Forse non sono stato bravo io a metterci abbastanza enfasi, ma al momento tra tutte le serie in corso, sicuramente Yellowstone non sarà la più originale, la più popolare o quella che genera quintali di meme in rete, ma non esiste un’altra serie che mi appassiona più di questa.
Nella quarta stagione di “Yellowstone” torna per fortuna in scena il creatore Taylor Sheridan, che si era allontanato nel corso della terza stagione, impegnato con la regia di un film non proprio fondamentale. Di micidiale per davvero avevamo però il finale della terza stagione, una conclusione in grado di incollare chiunque allo schermo, perché le trame della famiglia Dutton fanno questo effetto.
Sheridan vuole bene ai suoi personaggi, infatti dopo essere stati strapazzati nel finale della terza stagione, il loro creatore si prende tutta la stagione per far leccare loro le feriti, farli rimettere in sesto e preparare le trame per il futuro.
Fino a questo momento “Yellowstone” aveva avuto una struttura piuttosto chiara, un nuovo avversario per l’impero dei Dutton ad ogni stagione, ma non in questa perché qui Sheridan permette ai suoi personaggi di tirare il fiato, detta in parole povere succede poco o nulla, ma il “niente” di questa serie ha un valore, un silenzio di Kevin Costner vale più di dieci meme generati da altrettante serie tv.
Ho trovato significativo il fatto che lo stesso Sheridan, forte dei suoi trascorsi di attore, si sia ritagliato il piccolo ruolo del mentore di Jimmy (Jefferson White), che viene spedito in Texas nel ranch gemello 6666 dove il ragazzo è destinato a diventare un vero Cowboy o a morire provandoci, infatti proprio “6666” sarà il primo dei due spin-off già annunciati, l’altro è “1883” anno in cui vivevano gli avi dei Dutton, quindi dalle costole di “Yellowstone” nasceranno due serie. Questo oppure Sheridan sta in fissa con i numeri a quattro cifre.
Quindi la quarta stagione di “Yellowstone” ha questo ruolo da trampolino per gli spin-off che non la aiuta moltissimo, ma messa in chiaro la natura da bacino di carenaggio per tutti i personaggi, che sfruttano il tempo per ritornare, beh in sella, mi sembra proprio il caso di dirlo. Anche perché in più di un momento Taylor Sheridan si concede diversi minuti di musica e scene di rodeo, a mio parere solo per la pura gioia di vedere cavalli e cavalieri lanciarsi in tali esibizioni, altre spiegazioni non ne ho.
La natura da soap-opera è chiarissima, mister chitarra che litiga con il vecchio Llyod (Forrie J. Smith), oppure il giovane trovatello adottato da Beth (quella meraviglia di Kelly Reilly) che di fatto è un “mini me” di Rip Wheeler (Cole Hauser) è infatti finirà proprio lui a crescerlo, secondo le regole del ranch Dutton.
Altri difetti? La nuova fiamma del Padrino della famiglia, interpretata dalla ex ragazza del Coyote Ugly, Piper Perabo nei panni dell’ecologista vegana radicale che vede nei Dutton tutti i mali del mondo, quasi una critica a certi “fighetta di città” che diventa l’ennesimo grattacapo per il patriarca John (l’inossidabile Kevin Costner, che ha dimostrato di amare il western fin da tempi non sospetti), posso dirlo? Siamo ben oltre la forzatura.
Perché cercare di far emergere il lato ecologista di un personaggio come John Dutton, che guida un RAM che ad ogni accelerata fa staccare un icerberg dalle calotte polari, mandando alla deriva un orso bianco che non rivedrà mai più la sua famiglia, ha poco senso. Molto meglio mostrare il modo in cui John rispetta la vita nel Montana, una versione moderna dei Cowboy che vivevano in armonia con la terra, permettendo di far arrivare il cibo in tavola a tutti. Anche se per certi versi gli effetti dello stile di vita di Dutton, li abbiamo già visti in Waterworld.
Perché ammettiamolo, nelle trame di famiglia dei Dutton ci sono trovate degne di “Dallas” o “Dinasty”, con la piccola differenza che nemmeno per un momento “Yellowstone” fa finta che i Dutton non siano i cattivi. Questo spiega perché in virtù della mia passione per i brutti soggetti, mi piace così tanto questa serie.
La candidatura di John Dutton come governatore lo mette in chiaro, lui si dichiara la negazione del progresso, il muro contro la quale il progresso va a schiantarsi. Non voglio girarci attorno, sono piuttosto sicuro che questa serie piaccia a tutta quell’America (coff coff bianca coff coff) che è rappresentata così bene dalla serie stessa, il fatto che siano in rampa di lancia due spin-off è la conferma che l’America è grande da una costa all’altra, non sempre le storie di vita nella grande città rappresentano tutti, esiste una fetta gigantesca di America che probabilmente si riconosce più nella posizione di conservatore di Dutton, magari anche nell’idiosincrasia di guidare un mostro che consuma più benzina di una petroliera.
Il fatto che i Dutton siano i cattivi è messo in chiaro dalla tigre della famiglia, Beth sarà pronta a morire se necessario per il ranch di suo padre, infatti anche in questa stagione lo fa con tutte le armi di cui dispone e poi calo la maschera, Kelly Reilly è straordinaria nei panni di una stronza capace di fare paura ad un bisonte solo con il suo carattere e quella boccaccia, ma anche di dimostrarsi pazza nella sua capacità di amore, odiare e in generale, provare sentimenti come se non ci fosse un domani. Insieme a Rip forma la più bella e credibile coppia del piccolo schermo, perché le grandi coppie funzionano per compensazione infatti a loro modo, Beth e Rip sono la spina dorsale dello Yellowstone ranch, una sorta di Gomorra con i cavalli, in cui i Dutton sono l’equivalente dei Corleone, con la differenza che non staccherebbero mai la testa ad un cavallo per metterla in un letto.
Quindi no, “Yellowstone” non genererà mai mille meme, non farà parlare di sé sui social-cosi, ma una stagione in bacino di carenaggio di questa serie vale come i silenzi e gli sguardi verso l’orizzonte di Kevin Costner.
Sepolto in precedenza domenica 20 marzo 2022
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