possesso di poteri cosmici. Quasi me li vedo
scambiarsi cinque alti e dare una festa in ufficio in stile “The Wolf of Wall
Street” colpendosi il petto al grido di: «MeToo! MeToo! MeToo!»

Lo sentite il ghiaccio che scricchiola sotto i miei piedi?
Ne sono consapevole, ma so di quello che parlo, “X-Men – Dark Phoenix” cerca di
mettersi in scia alle tendenze del 2019 con l’aria del furbetto che pensa di
vincere facile, senza capire che la saga di Fenice Nera, scritta da Chris
Claremont e disegnata da Cockrum e “Big” John Byrne, era molto, ma molto più
femminista di tutto questo adattamento, che vive di luce riflessa.
Sarà anche una storia degli anni ’80, ma Chris Claremont
padre putativo degli Uomini (e le donne) X, aveva scritto una storia che era
fortemente femminista, pensateci un attimo: Jean Grey era la fidanzatina d’America,
l’entità Fenice è quella che la trasforma in quella che oggi i giovani
chiamerebbero una “Alpha Woman” e nel corso della storia gli uomini della sua
vita, il suo fidanzato Scott Summers e il suo mentore (quindi padre a tutti gli
effetti) Charles Xavier le tentano tutte per rimettere la ragazza al suo posto,
prima facendole indossare il suo vecchio costume da X-Woman (non a caso, con la
gonna), poi usando, se necessario, anche i loro poteri. Non sto dicendo che
Ciclope e il professor X siano due maschilisti, ma solo che la storia scritta
da “X-Chris” Claremont era già una perfetta metafora dell’esplosione del potere
femminile, una storia che Simon Kinberg non ha capito e non ha saputo adattare sullo
schermo.

Adattamenti della saga di fenice nera: Fumetti 2 – Cinema 0

Il ciclope di Tye Sheridan è uno sfigato che urla il nome
dell’amata per metà film, sulle ombre-non-ombre su Xavier mi sono già espresso
e anche la trasformazione di Jean da tenera ragazza a Fenice Nera passa sempre
attraverso un personaggio maschile (il padre prima e lo stesso Xavier nel
finale). Troppo facile, alla moda e anche molto paraculo, sventolare la bandiera
del femminismo con un film così, il lavoro vero lo aveva già fatto Chris
Claremont, quello che vediamo qui è solo un filmetto paraculo che ci somiglia e
vuole atteggiarsi, come avrebbero detto in Space Jam, quindi diffidate dalle imitazioni di infimo livello.

Sì, perché comunque, Conflitto finale, con la sottotrama della cura ai mutanti e alcuni colpi di scena,
nel suo essere un film indifendibile, almeno aveva dei momenti di
coinvolgimento, delle morti ad effetto. “Dark Phoenix”, invece, è portato in
scena in maniera piatta e scolastica, in parecchi momenti mi sono ritrovato a
guardare l’orologio per la noia, con Nicholas Hoult (l’unico un minimo celebre
tra il cast dei nuovi X-Men) impegnato a lamentarsi e un numero infinito di
minuti, in un film che alla fine, sembra una pallosissima replica, per altro
portata in scena un po’ a tirar via.

C’è una bestia che si incazzerà, ogni volta che, scemo
com’è, Kinberg dirigerà (Quasi-cit.)

Simon Kinberg cerca di dare un’idea di film corale, ma gli
attori sembrano tutti svogliati e spaesati, come se a tutti fosse mancata una
direzione, gli unici ad emergere sono James McAvoy che tutto sommato ormai
conosce il personaggio così bene da recitare a memoria e Michael Fassbender, a
cui smetterla di recitare in ventidue film l’anno evidentemente ha fatto bene. Anche
se Magneto e i suoi mutanti a Genosha, sembrano un banda di spacciatori
impegnati a gestire una “Crack house” nei sobborghi di Westchester. Almeno quella
baraccopoli non chiamatela Genosha, non ha nulla della gloriosa città stato dei
mutanti che Magneto ha faticosamente fondato nei fumetti, eddài!

“Le chiamavano unità abitative, invece sono baracche di latta dannati umani!”

Gli effetti speciali realizzati al computer sembrano già
vecchi di cinque anni, non tengono proprio il passo con quello che dovrebbe
essere lo scatenarsi del potere dell’entità più distruttiva della galassia, l’apice
è l’effetto “rughe” realizzare sul volto di Sophie Turner, in certi momenti
sembra di stare guardando la pubblicità della crema anti età, no sul serio, il
fatto che il film si prenda incredibilmente sul serio, cercando un epica e una gravitas che non ha, fa francamente
tenerezza.

Oil of Phoenix, per combattere i primi segni dell’età.

Sophie Turner è tutto tranne che una grande attrice, certo dopo
la fine di Giocotrono è al massimo
della sua popolarità, in un film furbetto come questo, è chiaro che si punti
tutto su di lei, ma bisogna essere onesti, la ragazza è più bella che davvero
brava. Riesce ad essere statuaria quanto volete, quindi in teoria perfetta per
riempire lo schermo mentre Fenice Nera si manifesta in tutta la sua divina
potenza, peccato che Simon Kinberg non sappia affatto come valorizzare la sua
protagonista, che nella prima parte del film è truccatissima (come il visagista
delle dive, avrebbero detto gli Elii) e nel finale sembra la principessa da
salvare avvolta in tanta brutta CGI, non proprio l’icona del potere femminile
che Fenice dovrebbe essere.

Quando devi raccontare la storia di un personaggio problematico
che si ritrova a scatenare un immenso potere, non dico che devi per forza portare
in scena Akira, posso anche capire le
limitazioni del budget, ma nemmeno “Chronicles” (2012) disponeva di chissà
quanti soldi, anche se me lo immagino un po’ Josh Trank in sala a guardare “Dark
Phoenix”, impegnato a ridersela di gusto alla faccia di Simon Kinberg, spargendo
pop-corn per tutto il cinema.

Dopo diciannove anni, ancora alle manine puntate per usare i poteri siamo? Ma davvero!?

Alla fine la vera “Forza Fenice” destinata a spazzare via
tutti, è stata la Disney, forse un giorno vedremo tornare gli Uomini-Pareggio,
magari accanto agli Avengers e a Spider-Man, per ora ci resta il colpo di coda di
“New Mutants” che pare destinato ad un’uscita in sala nel 2020, anche se i
continui rinvii non mi fanno affatto ben sperare.

Tra noia, sbadigli, ben poca enfasi e tanta (poca) furbizia “X-Men
– Dark Phoenix” se ne va destinato ad essere dimenticato per fortuna presto,
oppure al massimo, ricordato nell’infamia. Un finale senza gloria per una saga
che ha davvero contribuito moltissimo a sdoganare i fumetti presso il grande pubblico,
ma sapete perché? Perché Bryan Singer quasi vent’anni fa ormai, ai tempi si era
preso la briga di leggerli prima di portarli al cinema, non basta guardare le
figure, hai capito Simon Kinberg!
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