Nella lista dei film che compiono gli anni nel corso del 2024, mi sono segnato in rosso un titolo a cui voglio molto bene, conosciutissimo, anzi forse sarebbe più corretto dire famigerato, anche se non so poi chi lo abbia visto per davvero questo generatore di meme (almeno uno notevole) che puntualmente torna a tormentarci, il meme, non il film, “Zardoz” è una bombetta, da parte mia solo stima per questo folle concentrato di fantascienza anni ’70.
Badate bene, non ho nulla contro i meme, nemmeno contro quelli cinematografici, spesso sono divertenti anche se contribuiscono – in quest’epoca in cui nessuno verifica le fonti – a diffondere falsi miti, a gennaio, ogni gennaio di ogni anno, torna a girare il meme con Mad Max, ignorando il fatto che nella saga creata da George Miller non ci sono riferimenti all’anno in cui è ambientata, o ancora peggio, torna il meme su Zardoz, con Sean Connery nel suo rosso “mankini” alla Borat e un testo tipo: Zardoz è ambientato nell’anno 2024, quindi iniziate a vestirvi così. Tutto bello, tutto divertente, AH AH, ma Zardoz è ambientato nel 2293, quindi abbiamo ancora un po’ di tempo per sfigurare nel confronto diretto con Sir Sean che nel 1978, a 44 anni, stava ancora una favola. Vorrei vedere il girovita di chi fa girare il meme puntualmente ogni anno. Anzi no, non voglio vederlo.
Sono anche profondamente convinto del fatto che non si parli mai abbastanza di John Boorman, regista coraggioso anche nelle scelte, l’unico ad aver provato a rendere i film di esorcismo altro, anche senza riuscirci. Tanto ardito da provare a lanciarsi in un’impresa prima di tutti, anche prima di Ralph Bakshi o di Peter Jackson, ovvero provare ad adattare “Il Signore degli Anelli” per il grande schermo. Lo sappiamo, lo abbiamo visto accadere su questa Bara spesso, quando un regista firma il titolo che lo mette sulla mappa geografica, subito dopo si gioca il progetto della vita, per Boorman era proprio il romanzo di Tolkien, ma naufragato il suo sogno eroico, il regista inglese ha fatto comunque valere il credito conquistato sul campo grazie a Un tranquillo weekend di paura, per il suo grande film fantasy, ci sarebbe stato tempo, ma per ora sempre dai libri Boorman ha voluto pescare, al supporto di un’impresa ancora più folle, un titolo estremamente cerebrale e fuori di testa, che infatti inizia non con una, ma con due teste volanti!
Cosa vi dico sempre riguardo ai primi cinque minuti di un film? Ecco, quelli di “Zardoz” sono emblematici. Quando questo colpo di testa uscì in uno strambo Paese a forma di scarpa, lo fece privato della sua prima sequenza, voluta dai produttori per cercare di non destabilizzare troppo gli spettatori, ma comunque già straniante di suo, visto che prevede la capoccia volante della voce narrante oltre che demiurgo degli eventi Arthur Frayn (Niall Buggy), un narratore inaffidabile che si paragona al mago Merlino delle leggende (i soliti gradi di separazione, spesso meno di sei) il cui compito è quello di mettere in chiaro il fatto che alla fine, sia tutta narrativa, crederci potrebbe risultare pericoloso, come risulta impossibile prendere sul serio il pizzetto dipinto del personaggio, perfetto per mettere in chiaro il suo ruolo di falso profeta, anche se lo fa sembrare un bambino con il costume di carnevale da Zorro e i baffi dipinti dalla mamma.
Se questo non bastasse, si passa di colpo all’altra testa volante del film, quella del Dio Zardoz, un enorme capoccione svolazzante a capo dei soldati che lo venerano, una sorta di Monolite di Immortan Joe con i suoi cani da guerra, tanti piccoli Cosplayer con nomi che iniziano per “Z” pronti a seguire ciecamente i suoi ordini, anche quando vengono impartiti con frasi come: «Il fucile è il bene, il pene è il male. Il pene spara il seme, e procura nuova vita per avvelenare la Terra con la piaga dell’uomo, com’era un tempo, ma il fucile spara morte, e purifica la Terra dalla sozzura dei Bruti. Avanti… uccidete!», prima di mettersi a vomitare fucili con cui armare i suoi Sterminatori. Siete ancora vivi? Bene, sappiate che questo è solo l’inizio di “Zardoz”.
Tra quei dandy ben vestiti degli Sterminatori, quello che non può passare inosservato è il nostro Zed, Sterminatore numero 312, ottuso perché indottrinato e ben vestito perché la treccia di capelli, il “mankini” rosso e gli stivaloni a mezza coscia beh, notevoli. Ed è qui che “Zardoz” (film non capoccione volante) richiede il suo tributo di sangue al pubblico: questo film o lo ami o non lo hai mai visto, e ti sei basato solo sul meme, non ci sono mezze misure, quelle quasi sempre assenti nel cinema di Boorman. Da questo non si scappa, il film ha un aspetto colorato, al limite dell’involontariamente comico che fa a cazzotti con il suo piglio serissimo, che non lascia spiraglio al minimo umorismo, anche perché l’atmosfera malgrado i colori (anche del “mankini” di Connery) è plumbea, funerea, quindi o ci si lascia trasportare e coinvolgere oppure il risultato non può che essere quello di trovare tutto ridicolo, insomma l’approccio che oggi utilizza Nolan ma portato alle estreme conseguenza prima di tutti, più di tutti.
Da parte mia non ho dubbi, in un periodo in cui la fantascienza nel cinema americano andava fortissima, Boorman firma la sua personale versione de “La fuga di Logan” (ma due anni prima del film), pescando a piene mani in parti uguali da “La città e le stelle” (1956) del Maestro Arthur C. Clarke e da un classico della narrativa come “Il mago di Oz”, ed entrambi i libri hanno il loro enorme peso specifico nella trama scritta in maniera allegorica dallo stesso Boorman, uno a cui non è mai mancato l’estro o la personalità per un film girato in economia, a tutti i livelli, non solo il costume di Zed.
Connery nella sua vita dopo Bond faticava a trovare ruoli, infatti accettò un compenso più basso per prendere parte al film e su suggerimento di Boorman, si muoveva da un set all’altro usando la sua auto personale, per mettersi in tasca una fetta di soldi risparmiati sul noleggio di una macchina con autista, tutti centesimi che il regista era ben felice di strizzare, visto che nel corso del film lo stesso Boorman compare nei (pochi) panni di uno dei bruti. Nella breve scena del parto, il regista ha usato come controfigura la vera pancia di una donna gravida, sovrapposta con un trucco di prospettiva al ventre piatto di Charlotte Rampling. Ah! Le due impronte di mani sulla roccia che concludono il film? Erano quelle di Boorman (storia vera).
La trama svolta quando Zed riesce in qualche modo a trovare l’accesso al Vortex, una specie di cupola invisibile (contro cui ad un certo punto Connery sbatte la faccia, ribadisco, a voler cercare i momenti comici, questo film ne offre centinaia) dentro alla quale vivono una banda di figli dei fiori, una sorta di società matriarcale o giù di lì composta da immortali. Il bello di “Zardoz” consiste che nel metto di tutte queste trovate eccentriche, anche i momenti espositivi, che altrove passerebbero per spiegoni, qui sono parte del processo di scoperta di un altro mondo da parte di Zed, che impara le regole di questa società in cui lui è considerato un bruto da studiare, anche se poi l’oggetto degli studi è sempre lo stesso. Come metterla giù in modo gentile, ecco, diciamo che sono studi scientifici del cazzo. Un po’ di francese a volte aiuta.
In una società dove sono tutti immortali, gli istinti riproduttivi si sono estinti perché inutili, un essere carico di libido con il pieno controllo del suo popparuolo è oggetto di studio, se non proprio di rivoluzione in una società in cui chi infrange le regole viene punito non con una multa da pagare, ma con un accredito di anni sulla sua attuale età, risultato? Chi resta giovane e immortale abbastanza a lungo, si trasforma in un essere apatico che vaga svuotato insensibile a tutto, oppure chi si becca troppi ammonimenti, risulta essere un vecchio criminale pazzo e senza più controllo da segregare insieme agli altri vecchi Boomer trasgressori come lui.
In tutto questo Zed è una presenza maschile forte, distruttiva, qualcuno oggi direbbe anche “tossica” visto che questa parola va di moda, infatti Amico (John Alderton) prima lo prende sotto la sua ala tipo animale da fatica, poi ne resta in qualche modo influenzato con tutte le conseguenze del caso. Anche se a tenere banco sono i personaggi femminili, come May (Sara Kestelman) e soprattutto gli occhi di ghiaccio di Consuella (Charlotte Rampling) e qui ditemi cosa volete, i grafici sulle erezioni sono complicati da prendere sul serio, così come Sean conciato in quel modo, ma è innegabile il fatto che Sir Connery sia una presenza maschile indiscutibile, i baffoni, il petto villoso, la voce, l’altezza, Zed è in parti uguale oggetto di studio e portatore di tentazioni e morte.
Nel cinema di Boorman Eros e Tanathos sono sempre andati avanti mano nella mano, un rapporto stretto come quello tra l’uomo e la natura, spesso selvaggia, pronta a riconquistarsi tutto, anche con la forza se necessario. Tutti temi che ritroviamo anche qui, manifesti, esposti con incuranza del ridicolo in modo convinto e serio che mette in chiaro che in questo mondo distopico dove tutti sono immortali, Zed sia il portatore dell’unica rivoluzione possibile, quella della morte, che come canta Caparezza è la certa, unica vera certezza qui per dare senso e valore alla vita.
Le chiavi di lettura si sprecano, chi vive dentro il Vortex potrebbe essere una classe superiore, un’élite di prescelti contrapposti ai bruti, proletari chiusi fuor. Allo stesso tempo lo scontro si consuma tra i sessi, con una chiara presa di posizione sulle religioni, il libro scelto è diverso, ma di base anche qui abbiamo un personaggio pronto alla Guerra Santa, per seguire una divinità nata da un libro che si rivela essere quello, un libro, una storia, in grado di scatenare la voglia di verità (o vendetta?) di Zed.
Le chiavi di lettura del film sono molte, davvero tante, per una volta un aneddoto potrebbe raccontarle quasi tutte senza togliervi il piacere di far roteare i neuroni a vostra volta sfidando “Zardoz”: dopo l’uscita del film, un critico cinematografico comunista che lavorava per un giornale francese, ben intenzionato a scrivere una bella recensione positiva del film, chiese a Boorman di firmargli un foglio in cui dichiarava che l’enorme testa gigante della divinità NON era ispirata a Lenin. Il regista firmò con piacere, tanto non era stato lui a costruire il modello della capocciona (storia vera).
Prima ho citato La fuga di Logan, anche se rivedere “Zardoz” mi ha ricordato molto le atmosfere eccentriche e cariche di simbolismo de “Il prigioniero” (1967), ancora più cariche di quel plumbeo senso di presagio funesto con cui Boorman sapeva far risaltare nelle sue storie, la colonna sonora di David Munrow gioca un ruolo chiave, tanto da potersi permettere ad un certo punto anche di citare la Settima sinfonia di Beethoven, dando al tutto un senso di solennità come accadrà ancora nel cinema di Boorman solo con i Carmina Burana.
Alla sua uscita il film, costato un milione e mezzo di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, il film di John Boorman spiazzò il pubblico, a ben guardarlo, una volta superato il senso di ridicolo dietro l’angolo, risulta un’operazione matta e piena di fascino in parti uguali, che malgrado quell’atmosfera cinerea carica di morte, si porta dentro un messaggio a suo modo positivo, il tutto sta nella volontà (o meno) da parte del pubblico di usare la testa per affrontare questo enorme capoccione volante, che all’alba dei suoi primi cinquant’anni resta un oggetto di culto meritevole della vostra attenzione, anche solo per poter sbugiardare i meme del prossimo gennaio, quelli che reciteranno bufale come: Zardoz è ambientato nell’anno 2025, quindi iniziate a vestirvi così.
Guardateli i film invece di condividere solo i meme, oltre a rischiare brutte figure potreste perdervi filmoni pazzi e in puro stile anni ’70 come ahimè, non ne vedremo mai più. Auguri Zardoz!
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing